When The Going Gets Tough The Tough Gets Going

di lisachan
Le questioni di parruccheria e cosmetica, con Bill, non sono mai state un problema. Per ciò che riguarda se stesso e il proprio aspetto, Bill segue fondamentalmente due criteri base, sui quali poi si può creare di tutto ma che vanno seguiti scrupolosamente. Bill è molto più creativo di ciò che la gente immagina guardandolo, solo che il suo strumento non è davvero la voce: Bill utilizza se stesso, ed è per questo che lui e Bushido sono tanto simili; hanno praticamente lo stesso modo di approcciarsi alla vita, prendendola di petto, sentendola su ogni centimetro della propria pelle. Non per coraggio, ma perché il loro corpo è la loro unica arma e il loro unico scudo. Perciò, il corpo è una cosa sulla quale Bill sente di dover avere un enorme controllo, ma allo stesso tempo è fantasioso per ciò che riguarda il suo utilizzo. I cambiamenti, per lui, non sono mai stati momenti difficili, quanto più gli unici istanti in cui Bill sentisse di poter esprimere appieno tutto il proprio talento. Tutto il contrario di suo fratello, che invece è una persona molto più normale ed il proprio corpo lo usa solo per scopare, perciò, se trova uno stile in cui si sente a proprio agio e nel quale si trova piacevole, tende a cercare di preservarlo per evitare di avere problemi.
Comunque, i due criteri base sui quali si basano le concessioni che Bill fa a truccatori e stilisti quando gli lavorano addosso sono: che lo mantengano il più femminile possibile e che, in mancanza di una femminilità sfacciata, si impegnino almeno a mantenerlo bellissimo. Sono le uniche due cose che Bill pretenda davvero quando si lascia andare alle mani esperte dei professionisti. Femmina. Se non femmina, talmente bello che ad un maschio non deve importare del suo sesso. È su questo che Bill ha basato tutta la propria carriera ed è per questo che Bill è diventato famoso. Perciò è questo che Bill vuole, sempre e comunque. Non so perché Bill odi il genere umano al punto da desiderare così ardentemente di metterlo in difficoltà ogni volta che mostra pubblicamente il musetto, così è, comunque, ed è per questo che si mostra struccato e trasandato solo di fronte agli occhi di chi ama: sono le uniche persone che non sente il bisogno di mettere a disagio o in imbarazzo.
Il motivo per cui sto dicendo tutto questo è che sto cercando di spiegare anche a me stesso quanto sia stato difficile convincere Bill a sottoporsi al solito restyling preventivo in attesa dei frutti del lavoro di Bushido, quando invece non mi è mai capitato neanche che fosse necessario chiederla, a Bill, una cosa del genere. Faceva tutto parte dello stato di esaltazione in cui Bill entrava in modo del tutto naturale ogni volta che gli veniva annunciata la data di uscita del nuovo lavoro. Era anche il motivo per cui lavorava alacremente, cercando di non sbagliare e mettendocela tutta, finanche a sfinirsi: tutto in previsione del momento in cui sarebbe potuto tornare a lavorare nel suo ambiente favorito, non lo spazio piccolo e chiuso delle sale di registrazioni, ma gli ampi spazi aperti dei palchi e degli stadi di tutto il mondo.
A questo giro, niente del genere di è verificato. Ho spiegato a Bill tutto quello che questo singolo avrebbe comportato – apparizioni pubbliche, un tour, riarrangiamenti di vecchi lavori, collaborazioni, presenze ovunque su qualsiasi canale televisivo, tutte cose che fino ad un anno fa l’avrebbero reso felice da scoppiare, ma la sua reazione è stata così tragicamente apatica da togliere perfino a me la voglia di lavorare.
Non mi aspettavo, naturalmente, di vederlo saltare in aria in preda alla gioia, questo è ovvio. Anche un idiota capirebbe che, in questo periodo della sua esistenza, Bill preferirebbe anche trovarsi completamente da solo appollaiato sulla punta di un iceberg in scioglimento al Polo Nord, piuttosto che restare qui a rimbalzare da un lato all’altro di Berlino nel tentativo di sbrogliare la matassa che ha al posto del cervello. Però speravo che il lavoro riuscisse a distrarlo. Ancora di più, speravo che riuscissero a distrarlo le fasi precedenti al lavoro, che sono quelle che gli piacciono di più. Quelle, appunto, in cui si restaura. Quelle in cui può chiudere gli occhi e lasciare che le persone lo coccolino, lo plasmino e squittiscano soddisfatte mentre lo osservano diventare stupendo sotto le loro dita, prima di lasciarlo tornare a guardarsi ed osservarlo sorridere soddisfatto di se stesso, perché ancora una volta ce l’ha fatta, ancora una volta è diverso ed ancora una volta è bellissimo. Sono le fasi dei trucchi, delle pettinature sperimentali, dei massaggi, dello shopping sfrenato. Bill ci impazziva, dietro a queste cose, un anno fa. Non posso fare a meno di chiedermi quanto di lui sia morto assieme a Bushido, visto che ci sono pezzi di sé che Bill non è riuscito a recuperare nemmeno grazie a Chakuza.
Bill non si aspettava che sarebbe stato costretto a lavorare con Bushido. C’è stato un tempo – che sembra lontano secoli – in cui l’idea era effettivamente balenata nella mente dei capi, alla Universal. Allora Bushido era vivo, lui e Bill erano la coppia d’oro dello show business tedesco ed erano presi al punto che, pur di stare insieme, avrebbero accettato qualsiasi tipo di contratto lavorativo, a qualsiasi condizione, purché permettesse loro di passare insieme la maggior quantità di tempo possibile.
Alla Universal l’idea del duetto piaceva moltissimo, s’era parlato di inserirla nel primo album disponibile – il nuovo lavoro dei Tokio Hotel, quello che non è mai uscito, visto che per Heavy Metal Payback, che invece è uscito postumo, le registrazioni s’erano già concluse da un pezzo – si stava addirittura cominciando a stilare qualche linea guida del progetto, prima di sottoporla all’attenzione dei diretti interessati.
Poi Bushido è morto e la Universal ha scrollato le spalle pensando di poter guadagnare dall’evento perfino più di quanto avrebbe potuto guadagnare col duetto, perciò l’idea non è mai uscita dagli uffici degli amministratori e non se n’è più nemmeno parlato, neanche per scherzo.
Il ritorno in vita di Bushido, ovviamente, ha cambiato di nuovo all’improvviso tutte le carte in tavola. Ai vertici della Universal, io, la sparizione di Bushido non ho potuto venderla come una trovata pubblicitaria. È gente che ha fiuto, per queste cose, è gente che le conosce, che ne comprende appieno i tempi e i modi. La morte di Bushido non si è svolta né nei modi più corretti né nei tempi più consoni, non c’era la minima possibilità che io potessi dire una balla simile a gente di quel calibro senza che loro mi ridessero dietro e mi licenziassero pure. Perciò, per quanto la cosa potesse farmi girare le palle, ho dovuto sputarla fuori tutta, mettendomici anche in mezzo, parlando dei timori di Bushido, della sua preoccupazione per Bill e del lungo periodo che l’aveva portato a maturare quella decisione.
In cambio per la mia sincerità, ho ottenuto altrettanta sincerità. Non pietà, naturalmente – non c’era speranza che ci si facesse sfuggire una storia simile lasciandola cadere nel dimenticatoio e concedendo a Bushido l’anonimato che voleva – ma non sono stato deriso, non sono stato trattato con sufficienza anche se era palese che nel gruppo qualcuno avesse sbagliato – e quel qualcuno ero io – e, cosa ancora più importante, non sono stato mandato a fanculo, né sono stato privato del mio incarico coi Tokio Hotel o con Bushido stesso. Tra l’altro, il mio impegno con Bushido non era mai stato ufficiale, alla Universal non avrebbero impiegato più di un minuto per togliermelo dalle mani – non avrebbero avuto neanche bisogno di tirare fuori il contratto per mostrarmelo. Insomma, diciamo che, tutto sommato, la trattativa non è andata poi così male.
L’unica cosa che proprio non potevo aspettarmi, da questa trattativa, è che fosse alla pari. Che fosse uno scambio. Quando firmi per una major, guadagni in fama, guadagni in denaro e guadagni anche in soddisfazione, ma perdi irrimediabilmente un pezzo molto consistente della tua indipendenza. Cose come “l’ultima parola sul proprio lavoro” diventano nient’altro che vecchi ricordi, perché neanche al più famoso dei gruppi viene mai consentito di uscire sul mercato se ciò che ha prodotto non è perfetto per l’etichetta, più che per il gruppo stesso.
Questo ragionamento Bushido lo conosce. Perché di fare il salto da indie e major l’ha deciso lui, e quando l’ha fatto sapeva esattamente dove stava andando e come e perché lo stava facendo. Perciò Bushido l’ha sempre saputo che, tornando allo scoperto, il momento delle pretese sarebbe arrivato.
Bill, invece, è sotto contratto da quando aveva quindici anni. Bushido sapeva quantificare ciò che stava perdendo in libertà proprio perché quella libertà, prima di firmare con la Universal, l’aveva vissuta pienamente. Bill no. Bill non ha mai vissuto in una realtà diversa da questa, e non ha mai vissuto nemmeno in una realtà in cui non sa dove andare a sbattere la testa perché ovunque sbatta fa troppo male per poterlo tollerare. Perciò non si aspettava che io arrivassi con la mia bella cartellina portandogli nuovo lavoro da fare. Si aspettava che le due realtà – la major e Bushido di nuovo in vita – non si incontrassero mai. Si aspettava una pausa, si aspettava che il resto del mondo in cui ha vissuto fino ad adesso fosse disorientato da quello che è accaduto esattamente come lui.
Non era preparato alle pretese. Non sapeva che sarebbero arrivate. Ed io non ho mai avuto il tempo né il modo di parlargliene, prima. Perciò il suo sguardo smarrito non mi ha stupito. Rattristato, sfiduciato, incupito. Ma non stupito. Bill è decisamente troppo piccolo, per tutto questo. Crescerà in un colpo, o finirà schiacciato dagli uomini troppo adulti che si è sempre ritrovato ad amare.
Ciò che Bill non ha mai tenuto in considerazione, nell’ultimo anno, nonostante sia uno che all’opinione della gente ci tiene eccome, è appunto cosa pensassero le persone di tutto quello che vedevano o sentivano. Nel corso di quest’ultimo anno, a Bill sono stati attribuiti flirt con chiunque gli gravitasse intorno, e perfino con tutta una serie di persone che invece col suo entourage non avevano niente a che fare. Questo perché la stampa scandalistica è un essere vivente e, in quanto tale, ha bisogno di nutrirsi. Il suo cibo è il pettegolezzo. Niente di diverso. Il lutto è stato un argomento di discussione valido per la stampa per un tempo addirittura minore di quanto non lo sia stato per Bill. Dopodiché i giornalisti hanno cominciato a pensare fosse assurdo che questo ragazzino ancora nel fiore degli anni non si concedesse, di tanto in tanto, qualche piccola scappatella. E si sono messi in moto per trovargliene una.
L’unico motivo per il quale non sono mai riusciti a dimostrare niente è che, in effetti, Bill di scappatelle non se n’è concessa nemmeno una. È passato dalla stretta asfissiante del proprio cordoglio a quella morbida e rassicurante di Chakuza, senza mai uscire allo scoperto con qualcosa di diverso. Per dirla in termini chiari, è stato come se fosse passato da una casa all’altra attraversando un sottopassaggio che le collegava. I giornalisti non lo hanno mai visto andar fuori con nessuno, e quando si è trattato di Chakuza è stato mio dovere coprirlo perché la loro storia restasse confinata in quella casa in cui Bill era passato, senza mai attraversare la porta principale ed uscire allo scoperto. Io non fallisco mai, quando mi si dà un incarico del genere. Deve ancora nascere il paparazzo che riuscirà a fregarmi.
Il risultato di tutto ciò, comunque – un risultato cui Bill non aveva dato la minima importanza, perché sì, per lui l’opinione della gente è importante, ma ogni singolo essere umano esistente al mondo è comunque scavalcato da se stesso, nella lista delle priorità – è che le illazioni dei giornalisti, dalla quasi totalità dell’universo intero, sono state prese, appunto, per semplici illazioni. Niente di diverso. E Bill è diventato una specie di vergine di ferro. Per i romantici, un ragazzino triste che non riusciva a liberarsi del fantasma del primo ed unico uomo avesse mai amato; per tutti gli altri, uno che, dopo aver capito quanti soldi poteva fare mostrandosi in giro al fianco di Bushido, ora aveva capito anche che poteva farne molti di più senza mostrarsi al fianco di nessuno. In entrambi i casi, per l’opinione pubblica, durante tutto quest’ultimo anno, Bill non ha mai combinato niente. Mai. Con nessuno.
Ecco perché, nel momento esatto in cui l’opinione pubblica è venuta a sapere della resurrezione di Bushido – pubblicizzata né più e né meno che con le armi che io stesso avevo fornito alla Universal, lasciando che i giornalisti raccontassero della dura vita del ghetto e di un uomo che non ci viveva più ma che, per quanto fosse andato lontano, non era mai riuscito a liberarsene – dopo il momento di smarrimento iniziale, dopo lo sgomento, dopo la realizzazione, dopo le risate per sdrammatizzare e cercare di tirare su milioni di fan che, per quella morte, avevano sofferto genuinamente, è venuta l’ora di pensare a Bill. E Bill, per tutti, era ancora la vedova sofferente di un anno prima.
Delle indagini di mercato che la Universal ha chiesto per organizzare un piano pubblicitario degno di questo nome e dell’evento che il ritorno di Bushido in Germania era, sono stato incaricato io. La Universal mi ha fornito un team di psicologi, sociologi e statistici e mi ha detto di tornare con dei numeri e delle percentuali ragionate. E quelle, naturalmente, non si sono fatte attendere. Ed erano sempre uguali. La gente li rivoleva insieme. Era la favola più romantica dell’ultimo decennio, più di Lady Diana, più di Carlo e Camilla, più di Letizia e Felipe di Spagna, più di chiunque altro.
Avessi dovuto sbrigarmela da solo, andando d’intuito e di supposizioni come ho fatto quando i Tokio Hotel li ho messi sotto contratto, quelli che sembrano milioni di anni fa, avrei raggiunto le stesse conclusioni di questo gruppo di studio, con la differenza che avrei potuto mentire al riguardo. Sarebbe stato pericoloso e folle e probabilmente mi sarebbe costato il posto di lavoro, ma avrei potuto farlo. A queste condizioni, circondato da gente pronta a parlare anche per cifre irrisorie, non potevo trattenere niente. E quindi il mio responso per la Universal è stato molto semplice e molto chiaro: se c’è qualcosa da organizzare, è fra Bill e Bushido che va organizzata.
Ed è fra Bill e Bushido che la organizzano, in effetti. Studiandola fin nel minimo dettaglio, la collaborazione, la promozione, il video, il packaging, un abbozzo di tour ed un mellifluo “stiamo a vedere come si evolve la cosa, prima di optare per qualcosa di più specifico”, come già questo non fosse specifico abbastanza. Ed è toccato a me andare da Bill ed osservarlo nel pieno della sua confusione mentale, per poi ricordargli che è ora di alzarsi e ricominciare a fare il proprio dovere. Che la sua vita non passa solo attraverso le mani dei due uomini che ha amato ed ama ancora, che la sua vita è qualcosa di più grande, che non appartiene a lui ma ad altri milioni di persone. Che l’ha venduta, la sua vita. “Solo quella pubblica”, mi dice lui, ed io annuisco perché è vero, ma gli ricordo anche che se si rifiuta di mostrarla ancora, quella vita pubblica, la gente comincerà a pretendere il privato. Bill ribatte che la gente lo sta già facendo ed io rispondo che non ha nemmeno idea di cosa possono arrivare a pretendere ancora da lui. Rispondo che il fatto sia ancora una stellina sulla cresta dell’onda non lo salva dal rischio di diventare una stellina che l’onda la guarda dal basso, ed alla quale non resta che lasciarsene travolgere. Gli rispondo che non ha idea di cosa ancora possano arrivare a chiedergli i grandi capi, non ha idea di che lavori umilianti siano costretti a fare i dimenticati dal mondo, per tirare su qualche spicciolo. Cantare alle sagre di paese, presenziare alle feste di compleanno dei ricchi rampolli della borghesia tedesca, è questo che vuoi, Bill? È questo che vuoi? No che non lo vuoi. Per cui non costringermi a ripetermi, Bill, alza il culo, oggi si comincia il restauro.
Morale della favola, per convincere Bill a muoversi non sono bastate le minacce, non sono bastati i rimbrotti, non è bastata la razionalità e suppongo non sarebbe bastata nemmeno una richiesta di Bushido o Chakuza in persona – figurarsi quella di un tizio a caso dalle alte sfere della Universal. Ho dovuto costringere al restauro anche Tom, pure se dall’etichetta per i Tokio Hotel adesso non hanno in programma niente. Se la cosa dovesse muoversi bene, è probabile che anche loro saranno coinvolti nel tour, ma per adesso è tutto molto vago e fumoso ed io preferisco di gran lunga non parlarne né con Tom né con Georg o con Gustav, perché Tom è già abbastanza esasperato dalla situazione e gli altri due ne sono già abbastanza infastiditi, senza che peraltro vedano il minimo motivo per sentirsene coinvolti. Posso capirli: un conto è dover faticare ed irritarsi per qualcosa che si sente come propria, per la quale ci si sente in diritto e in dovere di combattere – ed è quello che sta facendo Tom; un altro conto è osservare una situazione dall’esterno, detestarla già così e dover fronteggiare il rischio di sentircisi catapultati dentro senza la benché minima voglia.
Ciò che ho adesso per le mani, comunque, sono due ragazzini confusi e storditi, esattamente come prima, ma con due acconciature diverse. Non un gran guadagno, ma alla Universal sembra bastare. Almeno, è stato abbastanza per contattare Bushido e sottoporgli un ultimatum molto chiaro – ci diamo una mossa con una nuova canzone, o ce la diamo noi per te, una richiesta di fronte alla quale, lo sapevo, Bushido non poteva che cedere – e, subito dopo, contattare me e chiedermi gentilmente ma fermamente di cominciare a muovermi per un video.
Un video.
Confesso che, quando mi è piovuta la richiesta per telefono, fra capo e collo, un po’ m’è venuto da ridere. Finché si trattava di registrare e mandare il singolo in giro per radio, la cosa non era esageratamente problematica. Problematica sì, assolutamente, ma non era la fine del mondo. Ma un video. Un video. Prendere questi tre uomini ed i loro rispettivi entourage e costringerli insieme in un determinato posto. Follia.
Inutile dire che anche l’idea per il video è partita come suggerimento spassionato dagli uffici dei grandi capi. Naturalmente senza specifiche di alcun tipo, ma nel momento in cui ti senti dire “trova qualcuno che faccia al caso nostro, Jost”, e fino a due minuti prima s’è parlato di come sfruttare adeguatamente l’idea di Bill e Bushido come coppia reale dello showbiz tedesco, ancora viva nei cuori di migliaia di fan, chiaro che la prima cosa cui si pensa è portare il testo ad un regista con una certa passione per un determinato tipo di video, uno che sappia come sfruttare la chimica fra due persone, uno che capisca come funzionino queste relazioni, uno che sappia buttarle giù con uno storyboard spendibile sul mercato e tutto il resto.
Uno come Hans, insomma. Non avevo molta scelta.
Io ed Hans ci conosciamo da una vita. Ci siamo incontrati quando io ancora cantavo nei Bed & Breakfast, durante le riprese del video di Get It Right. Allora era appena uscito dall’accademia delle belle arti e non era che un ragazzino un po’ confuso che Herr Winkler aveva assunto da poco e maltrattava, da bravo regista ultracinquantenne con decenni di esperienza nel campo dei video delle boyband. Non ricordo bene com’è che facemmo amicizia, in realtà credo sia successo perché Hans aveva la brutta abitudine di lamentarsi sempre e comunque di qualsiasi cosa, era molto piagnucoloso – non che abbia mai smesso di esserlo – ed allora io ero un tipo dal cuore molto tenero che da queste cose si faceva prendere facilmente, perciò ci caddi con tutte le scarpe e finimmo per avvicinarci parecchio, anche se mai oltre un determinato limite – Hans è troppo checca perfino per il sottoscritto. Non che questo mi porti a volergli meno bene, ma a non desiderarlo sdraiato al mio fianco su un materasso sì, eccome.
Comunque sia, quando ho capito cos’è che volevano quelli della Universal da me, da Bill, da Bushido e da questa produzione, non ho esitato a contattare Hans. Perché è uno che sa il fatto proprio – almeno adesso – perché è bravo, perché sa lavorare e perché è un rompiballe. Che può sembrare una caratteristica poco meritoria, ma lo diventa improvvisamente tantissimo nel momento in cui si deve avere a che fare con gente ancora più rompiballe.
Nel caso di specie, Bushido.
Ora, ci tengo che non si pensi che il mio giudizio su Bushido sia falsato da ciò che provo per lui. D’altronde, puoi provare più o meno qualsiasi tipo di sentimento per un’altra persona, senza che questo oscuri la tua capacità di vederlo per ciò che è. Anzi, spesso è il contrario: quando provi qualcosa di più profondo per qualcuno è proprio perché l’hai visto in ogni sua sfaccettatura – anche le peggiori – e sei riuscito a dirti non che ti piacciono anche quelle – una cosa del genere è buona solo a riempire le bocche dei romantici, ma non può corrispondere alla realtà, non c’è verso per cui una persona sana di mente possa coscientemente amare un difetto – ma che puoi sopportarle, in favore di tutto il resto.
Quindi io lo so che Bushido è un rompiballe. Lo è per un miliardo di cose diverse, peraltro. Lo è per ciò che riguarda se stesso, lo è per ciò che riguarda la sua immensa e variopinta corte e lo è anche nei confronti di tutto il resto del mondo, perché quell’uomo è davvero fermamente convinto che, potesse mettere le mani su tutto l’intero orbe terracqueo per governarlo, sarebbe in grado di fare un lavoro splendido. Perciò tutto deve girare nel verso da lui prestabilito. È Bushido a stabilire l’ordine di rotazione della Terra e di tutti i pianeti circostanti, è lui che piazza il Sole al centro del Sistema Solare, è lui che traccia il tragitto di comete ed asteroidi, accende e spegne le stelle e regola l’espansione delle galassie. C’è poco da fare, quando uno vuole avere un controllo simile su tutto ciò che lo circonda. Non puoi non concederglielo, ed allo stesso tempo non puoi non limitarlo. Perciò io avevo bisogno di Hans. Avevo bisogno di qualcuno che fosse rompiballe tanto quanto lui, perché almeno ci fosse qualcuno pronto a litigarci, con Bushido, per costringerlo a vedere galassie diverse dalla propria. Per ricordargli che non è Dio ma un impiegato, e come tale deve lavorare.
Bushido, al momento, non è il maggiore dei miei problemi ma indubbiamente è un problema. Non può non esserlo anche quando non me lo trovo sotto gli occhi, perché anche quando non è con me, o io non sono con lui, in alcun modo posso dimenticare che al momento Bill e Chakuza stanno praticamente insieme e lui è praticamente solo. C’è una netta differenza fra ciò che il mondo sa – perché è ufficiale – e ciò che invece è vero e sappiamo solo noi. Il mondo sa che fra Bill e Bushido le cose sono tranquille – magari immaginano non siano più come un tempo, ma niente oltre a questo – non sa che Bill, quando dorme, dorme con Chakuza. E non sa che Bushido dorme solo in casa propria, con la compagnia di Fler in una stanza degli ospiti a caso, quando va bene. Ciò che è reale è questo. È ciò con cui dobbiamo fare i conti. Nessun altro oltre noi fa i conti con questo tipo di realtà, per il resto del mondo non esiste. Eppure è tanto vera che non ci si dorme la notte.
Mi sollevo dalla poltrona sulla quale sono stato affossato fino ad ora, poggiando il portatile bollente sul tavolino basso di fronte a me, e mi sgranchisco le gambe e le braccia, stendendo la schiena e mugolando soddisfatto quando sento le ossa crocchiare, i muscoli sciogliersi e i tendini riacquistare una parvenza di elasticità. Lancio una veloce occhiata all’orologio a muro: sono le undici ed io posso ragionevolmente dire di aver fatto quanto dovevo, per oggi. Il singolo è entrato in decima posizione nella classifica dei più venduti della settimana, e contando l’incertezza delle masse, in questo momento, è un risultato più che soddisfacente. Sarebbe qualcosa di cui gioire, se il gruppo per il quale lavoro fosse disposto alla gioia. Così non è, perciò la prendo come una gratificazione personale neanche tanto desiderata e mi chino ad arrestare il sistema, attendendo che il computer si spenga per chiuderlo e cominciare a prepararmi per andare a dormire.
Naturalmente c’è chi ha deciso che non posso. Potrei dare la colpa al buon Dio nel quale non è che abbia mai creduto, in realtà, ma visto che posso dare la colpa al suo più bravo imitatore qui sulla terra è nei confronti di Bushido che ringhio, nel momento esatto in cui rispondo al citofono e lo vedo apparire sul monitor, che guarda dritto in camera, come a ricambiarmi lo sguardo che gli sto lanciando io.
- Che sorpresa. – sbotto acido. Lui grugnisce qualcosa che somiglia a un “apri” ed io obbedisco roteando gli occhi e lasciandogli la porta aperta mentre torno in salotto e mi abbatto esausto contro il divano, preparandomi a quella che sarà sicuramente una discussione sfiancante. Semplicemente perché Bushido non viene a cercarti se non ha qualcosa da dirti, e non ha niente da dire che non sia sfiancante.
Appare sulla soglia della mia porta in jeans e maglietta, come si fosse appena alzato dal letto e si fosse messo addosso le prime cose trovate in giro per casa. Anche le infradito che porta sembrano ciabatte da casa, e nel complesso è molto buffo perché ha i capelli arruffati e si è appena sprecato a raccoglierli in una cosa disordinata, col risultato che un sacco di ciocche sono sfuggite all’elastico nero e sottile e ora gli incorniciano il viso, scendendo scurissime lungo gli zigomi, arricciandosi appena in punta.
È quasi illegalmente bello ed io distolgo lo sguardo.
Lui comunque non sembra della disposizione d’animo di venirmi incontro mentre mentalmente lo imploro di non essere, solo per una sera, se stesso. Perché quando è se stesso io non ragiono, ed in questo periodo ho bisogno di molta lucidità. E invece niente, Bushido non mi ascolta o non vuole farlo, e continua ad essere tragicamente se stesso mentre si lascia andare sulla poltrona al mio fianco e sospira pesantemente, il petto che si alza e si abbassa sotto il cotone sottilissimo della maglietta. È vecchia e usurata, attraverso le maglie un po’ slabbrate si intuisce il colore della sua pelle.
- Niente sonno? – chiedo fingendo disinteresse, sistemandomi sul divano in modo da poterlo guardare senza dovermi necessariamente voltare per farlo.
- No. – scuote il capo lui, guardando invece un punto a caso fra l’enorme vuoto che ha dentro il cervello e quello altrettanto grande che lo circonda. – Ho pensato di passare a vedere se eri sveglio.
Scrollo le spalle.
- Lo sono, come vedi. Ora, visto che è tardi e sono stanco, se-
- Tu non sei stato per niente un bravo collaboratore, David.
Spalanco gli occhi e non posso proprio, davvero, fare a meno di guardarlo. Perché tu, Bushido, non puoi dirmela una cosa simile. Io ho messo in gioco affetti, culo e credibilità, per te. Tu non puoi dirmi una cosa simile.
- Che intendi? – chiedo, glaciale. Ma perfino il mio astio si smorza quando lui solleva gli occhi nei miei ed io dentro ci vedo tanta di quella tristezza che una morsa mi stringe il petto e mi mozza il respiro, comprimendo la cassa toracica con tanta forza che mi sento mancare. Bushido era un uomo del quale si potevano dire moltissime cose, ma che fosse un entusiasta era indubbio. Perché era abituato a guadagnarsi ciò che possedeva, conosceva il brivido della lotta e del fare di tutto per ottenere qualcosa, ogni giorno era una sfida perché ogni giorno c’era qualcosa da rendere proprio o da mantenere tale. Nei suoi occhi adesso c’è solo un uomo che ha perso tutto e non sa né come riprenderselo, né se valga la pena tentare. E quindi forse è vero, Bushido. Forse non sono stato per niente un bravo collaboratore.
- Io credo che avrei fatto meglio a restare a Miami. – lo dice con una certa serenità, come non avesse fatto altro che pensarci per le ultime ore e questa fosse la naturale conclusione del suo naturale ragionamento, cosa che in effetti è anche possibile, considerata la situazione attuale. – Probabilmente, se avessi saputo che Bill era ancora nel giro ma era felice con qualcun altro… - si interrompe un attimo e si morde un labbro, esitando appena. Poi riprende, - Non ci sarebbe stato bisogno di dirmi che era Chakuza. Quello probabilmente non avrei voluto saperlo. Ma se avessi saputo che era semplicemente okay, non sarei tornato. Avrei trovato un altro modo, credo. L’Ersguterjunge è importante, ma guarda cosa ho fatto a Bill. E lui lo era di più, questa è una certezza. Eppure gli ho distrutto la vita, due volte, e non riesco a fermarmi. Continuo a farlo ogni volta che lo vedo. – lo sguardo è di nuovo fisso nel vuoto, sta ragionando fra sé. È insolitamente calmo, e questo vuol dire che sta insolitamente male.
Credo sia una cosa che succede spesso a chi ha la pretesa di gestire le vite altrui come fossero la propria, come fa Bushido. Quando gestisci la tua vita sai cosa aspettarti da te stesso. Se prendi una decisione, sai che gesti far seguire a quel pensiero. Se succede qualcosa, sai di chi è la responsabilità e puoi muoverti nella maniera più opportuna.
Gestire le vite degli altri non è impossibile. Solo che non puoi farlo come fossero pezzi di te stesso. È molto più complicato di così. Devi tenere ben presenti le differenze che separano ogni essere umano dall’altro, perché è solo grazie a quelle – grazie ai piccoli particolari che distinguono le persone – che puoi provare ad immaginare le loro reazioni ad una determinata decisione o ad un determinato evento. Bushido gestisce benissimo se stesso, ma dimentica di tenere a mente i particolari quando prova a gestire gli altri. Perciò, quando la vita gli ricorda che no, per quanto gli piaccia immaginare chi ama come un pezzo di se stesso, quelle persone comunque non lo sono, lui è sempre un po’ stupito, dalla cosa. Potranno passare anni, ma immagino sarà sempre così. Ora lui è qui che parla di Bill che si rifà una vita, di Bill che soffre nel vederlo tornare, di Bill che non sa più chi scegliere fra lui e Chakuza, e lo fa con rassegnazione, ma è una rassegnazione stupita e poco convinta. Perché non se l’aspettava e non riesce ad ammettere che al mondo possano succedere anche cose come queste. Cose che lui non ha previsto.
- Cos’è che dovrei dirti? – chiedo con un mezzo sospiro, massaggiandomi una tempia, - Hai ragione. Avrei dovuto dirtelo. Non l’ho fatto e se fossi stato più chiaro probabilmente tutto sarebbe andato in maniera diversa. Quindi cosa devo fare, adesso? Chiedere scusa?
Bushido resta in silenzio per un po’, prima di rispondermi.
- No. – dice alla fine, - No, non credo di volere le tue scuse. – si stira indietro contro lo schienale della poltrona, poggiando le braccia sui braccioli e continuando a guardare davanti a sé. – “Scusa” è solo una parola, in fondo. Sentirla o meno non mi cambia l’esistenza. Penso che le scuse andrebbero fatte solo quando possono servire a qualcosa. Salvare un rapporto o ricucire qualcosa che si è strappato. – mi guarda con un paio d’occhi indecifrabili, - Non credo che tu debba chiedermi scusa perché non ce l’ho con te e fra noi non è cambiato niente. Credo anche che sentirti in colpa, da parte tua, sarebbe molto stupido. Ci sono cose – continua con un sospiro, - che è difficile o impossibile prevedere. – e poi ghigna, - Se pretendessi delle scuse da te, dovrei pretenderle anche da me stesso. E non è così.
Ghigno un po’, scuotendo il capo.
- Figurarsi. – lo prendo in giro, - Il solo concetto è impensabile.
Lui ride di cuore, spalmandosi contro lo schienale della poltrona e scrollando le spalle. La sua espressione non cambia anche quando riprende a parlare, è sempre fissa nel vuoto ed ancora sorride, fa un po’ paura perché a vederlo così sereno si fatica ad intuire la tempesta che gli passa negli occhi.
- Sto facendo un casino dietro l’altro. – mi informa, come non lo sapessi già, - Patrick vive praticamente con me. Ed è strano, ed io non gli sto parlando come dovrei. C’è qualcosa che mi nasconde ed io non sto insistendo per farmela dire. – aggrotta un po’ le sopracciglia, pensieroso, - C’è qualcosa che vuole dirmi, sta solo aspettando che glielo chieda. E non glielo sto chiedendo, non voglio chiederglielo. – sospira, massaggiandosi la fronte, - Sto facendo così anche con Bill. Bill sta cercando di dirmi qualcosa ed io non glielo sto lasciando fare.
Traggo un respiro profondissimo, grattandomi distrattamente la nuca.
- Evidentemente non sei ancora pronto. – butto lì, scrollando le spalle. E Bushido lascia andare una risata piccolissima.
- Ho trentun anni. – mi fa notare, - Non c’è niente cui io non sia pronto. Se c’è qualcosa alla quale non sono pronto, vuol dire che sono cresciuto male. O non sono cresciuto abbastanza. Ed io non sono niente di queste due cose. Quindi, qualsiasi cosa sia quello che sto cercando di impedire a tutti voi di non-dire… dovrò accettarla e basta, penso. E decidere per conto mio.
- Continui a ripetere sempre gli stessi errori. – ringhio un po’, spostandomi a disagio sul divano, - Tu non stai impedendo niente a nessuno. Vola basso, Bushido, sei importante ma non sei il cazzo di creatore. Se Fler avesse voluto dirti qualcosa, pensi davvero che avrebbe aspettato una tua domanda? Se Bill volesse davvero dirti qualcosa, pensi che aspetterebbe placidamente che sia tu a lasciarlo parlare? L’aria di Miami ti ha stordito, o quello che è tornato in Germania non è più Anis, ma Tarek, perché ti ostini a dimenticare che siamo esseri umani, non marionette, e in quanto tali facciamo il cazzo che vogliamo, Bushido. Se Fler e Bill non ti stanno dicendo niente, vuol dire che non credono tu abbia il diritto o il dovere di sapere. È così che pensano le persone normali, Bushido. “Non lo so? Non me l’hanno voluto dire”. Non “Non lo so? Sto impedendo loro di dirlo.” Chiaro?
- Io non sono una persona normale. – ribatte lui, guardandomi dritto negli occhi.
- Lo sei! – mi agito io, battendo un pugno contro il bracciolo del divano, - Lo sei, Cristo santo, non sei davvero immortale, tu sei morto, Bushido!
- Non sono morto! – urla, alzandosi in piedi. Mi alzo a mia volta. Non che questo mi aiuti a fronteggiarlo da pari, ma almeno non è come continuare a guardarlo da seduto.
- Lo sei, Bushido! – sbotto gesticolando, - Respiri, il tuo cuore batte e rompi ancora i coglioni all’universo creato, ma tu sei morto! Sei un fantasma! E non sei più quello che eri due anni fa, devi venirci a patti!
Ed è così che mi ritrovo a sbattere contro il muro alle mie spalle, l’avambraccio di Bushido pressato contro il collo ed un dolore sordo che parte dalla base della schiena diffondendosi lungo tutta la spina dorsale, mentre respiro a fatica sotto la pressione del suo peso sul mio corpo.
- Io non sono morto. – ringhia a due centimetri dal mio viso, - È l’unica cosa che dovete davvero ficcarvi in testa, tutti quanti, e sulla quale non transigo. Io sono vivo, Jost. Sono vivo. Non sono un fottuto fantasma, sono vivo, cazzo.
Non rispondo perché non saprei che dirgli e perché non ho abbastanza fiato per farlo. In realtà dovrei dirgli che dargli del morto è inesatto tanto quanto dargli del vivo. Bushido è un uomo in bilico. Una parte di ciò che siamo muore giorno dopo giorno, questo è inevitabile. Con ogni persona cui diciamo addio, ogni posto che smettiamo di frequentare, ogni abitudine sulla quale smettiamo di insistere, va via un pezzo più o meno consistente della nostra esistenza. Quel pezzo muore, è irrecuperabile, ed è anche il motivo per cui siamo sempre persone diverse in qualsiasi momento della nostra vita ci si guardi.
Con Bushido, però, la cosa è ben più complicata. Non è un’abitudine, quella che lui ha ammazzato. Non è una frequentazione sporadica, non è una questione di conoscenza marginale o occasionale. Lui ha preso ciò che era, tutto, intero, completo, ci ha aggiunto ciò che era stato fino a quel momento, ed è quello ciò che lui ha ucciso. C’è un limite rispetto a quanto puoi uccidere di te stesso prima di ucciderti del tutto, e lui quel limite l’ha travalicato come travalica ogni limite gli si ponga davanti, perché – assoluto per com’è – doveva esserlo anche morendo. E quindi no, Bushido, tu non sei vivo. Forse non sei nemmeno morto, ma vivo non lo sei di sicuro, perché hai sacrificato troppo per esserlo ancora. Una persona può sacrificare un rene, può sacrificare un polmone, parti di stomaco o di intestino, parti di fegato, qualsiasi cosa. Ma prendere un cuore, asportarlo per intero e pretendere che un corpo continui a vivere è impensabile. Bushido non ha davvero una misura di ciò che ha fatto. E qualcuno dovrebbe dargliela.
Solo che io non sono capace. Perciò resto in silenzio e non riesco neanche a reggergli lo sguardo. Quando mi vede evitare i suoi occhi, mi lascia andare. Io scivolo un po’ contro la parete e fatico a reggermi sulle gambe, mentre mi massaggio distrattamente il collo indolenzito.
- Io non capisco cosa pretendi, Bushido. – dico sfiduciato, sospirando pesantemente, - Cos’è che vuoi? Che la vita riprenda il suo corso a partire dal momento esatto in cui sei andato via? O da qualche giorno prima, così da risparmiarci la visione del tuo corpo in un lago di sangue?
Stringe le labbra finché diventano due linee sottilissime, e lo vedo perché torno a guardarlo. Perché sono triste, per lui e per tutti, e non so cosa fare. Per la prima volta non ho idea di come risolvere questa situazione. Forse avevi torto, Bushido, forse avevamo torto entrambi. Non sono così bravo a sistemare le cose. Nemmeno quando serve.
- Io non so cosa dirti. – esalo alla fine, allargando arreso le braccia, - Non posso ridarti quello che hai perso, non può ridartelo nessuno. Non può ridartelo nemmeno Bill. Tu non hai perso solo lui, lo capisci questo? Te ne rendi conto?
Stavolta lo sguardo lo abbassa lui. Non muove un passo ma solleva una mano a coprirsi gli occhi. Osservo il movimento farsi sempre più stanco mentre massaggia la fronte e poi scivola fra i capelli, districandone nodi inesistenti e ravviandoli all’indietro, liberandoli dall’elastico e trattiene fra due dita e col quale comincia distrattamente a giocare, prima di tornare a guardarmi.
- Io non so cosa devo fare, David. – dice con sincerità così eccessiva da risultare dolorosa, - Io ho bisogno che tu mi dica cosa devo fare qui e adesso. Perché se tu non mi dici cosa devo fare della mia vita in questo preciso istante, penso che ne farò brandelli e la butterò nel canale, al suo posto.
Io sospiro, perché quest’uomo non è veramente gestibile. Continua a mettere la sua vita nelle mie mani, quando le mie mani sono l’ultimo posto in cui dovrebbe stare.
- Lo ami ancora? – chiedo a bassa voce, e lui lascia andare una mezza risata amara.
- Non fosse stato così, non sarei tornato. – ammette senza neanche pensarci su.
Io scrollo le spalle e sistemo la maglietta un po’ stropicciata.
- E allora ti sei risposto da solo. Sai già cosa fare. – lo osservo sbuffare un sorriso incerto, abbassando appena lo sguardo, e mi affretto a precisare, - E se interpreti quello che ti ho appena detto come “smetti di combattere e tornatene a Miami”, allora non hai palle.
Bushido ride e ride davvero, stavolta. Scuote lievemente il capo mentre ravvia i capelli fra le mani e li stringe in una coda piccola e alta dietro la testa, decisamente più ordinati rispetto a quanto non fossero quando è arrivato.
- Tu meriteresti di essere massacrato a legnate, Jost. – annuisce simulando serietà e ficcandosi le mani in tasca, - Ad ogni modo, grazie.
Sbuffo scrollando le spalle.
- Non ringraziare. Sono andato in vacanza alle Bahamas due volte, coi soldi che mi hai lasciato andandotene.
Ride ancora un po’, allontanandosi verso la porta dandomi le spalle e salutandomi con due dita, senza più guardarmi. Resto solo meno di due minuti dopo, ho come l’impressione di avere riaperto qualcosa che stava per chiudersi e non sono sicuro che qualcuno mi ringrazierà per questo. Non sono sicuro neanche che io stesso mi ringrazierò per questo, e peggio ancora non sono per nulla sicuro che lo farà Bushido.
Il portatile è spento, ma io non ho più sonno. Passerò la nottata a giocare a Free Cell.

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