Typisch Ich

di lisachan
Fler si attacca alla bottiglia con un’urgenza stranissima, e siccome non gliela vedo addosso da un sacco di mesi, questa necessità spasmodica di bere, un po’ mi preoccupo. Anche se mi rendo conto che forse avrei dovuto preoccuparmi già da prima, quando mi ha chiesto di uscire insieme perché doveva assolutamente parlarmi, ma io no, non mi preoccupo mai al momento giusto. Mi sono sentito dire “Usciamo? Ho bisogno di parlarti” ed ho pensato solo “Ah”. Ed era un “ah” ironico, del tipo “ma allora esisto ancora nel tuo mondo, pure se non ti fai più vedere e quando ti cerco sei evasivo e scostante”. Come se non sapesse che a me ‘ste cose danno fastidio.
A tutti gli effetti, l’ultima volta che ci siamo guardati negli occhi è stato circa due settimane fa, quando l’ho… quando gli ho di nuovo messo le mani addosso dopo una pausa che durava da… da Bill, praticamente. Analisi non ne ho fatte, conclusioni non ne ho tirate. Ho smesso di cercare di trovare un senso razionale al mio rapporto con Fler. Non c’è un senso razionale, siamo partiti col piede sbagliato e con quello continuiamo a camminare.
- Be’? Che mi dici? – provo a chiedere sorridendo, mentre rubo dal suo piatto gli stuzzichini che ci hanno portato con la birra. I miei sono già finiti perché sono così nervoso che li ho buttati giù senza nemmeno accorgermene.
Fler si guarda intorno con aria allarmata e posa la bottiglia. Gli rimane sul labbro inferiore una goccia di birra e la cancella velocemente con la lingua. Ci resto un tantino. Sulla lingua e sulle labbra. Il sapore di Fler lo conosco così bene che mi sembra quasi di sentirmelo addosso mentre lo guardo.
Devo calmarmi un po’.
Mando giù un altro stuzzichino.
- Non sono stato molto chiaro, quando ci siamo visti l’ultima volta. – comincia lui con una lucidità sorprendente. Fler è un tipo schietto ma s’imbarazza per un niente, che è una cosa che posso capire benissimo, visto che per me è uguale. Cioè, io sono meno schietto. Però m’imbarazzo lo stesso. Comunque adesso mi sta guardando negli occhi e non è imbarazzato neanche un po’. È perfettamente lucido e tranquillo, come se questo discorso se lo fosse ripetuto in testa per mesi.
Mi fa un po’ paura, come cosa. I discorsi si preparano solo quando sono importanti.
Annuisco vagamente ed allungo di nuovo la mano verso il suo piattino. Lui la schiaffeggia a mezz’aria.
- La pianti di mangiarti la mia cena? – ride, rilassandosi un po’ contro lo schienale, - Oggi sono da solo, non mi va di tornare a casa e cucinare. Fammi mangiare.
- Be’, potresti venire da me, passiamo dalla signora Lotte e… - mi fermo quando mi rendo conto che io per primo non capisco se lo sto invitando a mangiare o a fare altro. Nella mia testa c’è la stessa incertezza che leggo nei suoi occhi. La cosa è veramente spaventosa.
Fler sospira e mordicchia un crostino pieno di mozzarella filante, ma lo riposa subito. I suoi lineamenti si tendono all’improvviso, perché c’è crollato addosso il silenzio e non è facile riprendere un discorso in una situazione simile. Non è facile anche perché io lo sto guardando come se avessi paura di farlo sparire muovendomi, me ne rendo conto. Ma è tutto troppo strano, troppo serio forse, le nostre interazioni non sono quasi mai così. Spariamo cazzate o ci insultiamo, ma non siamo mai seri.
- Di cos’è che volevi parlarmi? – cerco di aiutarlo, chinandomi un po’ nella sua direzione.
Fler sospira, si morde l’interno di una guancia e manda giù un altro po’ di birra.
- Chaku, io adesso te lo dico, ma tu non dai di matto, okay? – e me lo chiede col tono incerto di chi sa perfettamente che ciò che dirà provocherà esattamente la reazione che sta cercando di scongiurare.
- Fler…? – lo chiamo incerto, aggrottando un po’ le sopracciglia.
- No, sul serio. – si sistema sulla sedia lui, mettendo le mani avanti, - Prima di tutto non è una cosa a lungo termine, e poi potrebbe essere la soluzione migliore, credo, e-
- Fler, tu stai giustificando qualcosa che non so. – gli faccio notare, vagamente allarmato, - Ti rendi comprensibile?
Sospira ancora, più forte, con aria quasi rassegnata. Poi cambia di nuovo posizione sulla sedia, e proprio mentre sto pensando che il suo non riuscire a stare comodo mi ricorda cose che non vorrei mai più richiamare alla memoria – e che però ogni tanto mi tocca ricordare comunque, se non altro perché me lo merito – lui parla.
- Ho pensato… - comincia piano, - che potrei andare un po’ fuori città. Non mi sembra che la mia presenza qui sia di aiuto a nessuno, dico, non a te né a me sicuramente, e Sido sta per andare in tour e pensavo che potrei andare con lui, anche perché è da tanto che non vado un po’ in giro a cantare e mi manca. Così sarebbe tutto molto più semplice, non credi?
Finisce di parlare ed io resto in silenzio. Lo fisso. E leggo nei suoi occhi lo stesso naturalissimo ragionamento che passa per il cervello a me: fosse un amico, sorriderei e direi “perfetto, Atze, mi sembra una cosa meravigliosa!”, gli allungherei una manata sulla spalla, gli offrirei il secondo giro di birra e poi lo saluterei augurandogli buona fortuna.
- Perché? – chiedo invece. Quindi mi sa che nel ragionamento perfettamente naturale di cui sopra c’è una falla. O che la falla sta nelle nostre teste. Per lo meno nella mia.
- Come, perché? – chiede Fler, spiazzato, inclinando il capo.
- Dico… - continuo, - l’altra sera… quando ti ho chiesto se non volevi più vedermi, hai detto che non era così, e ora-
- Ma non è che non voglia più vederti! – si affretta a correggermi lui, ma non mi guarda negli occhi. Cerco di resistere al bisogno di afferrarlo per il mento e costringerlo a farlo. – È solo per questo periodo, tu sei un po’ confuso ed è meglio che non ti stia intorno.
Aggrotto le sopracciglia e mi lascio andare ad un mezzo ringhio.
- Piantala di parlare come se capissi tutto. – borbotto contrariato.
Fler mi lancia un’occhiata supponente.
- E tu piantala di parlare come se io non capissi niente. – ribatte asciutto. – Hai questo brutto vizio, Chakuza, di considerarmi un cretino. È un errore madornale che continui a ripetere.
Incrocio le braccia sul petto.
- Io non penso che tu sia un cretino. – cerco di convincerlo, ma lui mi zittisce con un cenno della mano.
- Non ti stavo chiedendo il permesso. – dice duramente, - Parto dopodomani.
Spalanco gli occhi.
- …senti. – protesto a bassa voce, - Tu non puoi prendermi così per il culo, Fler. Tipo, non puoi dirmi… - abbasso la voce e mi avvicino, cercando di non attirare l’attenzione, - non puoi dirmi che non ti andava, l’altra sera, e pensare che io ci creda. Ti stavo toccando. Lo so che ti andava. Tu non capisci che non puoi dirmi no quando io so che dentro la tua testa c’è un sì. – lui fa una smorfia contrariata, ma io non mi fermo e non gli lascio il tempo di negare, - E non puoi dirmi che devi parlarmi di qualcosa e poi, vedendo che la mia risposta non ti piace, sperare di darmi a bere che non stavi chiedendo il permesso. Tu non sei mai sincero con me. Questa cosa deve finire.
Fler stringe le dita attorno alla bottiglia e mi fissa, sconvolto. Io trattengo il respiro.
- Chakuza… - comincia, ma si ferma subito. Ha gli occhi spalancati e ci posso vedere dentro tanto di quello schifo che mi sento male. Esita un po’ e per un secondo ho quasi paura che lo dica. Che finalmente lo ammetta a chiare lettere. Che lo sa, Cristo, che sa tutto, e che quindi sono io che dovrei smetterla di prenderlo per il culo. Piantarla e basta. Ma non lo dirà, io lo so. Infatti lo vedo abbassare lo sguardo e mordersi un labbro, posando un pugno chiuso sul tavolo, - …smettila. – conclude semplicemente. – È meglio per tutti.
Tiro un sospiro di sollievo e mi avvicino ancora un po’.
- Intanto, io non credo che sparire sarebbe meglio né per te né per me. – spiego, - Basta solo cercare di calmarsi un po’ tutti e due… - sono io che devo calmarmi, ma va be’, - Possiamo tranquillamente stare nello stesso posto senza che-
- Pensavo la stessa cosa mentre spostavamo l’armadio. – mi interrompe lui, occhi bassi, - E mi sbagliavo.
- Be’, quello magari è stato un errore. – non so dove voglio andare a parare, visto che ha ragione lui. Se resta, ricapiterà. È matematico. Lo so come funziona. Lo so come funziono. Funzioniamo così. – Possiamo evitarlo, in futuro.
- No che non possiamo. – protesta.
- Oh, avanti. – sbotto io, agitando una mano, - Non è che abbia voglia di saltarti addosso ogni volta che ti vedo. – Fler trasale e si irrigidisce sulla sedia. È offeso e io mi stupisco di quanto sia facile portarlo dove voglio. Poi mi ricordo che dovrei smetterla di stupirmi. In realtà io e Fler non facciamo che metterci agli angoli da quando ci siamo conosciuti. Il nostro non è un rapporto, è un incontro di boxe perenne. Lui mi spinge alle corde ed ottiene quello che vuole, e la stessa cosa faccio io nel momento successivo. È un meccanismo talmente rodato che pensare di interromperlo non è veramente possibile. – Non sempre, Fler, ma ogni tanto succede. – ammetto semplicemente. – Che dovrei fare? Ignorarlo?
La risposta è sì, ovviamente. La risposta che passa sul viso di Fler è “sì, stronzo, sì che dovresti”. Ma resta un riflesso sul suo viso, non si traduce in parole ed io sono ancora in vantaggio. Sono in vantaggio solo perché lui non mi sputtana, d’accordo, ma è un vantaggio comunque.
Paghiamo e usciamo in strada qualche secondo dopo; il vento secco e freddo del primo autunno mi sferza in pieno viso e tiro su il cappuccio della felpa, rimpiangendo immediatamente il tepore dell’interno del locale. Fler è teso e nervoso come mai, sento a pelle che, potesse, mi schiaccerebbe contro un muro e mi pesterebbe a sangue fino a farmi dimenticare come mi chiamo. È una sensazione che per certi versi posso capire: fino a due settimane fa ero perfettamente felice e sereno, non mi mancava niente. Da due settimane a questa parte, però, non faccio che darmi motivi per spaccarmi la testa contro un muro.
Forse dovrei farlo: risolverei un mucchio di problemi.
Passeggiamo in silenzio per un po’, mi pare di non avere una direzione, però a un certo punto ci fermiamo e Fler mi guarda.
- La tua macchina… è da queste parti? – mi chiede.
A me viene un po’ da sorridere. Certe volte si comporta in maniera assurda.
- No, dobbiamo andare da tutt’altro lato, verso-
- No. – riprende, scuotendo il capo, - La mia macchina è qui. – si ferma ed indica una mastodontica Escalade nera all’interno della quale la mia utilitaria entra due volte. Anche se me l’ha fatta sistemare per il compleanno – con il bagagliaio nuovo, la vernice nuova, la tappezzeria nuova, così bella come non mi sembrava fosse nemmeno quando l’ho comprata – resta comunque una cosa ridicola in confronto a questo gigante su ruote. Io rimango a boccheggiare qualche secondo e lui ne approfitta per continuare, - Io ora salgo e me ne torno a casa mia. Se vuoi, ti do un passaggio fino alla tua macchina. Poi tu ci sali e te ne torni a casa tua. – si ferma ancora, esita. – E poi sarebbe meglio non sentirci né vederci più, Chaku.
Odio che mi abbia detto una cosa simile col tono in cui l’ha fatto. Dolce, rassegnato, tranquillo. I toni della voce di Fler sono sempre molto chiari, perché quasi sempre lui sa esattamente cosa ti sta dicendo. Non parla a caso, Fler. Non apre la bocca per darle aria. È un uomo pratico, dice lo stretto indispensabile e te lo dice esattamente come deve dirtelo.
Odio che mi abbia detto una cosa simile con questo tono, perché adesso so che non stava mentendo quando mi diceva che no, non voleva. Non voleva davvero.
Odio che mi abbia detto una cosa simile. Lo odio e basta.
- Fler-
- No. – mi sorride appena, - Mi dispiace. Io ci tengo a te. È il massimo che sono disposto a dirti, Chakuza, ma tu sai esattamente cosa significano queste parole. Io ci tengo a te. Però non esiste, Chaku. Pensavo di… pensavo di star via per un po’ e credevo che, lasciando andare le cose com’era giusto andassero, quando fossi tornato avrei trovato una situazione migliore. Ma tu ci ricaschi, Chaku.
- Aspetta, Fler-
- No, guardati. – vorrei che la smettesse di cominciare tutte le sue frasi con un no. – Lo sai da quanto non mi guardavi così? – io deglutisco, ma mando giù solo aria. – Odio quando mi costringi a dirti cose simili. – riprende lui, un po’ infastidito, - Comunque questi occhi li ho aspettati per mesi e non sono mai arrivati. Tornano adesso quando decido di andarmene… ci ricaschi troppo facilmente, ed io sto cominciando a pensare che fra noi due non ci sia proprio niente, Chakuza.
Lo afferro per una spalla e lo sbatto contro lo sportello dell’Escalade. Lui non fa una piega, continua a guardarmi.
- Questo non puoi dirlo. – ringhio a bassa voce, - Non puoi dirlo, Fler.
- E invece lo dico. – non accenna nemmeno a scostarsi da me. Anzi, mi prende per il bavero della felpa e mi tira più vicino, così vicino che sento il suo respiro caldo addosso. Non capisco se mi sta torturando o se è solo dannatamente indeciso. Le sue parole non denunciano indecisione, comunque. – Lo dico perché mi stai mandando fuori di testa. Quando ho deciso di restarti intorno, Chaku, l’ho fatto dicendoti chiaramente di fare in modo che ne valesse la pena. Ti sembra di averlo fatto?
Lo afferro per i fianchi, di prepotenza, e mi schiaccio contro il suo corpo. Non mi interessa se siamo per strada. Non mi interessa se possono vederci. Non mi interessa neanche se vuole andarsene, io non lo lascio.
- Non in quel senso. – scuote il capo lui. Fra noi c’è la solita tensione di sempre. Fra me e Fler sono sempre scariche elettriche, non è mai una cosa tranquilla. Com’è che non le ho sentite, in questi mesi? Dov’ero con la testa?
E penso a Bill.
Lo penso a casa sua.
Lo penso che mi aspetta.
E penso a me e mi sento una merda.
Mi allontano.
- …no, credo di non averlo fatto, Patrick. – ammetto a bassa voce, - Mi dispiace.
Lui annuisce e si sistema i jeans, tirandoli su per i passanti della cintura. L’ho scombinato un sacco. Ha anche il giubbotto sollevato e un lembo di felpa incastrato nell’orlo dei pantaloni.
- Non ce l’ho con te. – dice, ma non è sincero. Vorrebbe non avercela con me. Però mi sta detestando. Probabilmente perché non riesco a trovare il modo giusto di trattenerlo.
So che un modo c’è.
So anche che dire addio a Bill per Fler, però, non è una possibilità contemplabile.
- Vorrei solo chiuderla nella maniera più semplice e tranquilla possibile. – continua lui, finendo di sistemarsi. Poi sbuffa un mezzo sorriso. – È patetico che io e te ci si decida a parlare chiaro solo alla fine, vero?
Mi inumidisco le labbra.
- Non volevo neanche che arrivasse, la fine. – dico sinceramente.
Lui ride un po’, è una risata per nulla risentita.
- Preferivi continuare a prenderci in giro tutti? – alzo lo sguardo e mi arrabbio, e lui ride ancora. – Te stesso compreso, ovviamente. – io sospiro e torno a guardarmi la punta delle scarpe. Sento ancora la sua risata, sottile e breve, e poi lo vedo chinarsi un po’ per recuperarmi: appoggia le labbra sulle mie e poi si rimette dritto, così che io sono costretto a risollevare il viso a mia volta, se non voglio perderlo. È un bacio così, asciutto e semplice. Non è per nulla una cosa nostra, noi non ci baciamo mai così. È sempre una cosa molto più fisica e bagnata, ed anche più violenta. Questa è una cosa che con noi non c’entra, ed è quello che mi fa pensare che un noi non c’è già più.
Però c’era. Io lo so. Che Fler ci creda o no, noi c’eravamo.
Le nostra labbra schioccano appena quando lui si allontana, ed io non ho il coraggio di chiedere di più, anche se lo vorrei. Anche se, mentre tenevo gli occhi chiusi e mi lasciavo baciare, non esisteva davvero nient’altro. Probabilmente dipende dal fatto che io e Fler abbiamo sempre usato il sesso principalmente come scacciapensieri. Più di ogni altra cosa, quelli erano i momenti in cui smettevamo di ragionare. Ed io decisamente avrei bisogno di smettere di ragionare, in questo momento. O di ricominciare a farlo, forse.
- Quello nel canale doveva essere l’ultimo. – mi dice piano, - Però potrebbe essere l’ultimo anche questo, suppongo.
Io sbuffo un po’.
- Ci pensi da tanto, eh?
Fler annuisce.
- Da molto più di tanto.
Restiamo in silenzio per qualche secondo, e nel tempo che passa Fler infila le chiavi nella serratura ed apre lo sportello, arrampicandosi disinvoltamente sul sedile e restando lì con una gamba penzoloni verso la strada e l’altra ben piantata sul bordo della portiera.
- Allora non ci vediamo più. – chiedo conferma, mentre sulle sue labbra affiora un sorriso tranquillo.
- Penso proprio di no. – annuisce.
- E non ci sentiamo più.
- No, Chaku. Non ci sentiamo più.
Annuisco anche io. Ho improvvisamente voglia di tornarmene a casa e prendere a cazzotti qualcuno dei soprammobili di gomma che mamma mi compra ogni tanto. Se ne esce con certe cose assurde. C’è un vaso – un vaso enorme, ha dentro fiori di plastica impolveratissimi – che servirebbe proprio bene allo scopo.
- Addio. – gli sussurro, mentre lui tira su l’altra gamba.
Fler ride.
- Come sei epico. – e sono le ultime parole che mi dice prima di chiudere lo sportello e farmi cenno con la testa di togliermi di mezzo, se non voglio finire investito dall’Escalade mentre la tira fuori dal posteggio.
Non lo seguo con gli occhi perché non voglio vederlo scomparire dietro un angolo. Cristo, non ricordo un giorno della mia vita nell’ultimo anno in cui Fler non ci sia stato, fra alti e bassi. Non può andarsene così, cazzo. Anche se l’ho lasciato andare, non avrei dovuto. Non è stato giusto.
Risalgo sul marciapiedi e comincio a dirigermi verso la macchina, le mani nelle tasche e lo scazzo che vortica a mille nella testa, quando squilla il telefono. Tiro fuori l’apparecchio con stizza e fisso lo schermo. È tardi per Bill, a quest’ora già dorme. E infatti non è lui.
- Eko…? – spalanco gli occhi e lo dico pure ad alta voce. Eko non mi chiama quasi mai, lo fa solo in momenti di reale bisogno. Quando è morto Bushido, per esempio.
Accetto la chiamata e rispondo.
- Pro-
- Chakuza, Cristo santo, ho un fantasma in casa!
Mi perdo.
Letteralmente.
Stringo il telefono fra le mani e deglutisco.
- Tu hai cosa dove, Eko?
- Cristo santo! – ripete lui, senza il minimo senso, - Il cazzo di fantasma! È tornato perché abbiamo fatto qualcosa di sbagliato! Cristo santo, Cristo santo! Chakuza, quando hai fatto fuori Saad tu eri sicuro che fosse lui l’assassino, vero? Perché se non era lui e quell’altro è tornato per vendicare il cugino morto, Cristo, giuro che ti appendo per le palle in Alexanderplatz, Chakuza!
Seriamente, non ho la più pallida idea di cosa stia parlando. So solo che quando ha nominato Saad m’è salito il cuore in gola e che spero vivamente non sia per strada a parlare di tutte queste cazzate, altrimenti lo appendo io per le palle in Alexanderplatz.
- Eko… - sospiro pesantemente, - È una serata di merda. Seriamente. Ma proprio di quelle che vorresti non fossero mai iniziate.
- Dillo a me! Apro la porta mentre aspetto il ragazzo delle pizze e mi ritrovo davanti il cazzo di fantasma che-
- Una serata di merda, dicevo, perciò… - controllo l’orario, - Eko, ‘cazzo chiedi la pizza a mezzanotte passata, scusa?!
- Ma non è la pizza il punto fondamentale, Chakuza! Tu hai dei problemi seri! – mi sbraita all’orecchio. E poi chiarisce una volta per tutte: - Il punto è che io ho aperto la porta e davanti mi sono ritrovato Bushido. Bushido, capisci?
No. Non capisco.
- Eko…?
- Un cazzo di fantasma, capito? Un fantasma. Cristo. – fa una pausa. – Io non ci rientro in casa, quindi tu ora mi passi a prendere e mi porti da te. E domani torno con un estintore bello pesante o qualcosa di più adatto. Come si uccidono i fantasmi, Chakuza?
- …dubito che la schiuma chimica funzioni. – sospiro. È evidentemente ubriaco. – Eko, senti. – non ci tengo a portarmelo a casa, stanotte, - Ora vengo da te e poi saliamo insieme. Così ti faccio vedere che non c’è nessun fantasma, in casa tua. Soprattutto non quello di Bushido.
- Fa’ un po’ quel che cazzo credi. – dice lui, improvvisamente compunto, - Comunque sono sicuro quasi al cento per cento che il fantasma sul pianerottolo sia colpa tua, in qualche modo contorto. Sei la fonte di tutti i mali. Magari dall’alto dei cieli ha saputo che vuoi chiudergli l’Ersguterjunge ed ora ci perseguiterà a vita.
- Eko, ti prego!
- Comunque il succo è: vieni perché sennò scappo da Kay. E tu non vuoi che io scappi da Kay, perché Kay vive in un porcile peggio di casa tua, e se sarò costretto a stare da lui poi vorrò le tue palle su un piatto d’argento.
- Per mangiarle? – sbotto irritato, - La tua fissazione per le mie palle è inquietante.
Mi manda a fanculo e chiude la conversazione senza neanche abbassarsi ad aggiungere altro.
Raggiungo la macchina in tempi ragionevoli ma non supersonici, ecco, se Eko è ubriaco può anche stare per strada a rinfrescarsi la testa per un po’. Intendo, non è il tipo cui salterebbero tutti addosso come Bill, e non è neanche il tipo da sfondarsi al punto da rotolare per i marciapiedi come Fler, perciò posso stare abbastanza tranquillo.
Quando arrivo sotto casa sua lo trovo a camminare avanti e indietro con aria furiosa, proprio di fronte al portone del palazzo. Accosto senza posteggiare, sperando di cavarmela in una decina di minuti, e scendo dall’auto.
- Cristo, Chaku, ci hai messo un’era! – mi assale lui, - Il senza-tetto? – chiede poi, guardandosi intorno. Si riferisce a Fler. Ogni volta che me lo vede piantato accanto parte col solito teatrino per il quale Fler in realtà non ha una casa e vive da me perché non ha i mezzi per pagarsene una propria, visto che è un rapper sfigato. Sarà meglio non parlare dell’Escalade con Eko.
Digrigno i denti e ringhio un po’.
- Non siamo mica sposati. – sbotto acido, - Non so nemmeno dove cazzo sia.
Lui annuisce.
- Questo spiega la tua ira, Atze. – dice con aria comprensiva, - Non dovresti rinnegare i tuoi sentimenti. Prendi esempio da Bushido, buon’anima: il suo fantasma sarà irrequieto, ma almeno nella vita s’è goduto tutto quello che ha voluto.
Per un attimo accarezzo con amore la possibilità di afferrare il cric dal portabagagli e prendere Eko a mazzate fino a lasciarlo svenuto per terra.
- A proposito di fantasma… - sbotto esasperato, - Non sono venuto qui per questo?
Lui annuisce come lo stesse ricordando in questo preciso momento.
- Eccome. – mi afferra per un braccio e comincia a trascinarmi, - Mi dirai tu se è vero o meno. Io, comunque, là dentro non ci torno.
- Va bene, va bene! Cristo! Ma non mi spingere così, so camminare da solo! – protesto quando prende a spintonarmi su per le scale, fino al secondo piano.
Facciamo tutto di corsa, che è una cosa che detesto – fare le cose di corsa, dico – e quando arriviamo di fronte alla porta dell’appartamento – ovviamente spalancata, Eko ha le pecore turche a pascolargli in testa, lo so – lui mi molla lì e si rifugia verso l’ascensore.
- Vai avanti. – dice con aria sconvolta, - Io aspetterò qui fuori il tuo urlo di terrore.
Sospiro pesantemente ed agito una mano, mandandolo a quel paese senza troppe cerimonie. Mi introduco nell’appartamento buio e silenzioso, convinto che tutto ciò che troverò sarà al limite qualche ladro che si è intrufolato qua dentro mentre Eko era fuori a sclerare e rompermi le palle, perciò mi sento addirittura fortunato quando vedo che l’ingresso è vuoto e così anche il salotto. Mi dirigo spedito verso la camera da letto, so che è là che Eko tiene gli orologi e le chiavi della Mercedes, perciò se c’è qualche malintenzionato sarà lì. L’idea del fantasma l’ho abbandonata da un pezzo. Era delirante, in fondo.
Per questo, quando mi si spalanca la porta del bagno di fronte al viso, quasi ci resto secco. Ma sul serio.
Perché questo non è un cazzo di fantasma. Qui non c’è proprio niente di simile. Qui c’è qualcosa di molto peggiore.
Qui c’è Bushido. Vivo.
Cristo.
Stringe una salvietta fra le mani e si asciuga lentamente i palmi, perfettamente a proprio agio. Io resto lì a guardarlo, troneggia su di me come una specie di statua di qualche dio antico. Ma ha un’espressione del cazzo che poi immagino sia la stessa che ho io. Voglio dire, mi fissa come se mi stesse vedendo per la prima volta. La luce giallastra del bagno lo colpisce in pieno da dietro, così che dal corridoio buio io non posso vederlo perfettamente in ogni dettaglio, ma scorgo la sagoma di una coda corta a svettare dietro la nuca e mi rendo conto del tempo passato.
Nove mesi.
Un anno fa sembra un altro universo.
Bushido è vivo.
- Chaky. – mi chiama lui, ed il tono è morbido e divertito. È esattamente la voce che ricordo. È lui. – Ho saputo che stai cercando di mandarmi in bancarotta. – e ride appena, uno sbuffo ironico e per nulla cattivo.
Continuo a guardarlo e non riesco a spiccicare una parola. Non riesco neanche a capire cos’è che dovrei dirgli.
Eko non mi sente urlare e si affaccia alla porta, fissandoci con aria allibita.
- Chaku… - mi chiama con voce tremante, - Perché non stai scappando?
Io deglutisco.
Non stacco gli occhi da Bushido.
Cerco a tentoni la tasca sui jeans ed il cellulare nella tasca. Quando lo trovo e lo sollevo all’altezza del viso, mi schiarisco la voce.
- Credo che chiamerò Fler. – esalo. E sono le prime ed ultime parole che dico, mentre Bushido ride e scuote il capo, per nulla stupito.
Cristo.
Non è stupito.
Se non è stupito da Fler… quante altre cose sa?
*
Riesco a sentire solo tre cose, in questo momento. Una è la voce di Eko, isterica e nasale e concitata, che si confonde nella raffica di domande con cui sta tartassando Bushido, che, per proprio conto, sta mangiucchiando pistacchi perfettamente a proprio agio, sul divano. Un’altra è la risata di Bushido stesso, che si intervalla alle domande di Eko quando si fanno troppo assurde. Tipo quando lui chiede se all’Inferno fa caldo e gli dà dello stronzo per non essere tornato prima.
Sopra tutto, comunque, sento il suono della linea libera sul cellulare di Fler. Che non mi risponde. Ovviamente.
Un po’ lo capisco. Me lo vedo, seduto al volante di quella cazzo di macchina enorme, che fissa il display del telefonino e impreca ad alta voce. “Che cazzo vuole ancora questo?”. Ti voglio qui perché c’è qualcosa che hai perso e abbiamo ritrovato. Ti voglio qui perché, anche se non lo sai, ho trovato qualcosa che hai perso e non volevo ritrovassi.
Ti voglio qui perché qui c’è l’unica cosa Bill abbia mai perso davvero.
E un po’ spero ancora che, se tu passassi attraverso quella porta, non vedresti niente, solo me ed Eko in paranoia di fronte al vuoto. Diresti “Be’? ‘Cazzo mi hai chiamato a fare, Chaku?”. Ed io mi guarderei intorno, Bushido sarebbe sparito e allora potrei ridere e dirti “Niente, non mi andava che te ne andassi, tutto qua”. E potrei avere ancora una possibilità di decidere per i giorni a seguire.
- Non ti ha voluto manco il diavolo in persona, Atze! – sento Eko che si affloscia sul divano accanto a Bushido con un tonfo pesante. Mi volto e lo vedo che sta lì, vicinissimo al bracciolo, come avesse paura di toccarlo, - Stai sul cazzo anche a lui!
E Bushido ride ancora.
Io interrompo la chiamata – che tanto squilla a vuoto – ed allo stronzo in fuga mando un messaggio. “Devo parlarti di Bushido”. Speriamo che almeno così la smetta di fare l’adolescente ribelle.
Bushido sta ancora ridendo e sgranocchiando pistacchi, nel mentre. È perfettamente tranquillo, neanche non fosse andato mai via. E invece di mezzo c’è una morte – la sua – un coltello in una pancia – la mia – un bacio – sbagliato – una relazione – la nostra, mia e di Fler – un’altra morte – di Saad – e un’altra relazione – la nostra, mia e di Bill.
Una resurrezione, francamente, mi pare eccessiva.
Lo stronzo in fuga non richiama. Ringhio e lo richiamo io. Non mi aspetto che risponda, voglio solo rompergli i coglioni, e invece eccolo che risponde al primo squillo, furioso.
- Chakuza, sei patetico, tirare fuori Bushido per-
- È vivo. – lo interrompo, senza aspettare che abbia concluso il cazziatone.
Lui rimane zitto e non respira nemmeno.
- Sei pessimo. – riprende a fatica dopo un po’, - Se era un tentativo di zittirmi per-
- Era un tentativo di zittirti. – ammetto, - Per poi spiegarti che è vivo davvero.
Fler esita. Io guardo ancora Bushido ed Eko – Eko gli sta rubando il pacchetto di pistacchi dandogli del fantasma egoista del cazzo – e Bushido solleva lo sguardo verso di me e mi sorride. Lo fa con calma e naturalezza, come ha sempre fatto. Sorrideva di continuo. È una cosa di cui ho parlato anche con Fler, in un tempo che mi sembra lontano secoli, ed anche lui ha ammesso che era vero, Bushido da quando era all’Ersguterjunge sorrideva sempre. Fler ha aggiunto acido anche “perché i problemi li aveva lasciati a noi poveri stronzi e di tutto il resto si era dimenticato”, ma il punto della questione era un altro: Bushido sorrideva sempre perché non aveva motivo di essere triste. La sua vita era perfetta.
È assurdo che sia morto e poi tornato in vita per ritrovarsi in mano un qualcosa che non esiste più. Non so nemmeno come farò a dirglielo.
- Chakuza. – mi richiama Fler dall’altro lato della cornetta, - Cosa cazzo stai dicendo?
Sempre che in qualche modo non lo sappia già, ovviamente.
- Vieni a casa di Eko. – ordino, comunicandogli l’indirizzo. Lui fa una smorfia infastidita di cui sento l’eco in un lamento. Lo zittisco. – È una cosa seria, Fler. Vieni. – vienitelo a riprendere.
Lui interrompe la chiamata imprecando ad alta voce, io ripongo il cellulare in tasca e torno in salotto, aggirandomi con aria inquieta attorno al tavolino basso davanti al divano.
- Lo stronzo sta a due isolati da qua. Ci puoi pensare? – mi dice Eko, che continua a fissarmi con gli occhi a palla come fosse ancora sicuro che l’ipotesi fantasma sia più razionale rispetto all’ipotesi “sono ancora vivo”. – Da due settimane. E indovina dov’è stato prima, per tutto questo tempo.
Bushido ride.
- …non ne ho idea. Sotto terra? – provo, fissando Bushido con lo stesso sguardo allucinato col quale Eko fissa me.
Bushido ride ancora ed io, sinceramente, vorrei la piantasse.
- A Miami! – sbotta Eko, allargando le braccia in segno di profondo sgomento.
In un primo momento non capisco. Penso solo: è a Miami che si va, dopo morti?
Poi realizzo.
E un po’ mi viene anche voglia di mandarlo a fanculo. A Miami va, il bastardo. A Miami.
Prendo fiato.
- Bushido, tu eri morto. – metto bene in chiaro, così che nessuno di noi possa scordarlo, visto che qui mi pare si stia passando sopra la cosa con un po’ troppa leggerezza. Lui annuisce e mi fa segno di sedermi in poltrona. Io obbedisco senza fiatare.
- È complicato da spiegare, Chaky. – dice, con una certa tenerezza, - Ma vi dirò tutto, piano piano. Prima, però, ho delle questioni da risolvere.
Ed io sono lì che tremo e prego in un centinaio di lingue che fra le varie questioni da risolvere non ci sia anche Bill, che suonano al campanello.
Io guardo Eko ed Eko guarda me.
- Mbe’? – sbotta, sollevando supponente il mento, - È il tuo uomo, tu l’hai chiamato, vai ad aprirgli.
Lo mando a fanculo e mi alzo in piedi mentre Bushido ride ancora – anche se c’è una sorta di tensione, nella sua risata, una nota un po’ stridente che nelle risate di prima non c’era. Non fatico a ricollegarla alla presenza di Fler oltre quella porta. A meno che non sia il ragazzo delle pizze che Eko minaccia di denunciare da ore.
Apro la porta e di fronte a me c’è un Fler che non ho mai visto in vita mia. Ha quattordici anni negli occhi, non uno di più. Poi non è cambiato per niente, ma gli occhi bastano: sono enormi, liquidi e persissimi. E dovrebbero essere gelidi, perché quando Fler è scazzato i suoi occhi diventano pezzi di ghiaccio, ma non c’è traccia di freddo in fondo alle sue pupille. Non ce n’è davvero per niente. Sono caldi, anzi. E non stanno guardando me.
- Sei venuto davvero… - esalo, un po’ sconvolto. A saperlo, avrei usato la scusa di Bushido per quando ha continuato a darmi picche nell’ultimo periodo.
Stupido Peter. Piantiamola un po’. Me lo dico da solo, va’.
Lui annuisce, comunque.
- Se scopro che è una cazzata, Chakuza, ti prendo a calci nelle palle fino a fartele uscire dalla gola.
Sospiro e mi lamento anche un po’.
- Ma che avete tutti stasera con le mie povere palle? – mugolo, scostandomi lievemente dall’uscio per farlo entrare.
- Le tue palle sono un pericolo pubblico. – precisa lui con una mezza risata, sfilandosi la giacca ed appendendola all’attaccapanni. Poi torna a guardarmi. È ancora un ragazzino e questa cosa mi distrugge in un modo che non capisco. Mi fa venire un groppo in gola che non so decifrare. – Mi spieghi un po’? – chiede appena, - E… a proposito… quello stronzo del padrone di casa?
- Eko è di là… - spiego, indicando il corridoio con un dito. Esito un po’, prima di aggiungere il resto. - …con lui.
Fler deglutisce e stringe le labbra.
- È tornato dalla morte?
Io scuoto il capo. No, è tornato da Miami.
Mi mordo la lingua.
- Pare non sia morto affatto, in realtà. E… sappia un mucchio di cose.
Fler annuisce anche troppo tranquillamente. Guarda un punto a caso nel vuoto e socchiude appena le palpebre, come si stesse perdendo nei propri pensieri ed avesse bisogno del giusto tempo per farlo. Poi sbuffa una mezza risata.
- Mi scazza e mi sembra anche un po’ assurdo da dire, - confessa alla fine, - ma è così schifosamente da lui che non fatico neanche a crederci. – poi scuote il capo e torna a guardarmi. – Mi ci porti? – e lo dice con lo stesso identico tono di un bambino un po’ impaurito che chiede al padre burbero di accompagnarlo sull’ottovolante.
Annuisco senza volerlo fare davvero e lancio un’occhiata alla porta come a chiedermi se esista la possibilità di afferrare Fler per il cappuccio della felpa, uscire da quest’appartamento e riprendere il corso della nostra vita esattamente per com’era prima di stasera. Non ho il tempo di concludere il pensiero che sto già portando Fler al cospetto di Bushido – ed è una cosa molto epica, a pensarci; questi due si sono lasciati accoltellandosi. Voglio dire. È assurdo.
Entro prima di Fler e non so bene come annunciarlo. Ci vado giù in maniera tranquilla.
- Atze? – e mi sento vagamente in colpa ad usare ancora questo soprannome, - Senti, c’è Fler.
Bushido ride e la voce di Patrick mi arriva dritta alle spalle come una pugnalata. È vicinissimo.
- Non ho mica bisogno del permesso, per ricevere udienza, io. – mi supera e si para davanti a Bushido con una calma impressionante, - Ho il lasciapassare automatico.
Bushido non si alza. Nemmeno si muove. Resta seduto sul divano e lo guarda con un sorriso strafottente sul volto. Sembra incredibilmente più giovane anche lui, il che è strano. Immagino sia l’effetto della presenza di Fler.
Ci sono un sacco di cose che mi vanno di traverso, stasera. Non mi piace proprio come si sta mettendo la situazione in generale.
Fler sorride appena e si siede sul tavolino basso, proprio di fronte a Bushido. Le loro ginocchia quasi si sfiorano e Fler si piega un po’ in avanti per guardarlo dritto negli occhi.
- Ero lì, quella notte, perché volevo dirti che eravamo a posto, Atze. – lascia scivolare le parole fuori dalle labbra con naturalezza disarmante, - Ero lì sotto per questo. Non sono stato io. Volevo dirtelo. Non sono stato io. E siamo a posto.
Bushido inspira ed espira, senza perdere il sorriso.
- Lo so. – dice a bassa voce. Non aggiunge nient’altro.
Vorrei poter dire qualcosa anch’io. Vorrei poterli mandare a fanculo entrambi, tanto per cominciare. Bushido perché è tornato, Fler per altre duemila ragioni. Cazzo, a guardarlo mi viene un nervoso che non so nemmeno descrivere. Mi prudono le mani. Ha ancora sulla faccia quel sorrisino di prima e lui e Bushido che si guardano negli occhi senza dire altro sembrano una cosa unica nata insieme. E mi viene da ridere perché Fler me l’aveva pure detto: non esplicitamente, ma tutte le volte che partiva in quarta a parlare di Anis, dietro ciò che diceva c’era sempre un concetto di base che lo vedeva coinvolto con lui in un modo diverso rispetto al modo in cui era stato coinvolto con chiunque altro nella sua vita. Ed io lì a ridere e prenderlo in giro. Io lì a pensare che fra noi ci fosse… io lì come un cretino.
Aveva ragione Fler. Se mai c’è stato qualcosa, non c’è più nulla già da un pezzo. E se pure un qualche frammento era rimasto, nell’ultimo minuto è stato spazzato via.
O almeno così mi sembra.
Non facesse così fottutamente male, forse lo capirei meglio.
Bushido si piega in avanti a propria volta. Lo fa con un sorriso strafottente sul volto. Si piega in avanti e sfiora quasi la fronte di Fler con la sua.
- …non so come chiamarti. – ride alla fine, e Fler lo segue, socchiudendo gli occhi e scuotendo il capo, - Mi viene in mente di tutto. – c’è Eko che li fissa sconvolto e poi guarda me quasi in imbarazzo, ma loro lo ignorano. Ci ignorano. – Ragazzino, Frank, Fler…
- Patrick andrà bene, Anis. – lo interrompe Fler, sorridendo più apertamente.
Patrick non va bene neanche per un cazzo. Io lo chiamo Patrick solo quando lo rimprovero. Neanche quando scopiamo. Fanculo. Patrick non va bene neanche per un cazzo.
- Io comunque non sono tornato dall’altro mondo per una rimpatriata. – dice ad un tratto Bushido, alzandosi in piedi e venendo verso di me, mentre Fler prende e si mette comodo sul tavolino, piantando i palmi sul vetro e stirandosi un po’ indietro con un mezzo sorriso soddisfatto sul volto. Non mi vede più da almeno mezz’ora e quella posizione lì mi fa incazzare oltre ogni dire. – Potrà sembrarti assurdo, Chaky, ma sono venuto per parlare con te.
Sollevo lo sguardo e lo fisso, sconvolto.
- Con me?
Ma vaffanculo, anche.
Lui annuisce.
- Volevo dirti personalmente, - dice con tono scherzoso, - di piantarla di mandare in malora la mia attività, prima che io ti prenda per le palle e te le stacchi di peso per usarle come bolas. – Fler scoppia a ridere. Anche Eko. Vorrei che lasciassero tutti in pace le mie palle ma mi rendo conto da solo che hanno ragione loro a volerle su un piatto. – Poi naturalmente lo ripeterò anche agli stronzi della Universal, ma con te ci tenevo a discutere la cosa in maniera più rilassata. – continua tranquillamente. – Quindi, magari, ora che sai che sono vivo, me la lasci aperta l’Ersguterjunge?
Avrei solo una domanda, da fargli, ed è: se dico sì, poi scompari?
Naturalmente, però, non chiedo. Mi limito ad annuire. E lui mi stringe al collo in un mezzo abbraccio grato che fa sorridere Fler.
Ironico. È la prima volta che mi vede da minuti interi. L’ha fatto solo quando Bushido mi ha toccato.
*
Eko non riesce fisicamente a stare zitto. Probabilmente è una reazione allo spavento e allo stupore ed anche alla felicità di ritrovarsi Bushido vivo e vegeto in carne ed ossa, proprio di fronte agli occhi. Continua a porgli domande allucinanti stile “e con cosa andavi in giro a Miami? Camicie hawaiane?”. Chiede e gesticola e chiede ancora e Bushido non fa che ridere e rispondere, “sì, Eko”, “no, Eko”, “nella maniera più assoluta e totale no, Eko, mai”, e tutto quello che io riesco a registrare, di tutto questo, è che Fler non gli ha ancora staccato gli occhi di dosso.
È una cosa incredibile, non l’ho mai visto comportarsi così: è come se ci fossero delle calamite, addosso a Bushido. Ovunque vada, comunque si muova, gli occhi di Fler non lo abbandonano mai, neanche per un secondo. È stato così anche durante quella dannata puntata di TRL, ma allora Bushido era un’immagine su uno schermo piatto a cristalli liquidi, non era una minaccia.
…ed allora io ero ancora una persona migliore. Una persona che non pensava a Bushido come ad una minaccia, appunto.
Comunque sia, sono ancora infastidito. Da qualche parte nel corso di questa serata, mentre Eko parlava e Bushido rideva e rispondeva senza guardarlo, ricambiando solo gli occhi azzurri di Fler con un compiacimento addirittura irritante, m’è venuta voglia di mettere una mano fra di loro. Una cosa proprio da bambini, mettere la mano ed agitarla, come a dire “allora? Vi ricordate che ci sono anch’io, qua di lato?”. Ma la verità è che non mi hanno messo loro in un angolo, mi ci sono rifugiato da solo, perché non ho la più pallida idea di cosa fare. Quest’uomo, prima di morire, mi ha affidato delle cose. Ed io dovrei, tipo, fare rapporto, no? Aggiornarlo sullo stato dei suoi beni.
Solo che il bene che mi ha lasciato io me lo sono preso.
E questo è un problema enorme.
Mi alzo in piedi.
- Mentre Eko continua a chiederti… cos’è che gli hai appena chiesto, Eko?
- Se ha visto qualche donna che s’infilava una noce di cocco su per il-
- Mentre Eko continua a chiederti delle discutibili abitudini sessuali delle flori… comunque si chiamino le donne che vivono in Florida, - Fler e Bushido ridono contemporaneamente, e Fler scuote pure un po’ il capo con rassegnazione. Mi sento vagamente in imbarazzo, - …io vado a preparare un caffè. Sarà una nottata lunga.
Bushido annuisce semplicemente ed io mi rifugio fra le quattro mura piastrellate della cucina di Eko. Una cucina palesemente vuota, peraltro, perché pare che tutti i rapper abbiano la brutta abitudine di non passare mai del tempo in casa propria. Tant’è che Eko è sempre buttato da Kay. Il quale però è sempre buttato dalla madre, perciò alla fine passano entrambi tutto il tempo a casa della povera donna. Col risultato che casa di Eko è quasi sempre vuotissima.
Armeggio qua e là spalancando tutti gli stipetti, perché non può davvero esistere un uomo che non tenga in casa del caffè ed una moka, ed infatti alla fine trovo tutto e, sospirando di sollievo, mi metto a preparare, sperando di perdere abbastanza tempo per… non so nemmeno io per che cosa. Per far riposare il cervello e tornare di là con una scorta di lucidità sufficiente ad affrontare quello che mi aspetta, suppongo. Anche se non ho idea di cosa mi aspetti, perché mi fa paura immaginarlo.
Mentre metto la caffettiera sul fuoco, sento Fler ridacchiare alle mie spalle ed aggrotto istantaneamente le sopracciglia, voltandomi a guardarlo. Lo trovo con le braccia incrociate sul petto, appoggiato con una spalla allo stipite della porta. Mi fissa, palesemente divertito, con un sopracciglio inarcato. Dio, odio quando è così… così.
- Be’? – chiedo sgarbatamente, ricominciando ad aprire ante e sportelli alla ricerca di qualche tazzina o, al limite, dei bicchierini di plastica. Il punto è che non posso pensare eroicamente cose tipo “mi aspetta la morte ma non cederò di un passo”, e pensarlo a riguardo di Bill, e poi vedermi apparire Fler sulla soglia e provare il desiderio praticamente irresistibile di tirarlo in cucina, chiudere la porta e stenderlo sul ripiano accanto al lavello. Non è… non posso continuare a fare così. Non posso.
Lui mi viene accanto ridacchiando serenamente, e mi aiuta nella ricerca.
- Sei troppo nervoso. – mi dice, - È un comportamento sospetto.
Be’, grazie, lo so anch’io.
- Non dovresti essere di là a ricordare a Bushido che non hai mai avuto occhi per altri che per lui? – ringhio infastidito, e lui si ferma e mi guarda per un secondo. Poi scoppia a ridere.
- Tu sei assurdo! – commenta ironico, - Come puoi essere geloso in questo momento?!
- Non sono geloso! – cerco di difendermi, anche se dovrei cominciare a ricordarmi più spesso che mentire a Fler serve a poco. Un po’ perché fiuta le menzogne – come quell’altro, accidenti a lui – ed un po’ perché comunque si convince di quello che vuole e poi ci marcia indipendentemente da come stiano le cose in effetti. Insomma, proprio come quell’altro. Stramerda.
- Chakuza, Dio mio, ma il fatto che io sia andato via, poco fa, non ti è servito a niente?
Spengo il fuoco sotto la caffettiera.
- Sei stato via praticamente mezz’ora. – borbotto a bassa voce, - Cosa vuoi che sia cambiato, in mezz’ora?
Vorrei che Fler si offendesse – in genere, quando lo prendo per il culo, lo fa – ma non fa che ridacchiare ancora e scuotere il capo.
- È che il discorso sulle noci di cocco aveva cominciato ad inquietare anche me. – dice, ignorando la frecciata e riprendendo il dialogo dall’inizio, - E poi volevo vedere come stavi.
- Oh, ma guarda. – sbotto, con la maturità di un bambino di dieci anni, - T’interessa?
Lui mi fissa per un secondo, ed in quel secondo i suoi occhi azzurrissimi brillano in maniera spaventosa.
- Certo che mi interessa, Chaku. – sospira, - Proprio perché m’interessa-
- Ora non partirtene col discorso di rito stile “è per te che lo faccio”. Non l’hai fatto per me, quando te ne sei andato.
Si appoggia al mobile ed allunga una mano ad aprire lo stipetto più in alto. Le tazzine sono là. Lui nemmeno le guarda, continua a fissare me.
- In ogni caso, sono stato via solo mezz’ora. E sono tornato quando mi hai chiamato.
- Perché ti ho parlato di Bushido.
Scrolla le spalle.
- Il motivo non è importante.
“Col cazzo”, vorrei rispondere, ma lo trattengo in punta di lingua perché questa discussione è già abbastanza assurda così.
- Dimmi la verità, Fler. – lo sfido, versando il caffè, - Perché sei tornato?
Lui sospira pesantemente e infila le mani nelle tasche. Sotto la spinta, i pantaloni si abbassano appena, scivolando lungo la sua vita e lasciandomi intravedere un lembo di pelle appena sopra i fianchi. Deglutisco.
- Cosa vuoi sentirmi rispondere, Chaku? – chiede lui, quasi dolcemente. – A questo punto, posso dirti tutto quello che vuoi. Non è importante.
- Sei tornato per vedere lui? – ringhio, voltandomi improvvisamente a guardarlo. Lo trovo che già ride.
- Sì. – dice tranquillamente, - O, in alternativa, per sventrarti in caso mi avessi detto una balla solo per farmi tornare. Soddisfatto così?
Soddisfatto un cazzo.
Sospiro pesantemente, mentre Fler recupera due delle quattro tazzine colme di caffè, allontanandosi verso la porta.
- Ah, dimenticavo. – dice con aria falsamente casuale. E lì capisco che mi sta prendendo in giro, o torturando, o comunque non si sta comportando in maniera corretta nei miei confronti. Odio avergli dato abbastanza ragioni per farlo senza sentirsi in colpa. – Anis vuole il riassunto delle puntate precedenti. Ed io quello che dovevo dirgli gliel’ho già detto.
- No, manca ancora la dichiarazione d’amore. – sbotto acido.
Fler non si abbassa al mio livello, inarca un sopracciglio e ghigna.
- Dici? – domanda allusivo, e poi scompare oltre la soglia.
Quando torno di là con la tazzina mia e quella di Eko, Fler è di nuovo seduto sul tavolino e sta di nuovo guardando Bushido come non vedesse altro. Mi rassegno: non è come, è così.
Resto in piedi, passo la tazzina ad Eko ed osservo Bushido che beve il proprio caffè e poi posa la tazza sul tavolino, proprio accanto al punto in cui è seduto Fler. Lo sfiora col braccio, proprio lì sul fianco, e per un attimo io guardo i loro corpi che vengono a contatto, colgo il leggero brivido che scuote le spalle di Fler e colgo anche quel breve lampo di compiacimento che increspa le labbra di Bushido, e mi chiedo cosa stia esattamente succedendo in questa stanza. Se si stiano comportando così solo perché sanno perfettamente che Eko certe cose non le vede – o fa finta di non vederle – e che io piuttosto che parlarne con anima viva mi farei volentieri sparare.
Non lo so.
Mi viene voglia di menare le mani, comunque.
Mi riscuoto quando Bushido si schiarisce la voce e mi chiama.
- Allora, Chaky… - dice, mettendosi comodo sul divano ed incrociando le braccia sul petto, - Cosa mi racconti?
Ed io per un attimo mi sento confuso. Cosa gli racconto? Cioè, davvero, cosa tiro fuori dal cappello? Cosa gli dico? Cosa, che non abbia a che fare con Bill – perché non voglio nemmeno che ci pensi – o con me e Bill – perché il solo pensiero che lo scopra in questo momento mi terrorizza – o con me e Fler – perché ho la vaga impressione che sarebbe perfino capace di uccidermi, se sapesse i dettagli di quest’ultimo anno.
Cosa mi invento?
Lancio un’occhiata a Fler e lui non è d’aiuto. I suoi occhi sono freddi e vuoti, mi guarda quasi con la stessa curiosità con cui mi guarda Bushido. Come se si stesse chiedendo anche lui “vediamo come se ne tira fuori”.
Io mi seggo su una poltrona e richiamo alla memoria i brevi stralci di racconto che sono riuscito a cogliere dalla conversazione fitta di domande e risposte assurde fra Bushido ed Eko, prima che Fler arrivasse. Bushido è qui da due settimane. Due settimane fa – come quasi sempre, quando abbiamo potuto, negli ultimi mesi – Bill era con me. Probabilmente era con me anche mentre lui era in volo. E mentre quest'uomo atterrava, il suo ragazzino urlava il mio nome, nel mio letto. E, cazzo, stavamo da Dio. Ora Bushido mi chiama Chaky, e la cosa mi devasta. Non so più nemmeno se odiarlo perché è tornato o chiedergli di essere comprensivo prima ancora di avergli detto perché.
Mando giù a fatica un respiro che sembra di cemento, tanta è la resistenza che fa mentre mi scende per la gola, e poi guardo il pavimento e comincio a parlare.
- I primi mesi dopo che sei morto – parlo come stessi parlando ad un fantasma. Forse perché quasi preferirei che fosse così. – sono stati un casino. Non sapevamo davvero dove voltarci o cosa fare. Era tutto un chiedere, interviste di continuo. Ci siamo gestiti abbastanza bene, ma è stato pesante.
Bushido sorride appena.
- Mi dispiace. – lascia scivolare fra le mie parole, senza interrompermi davvero. Io annuisco e riprendo.
- TRL ci ha un po’ scombussolati. Ma d’altronde già allora avevo parlato con Fler, e quindi sapevo che lui non c’entrava niente. È stato… molto d’aiuto, in quel periodo. – e mi stupisco di essere riuscito a non nominare Bill nemmeno una volta. Bushido inarca le sopracciglia. Se ne accorge, forse. Capisce che c’è qualcosa che non va. Non lo so. Io continuo. – Poi Fler mi ha convinto a fare qualche indagine. E così abbiamo scoperto chi era stato a farti fuori. – mi prendo un attimo di pausa per capire come dirglielo, perché credo che queste non siano notizie facili da dare. Queste non sono nemmeno notizie che si danno, in genere. Non dici a un morto chi l’ha ucciso. Non quando ti può ascoltare, almeno.
Lui, comunque, mi anticipa.
- Saad. – dice, ed io sollevo gli occhi nei suoi e lo fisso come se lo stessi vedendo adesso per la prima volta. – L’ho immaginato quando ho saputo che era morto. – mi spiega lui con un mezzo sorriso. – Sono stato… mi sono tenuto informato, ecco.
Io annuisco e deglutisco ancora, con maggiore difficoltà. Mi sembra che più cose io tiri fuori più ciò che resta dentro si allarghi e prenda tutto lo spazio. E mi rendo conto che in realtà non è così. In realtà è solo Bill che si espande. Prima stava compresso nel mio petto assieme a tutto il resto, ma adesso tutto il resto sta uscendo. E lui si sta riprendendo il suo spazio. Ed io non voglio buttare fuori anche lui. Non voglio.
- Quindi siete stati voi a- - comincia Bushido, ma non finisce, perché Fler lo ferma.
E, visto che Fler mi conosce, lo fa.
Sa che io non lo tirerò mai fuori. Sa di doverlo fare lui al mio posto.
- Ti ha vendicato Bill, Anis.
Bushido si irrigidisce sul divano. Lo faccio anch’io, sulla mia poltrona.
Fler respira per tutti e due. È l’unico che lo faccia, d’altronde.
Eko si schiarisce la voce e si alza in piedi.
- Me ne vado al cesso. – borbotta con tono serio, - Voi raccontategli pure dei mesi in cui piangeva di continuo, io non voglio più sentirne nemmeno accennare. – commenta, sparendo in corridoio. Eko ha tutta una serie di problemi, quando si parla della sofferenza di Bill. Un po’ perché l’ha sempre considerato una lagna, un po’ però anche perché ricordo che i primi tempi, quando passava a trovarmi e lo trovava piangente sul mio divano, non sapeva mai che pesci prendere. La principessa in lacrime lo confonde, non sa come consolarla. E c’erano serate in cui i suoi soliti movimenti goffi e sgraziati non bastavano a far sorridere Bill. Di quelle serate, Eko non vuole più sentir parlare.
Quando sento la porta chiudersi, Bushido sta già preparando quella faccia lì. Quella delle domande gravi e importanti. L’ultima volta gliel’ho vista addosso quando mi ha spiegato cosa avrei dovuto fare con Bill in caso lui fosse morto. Rivederla adesso, quando ho mancato in quasi tutti i compiti che mi erano stati assegnati – tranne in quello di tenerlo vivo – è tremendo.
- Come sta Bill?
Lo chiede a voce bassissima. È il tono delle grandi occasioni. Delle grandi domande. Di quelle che non ammettono rispose elusive.
Ed io non so che dirgli.
Sta bene, perché sta con me.
Sta bene, e non so come starebbe se sapesse di te.
Sta bene, e non voglio che scopra di te.
Sta bene, ed ho paura di immaginare che starebbe meglio se gli dicessi che sei vivo.
- Sta bene. – ma è la voce di Fler a parlare. – Sta bene, Anis. Non preoccuparti.
Lui annuisce e vedo chiaro nei suoi occhi il desiderio di chiedere di più. Però non sa cosa, e di questo ringrazio, perché giuro che io non so più neanche cosa pensare. Figurarsi se riuscirei anche a dirgli qualcosa. Comunque solleva lo sguardo e lo fissa nuovamente su di me, riprendendo a sorridere.
- Grazie, Chaky. Sei stato un ottimo braccio destro.
Io lo guardo ed è la prima volta in mesi che mi viene da piangere.
Fler si alza in piedi.
- Credo che dovremmo andarcene tutti a casa a dormire, Anis. – dice a mezza voce, sorridendo sereno, - Te compreso.
Lui ride.
- Io da qui non mi muovo, Eko ha una camera degli ospiti che è un paradiso. – scherza, alzandosi a propria volta. – E poi credo che abbia ancora qualche altra curiosità su noci di cocco e signorine di facili costumi, da soddisfare. Visto che comunque… - si prende una pausa e deglutisce, - …sono stato via a lungo, mi sembra giusto restare finché non sarà completamente a posto.
Andiamo via con Eko che ci strilla alle spalle di non lasciarlo solo con il fantasma. Bushido lo afferra per il collo e se lo tira dietro, strofinandogli forte le nocche contro la testa, fra i suoi addolorati lamenti di protesta, e Fler ride ad alta voce e dice ad Eko che ognuno ha quello che si merita, e mentre lui lo dice io non posso che pensare che è una delle cazzate più enormi che gli siano mai uscite di bocca. Mi chiedo se ci creda e, mentre lo osservo smorzare il sorriso fino a lasciarlo scomparire del tutto appena la porta si chiude, realizzo che no, non ci crede affatto, e ritrovo un pezzo del mio Fler – intendo, quello che ho conosciuto io, quello con cui ho praticamente diviso tutto per gran parte dell’anno scorso e quello a cui ho continuato a pensare mentre andavo avanti con la mia vita intrecciandola alla vita di Bill.
Sospiro.
- Sei stato insopportabile. – commento mentre ci avviamo verso l’uscita.
- Sì, me ne sono reso conto. – annuisce lui, tranquillissimo, - Mi dispiace. Non è una cosa che controllo. Dovresti averne una mezza idea.
Sospiro ancora, mentre apro lo sportello della macchina posteggiata qua davanti.
- Stai continuando ad essere insopportabile. – gli faccio notare, infilandomi nell’automobile. Aspetto che faccia il giro della macchina e prenda posto al mio fianco, lo aspetto con una naturalezza perfino disturbante, ma mi accorgo che è disturbante solo nel momento in cui lui è effettivamente seduto e ci guardiamo come non avessimo idea di cosa fare adesso.
- Ti accompagno a casa? – chiedo a mezza voce, continuando a guardarlo incerto.
- Ovviamente sì. – risponde lui, quasi inorridendo. – Che pensavi?
- Non pensavo. – mi mordo un labbro. – Ci credi, se ti dico che non pensavo, vero?
- Ovviamente no.
Ingrano la marcia e metto in moto la macchina.
- L’Escalade la lasci qui?
- Sì. – annuisce lui, - Ma se deve essere tutto questo dramma, riportarmi al mio fottuto appartamento, la recupero e vado da solo.
- Fler, ti prego, è stata una serata abbastanza difficile-
- Ed io dovrei già essere a letto con i bagagli pronti per dopodomani. – ringhia ancora lui, guardando la notte fuori dal finestrino. – Cazzo. Ora come lo dirò a Sido?
Lo guardo, fermandomi al semaforo.
- Dirgli cosa?
Lui sospira pesantemente, scuotendo il capo.
- Che non parto più.
Scatta il verde ma io non mi muovo. Nessuno suona perché sono le due del mattino e questa zona a quest’ora non è affatto frequentata, perciò resto lì a due passi dall’incrocio e l’unica cosa che riesco a pensare è…
- Non parti?
Fler sospira ancora e si volta finalmente a guardarmi. Lo vedo che fa fatica. Mi dispiace che debba fare tutta questa fatica. So che era più facile per lui, quando poteva concentrarsi solo su Bushido. So che non è facile restare da solo con me. Lo vedo dal modo in cui trema appena la luce nei suoi occhi.
- No. – risponde alla fine, - Qualcuno dovrà pure essere nei dintorni a raccogliere i pezzi, quando dirai a Bushido che il suo ragazzino ora è il tuo ragazzino.
Mi si ferma il cuore in gola e ripenso all’inizio di questa serata. A me che, sicurissimo, riflettevo e mi dicevo che era impossibile Fler lo ammettesse ad alta voce. Assolutamente impossibile. E parlavo, sicuro del mio vantaggio. Adesso mi sento vulnerabile come un bambino.
- …già. – annuisco, rimettendo in moto. – Mi dispiace. – aggiungo poi. Mi ci sento quasi costretto.
Lui ride.
- Pensi davvero che ce l’abbia con te per questo? – chiede a mezza voce. Io non lo so. So solo che dovrebbe avercela con me e basta, per un motivo qualsiasi. Scelga lui. – Noi siamo a posto, Chaku-
- Non è vero. – mi guarda, io lo evito. – Non è vero che siamo a posto. Non dirlo.
Lo sento sospirare ancora.
- Okay. – annuisce alla fine.
Non diciamo più nemmeno una parola, fino a che non arriviamo sotto casa sua. È lì che, quando lo vedo scivolare fuori dalla macchina, mi viene voglia di fermarlo. Ci sono delle serate che ho trascorso con Fler che ricordo come infinite. Una è quella in cui l’ho violentato. Una è quella in cui abbiamo ammazzato Saad. Questa è un’altra. Sono sempre sere che è difficile lasciare andare via. Lasciare che si concludano sembra assurdo. Lo fermo afferrandolo saldamente per un polso e lui ricasca sul sedile. Ha fatto la stessa cosa quella notte lì, la prima delle nostre notti infinite, solo che allora cadere l’ha costretto a mugolare di dolore. Ora sospira soltanto, rassegnato, come se lo aspettasse.
- Dimmi, Chaku.
Sospiro anch’io.
- Allora ci vediamo domani?
Lui si volta a guardarmi.
- Potresti… non lo so, fregartene? Fare finta che io non esista? Dimenticarti di me, cancellarmi completamente da quella testaccia di cazzo che ti ritrovi? È un’ipotesi contemplabile, Chakuza?
La risposta viene fuori naturale.
- No.
Restiamo immobili solo per un secondo. Lui ha già le gambe fuori dalla macchina ed una mano piantata nel sedile a sostenere il peso del corpo. Quando la solleva per afferrarmi per il bavero del giubbotto, si avvicina quasi automaticamente, e prima di poterlo realizzare davvero ci stiamo già baciando – frenetici e sconvolti, pure con una certa rabbia, come se nessuno dei due lo volesse davvero, o odiasse dover ammettere di volerlo, invece.
Si stacca da me con violenza, ansimando, ed io lo trattengo per la maglia. Non lo vedo, perché lascio gli occhi chiusi.
- Cristo. – me lo sussurra sulle labbra, - Vaffanculo. A te, ai tuoi no del cazzo e a questa situazione di merda. Vaffanculo.
Non rispondo, continuo a cercare di recuperare un ritmo più decente per il mio respiro. E continuo anche a trattenerlo.
- Lasciami andare, Chakuza, Cristo santo. – mi implora lui, quasi con dolore, ma non mi toglie le mani di dosso. Continua a stringermi per il giubbotto.
- Ti lascio appena mi lasci tu.
- Vaffanculo.
- Piantala.
- Vaffanculo, Chakuza.
Restiamo a respirarci addosso ancora per qualche secondo, in perfetto silenzio. Poi mi lascia andare e, quando lo fa, anche io lascio andare lui. Mi ritrovo i suoi occhi addosso appena apro i miei. Sono furiosi e gelidi. Deglutisco.
- Ora sono io che dovrei chiederti perché l’hai fatto. Dopo avermi detto che non volevi più vedermi, poi. – dico duramente, reggendo lo sguardo, - Ma non te lo chiedo, Fler. Perché lo so già. Tu che dici?
Dice che mi tira un cazzotto, evidentemente.
Batto con la testa contro il finestrino, dietro, e mi faccio un male cane. Non so se mi fa più male la testa o lo zigomo su cui è arrivato il cazzotto.
- Cazzo! – mi lamento, cercando di massaggiarmi ovunque contemporaneamente, - Fler?
Lui è già uscito dalla macchina.
- Sei un pezzo di merda. – mi dice, furioso, - Ci vediamo domani. – e poi chiude con violenza lo sportello ed entra nel palazzo, scomparendo alla mia vista.
Rientro in casa mezz’ora dopo con un mal di testa allucinante e lo zigomo gonfio e bollente. Vorrei ficcare la testa nel freezer, almeno… non so se servirebbe a qualcosa, in realtà, ma è quello che voglio fare adesso – anche solo per andare alla ricerca di un qualche cosa di freddo da mettermi in faccia – quindi apro lo sportello, e prendo a smadonnare quando chiaramente il cazzo di aggeggio è del tutto allagato, dal momento che ha deciso di rompersi. Fanculo anche a lui. L’acqua è colata fin nello scompartimento di sotto, e ne viene fuori un odore disgustoso. Dio che schifo.
Dovrei pulirlo, probabilmente, ma non mi va per niente. Sfilo il maglione che odora di Fler e mi viene la nausea. Sarà il senso di colpa: visto che sono troppo incasinato per percepirlo davvero, si presenta come voglia di vomitare. Sono già a due passi dal bagno, quando squilla il cellulare.
Il nome sullo schermo mi gela il sangue nelle vene. Lo fisso per un tempo che mi pare lungo minuti interi e non riesco a decidermi su cosa fare. Sono quasi le tre. Dovrebbe stare dormendo.
- Bill? – chiamo piano appena riesco a convincermi ad accettare la chiamata, - È successo qualcosa?
- Aaaah, Peter! – mi strilla nell’orecchio, ma non è un urlo spaventato, è solo concitato e un po’ ansioso e c’è anche una traccia di quell’eccitazione irrazionale che prende Bill quando è preoccupato per qualcosa di stupido che sa perfettamente andrà nel migliore dei modi ma sul quale si diverte a ricamare drammi senza motivo. – Ci hai messo una vita a rispondere, mi stavo preoccupando!
- Bill… - sospiro, - ma hai visto che ore sono?
- Sì, naturalmente, ma dovevo chiederti se sei riuscito a fermare Fler, non pretenderai mica che aspettassi domattina! Se non ci sei riuscito dovrò andarlo a recuperare io personalmente. – borbotta con aria cospiratoria, - Scommetto che hai fatto fiasco. Devo mettermi il cappotto? Metto il cappotto. Mi passi a prendere? Andiamo insieme.
Mi passo una mano sulla testa, cercando il bernoccolo. Lo trovo e lo pesto un po’. Cristo che male.
- Bill… - lo richiamo, mugugnando, - …sono quasi sicuro che tu mi abbia nascosto qualcosa.
Lui si lascia andare ad una mezza risatina imbarazzata.
- Fler mi aveva chiesto di non dirti che voleva andarsene. Perché voleva parlartene lui per primo, capisci?, non potevo tradirlo.
Mi si conficca uno spillo nel petto solo a sentire la parola. Solo a sentire lui parlare di tradimento. Lui che per me ha sfilato l’anello e il bracciale di Bushido. Li ha tolti di mezzo – e li aveva tenuti addosso per mesi, prima – solo per far spazio a me. Ed io… Cristo.
- Non devi preoccuparti per lui. – lo rassicuro, deglutendo a fatica, - Ha deciso di restare, alla fine.
Bill strilla contento.
- Davvero?! Ma è fantastico! E come ci sei riuscito?!
Ha provato ad andarsene e me lo sono stretto contro, Bill. Tutto qui.
- Gli ho fatto capire che avevamo ancora tutti bisogno di lui.
Bill ride ancora.
- Bravo! – si complimenta, - È vero.
- Già.
Mi lascio andare sul divano e poi affondo il naso fra i cuscini. C’è l’odore di Bill, qui. È un odore piacevole, un odore tranquillo. È sempre lui, sempre uguale, sempre lo stesso da mesi. Non è un intruso, non è sbagliato, è l’odore che dovrei avere addosso sempre. Poi ripenso a Bushido vivo in casa di Eko. Non so più quale sia l’odore giusto. Non lo capisco più.
- Peter? – mi chiama lui, - Sei stanco, vero? Lo sento dal modo in cui respiri.
Sbuffo una mezza risata.
- Capisci se sono stanco dai miei respiri?
Ridacchia anche lui.
- Ovviamente sì. – dice con una punta di orgoglio. – Ci sentiamo domani verso mezzogiorno? Così dormiamo e poi ci organizziamo per la giornata, okay? Ho voglia di vederti…
Inspiro ed espiro e penso solo al profumo.
- Sì, anch’io ho voglia di vederti.
Bill ride.
- Allora ci sentiamo domani. Buonanotte. – dice a bassa voce, prima di interrompere la conversazione.
Tutte le luci di casa sono spente ad eccezione di quella del bagno. Sento il bisogno fisico di una doccia, ma sento molto più il bisogno di dormire qui, perciò lascio perdere l’odore di Fler. Lo butto fuori dalla testa a calci. Affondo ancora più profondamente fra i cuscini e mi addormento.

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