The things we do for love
Voglio dire, non ho mai avuto veramente dei problemi a trovarmi una donna, nemmeno da ragazzino, nonostante uno sia portato a pensare il contrario, non essendo io il classico tipo che qualunque donna adora - non sono alto, non sono esattamente bellissimo e, di certo, non mi si apprezza per la pettinatura. Ho sempre avuto un certo ascendente, però. O forse sono solo testardo e quindi se m'impunto, non mollo la presa tanto facilmente. So rendermi interessante, ecco.
Ad ogni modo, non era delle mie tecniche di conquista che volevo parlare. Quello che stavo pensando è che, tutto sommato, le mie relazioni sono sempre state piuttosto superficiali. Silvia esclusa. Ma lei è una parte della mia vita che preferisco non riportare alla luce. Anche con Klaudia, che a tutt'oggi è ancora la mia relazione più lunga, il rapporto che c'era non è mai stato davvero profondo. C'eravamo io e lei e c'erano le volte - tante - che facevamo sesso. Non c'era molto altro. Uscivamo poco e non parlavamo quasi mai, e non posso certo dare la colpa alla mia carriera. Era appena iniziata e ad ogni modo, non ho mai avuto impegni tanto pressanti da non permettermi di occuparmi della mia vita privata. A ripensarci adesso, credo che quella relazione - come tutte quelle precedenti - non fosse molto profonda perché io non ho davvero mai cercato di avere una relazione. Non che evitassi coscientemente di averne una, è che pensavo mi bastasse stare insieme a qualcuno per averla. Come se fosse automatico, in un certo senso. Ed è curioso che io abbia scoperto soltanto adesso, con un ragazzo, che così non è. Del resto, sarebbe impossibile relazionarsi con Bill come mi sono sempre relazionato con le donne che ho avuto. Innanzi tutto perché fra me e lui le cose sono iniziate in un certo modo: non ci siamo incontrati in una discoteca e lui non è venuto da me ancheggiando con uno scopo preciso. Con Bill non è partito tutto dal sesso e, trattandosi di me, questa è una differenza di discrete proporzioni. Io non ero abituato a conoscere una persona pima di andarci a letto e, a dirla tutta, non ero abituato a conoscerla nemmeno dopo. Voglio dire, non è che Klaudia fosse un'estranea ma delle sue piccole abitudini, di come ragionava o di quello che voleva non ero un granché esperto, nè volevo esserlo. O meglio, pensavo che non fosse necessario. Eravamo due entità ben distinte. Io. Lei. Fine della storia.
Io e Bill, invece, siamo iniziati molto prima del momento in cui ci siamo baciati la prima volta, che è, tipo, una roba stranissima, ogni volta che ci penso. E non sto dicendo che ci fosse chissà cosa tra me e lui, prima di quel bacio, anzi non c'era proprio niente, però eravamo amici, potevi dire Bill e Chakuza e voleva già dire qualcosa. Quando Bill è entrato a far parte della mia vita, io non ci pensavo neanche alla possibilità che potesse piacermi. In quel senso dico. Era un maschio, tanto per cominciare - indipendentemente da quello che poi sembrava, guardandolo. E io non pensavo che potessero piacermi i maschi. E poi, ovviamente, quando Bill è entrato nella mia vita, era una Principessa innamorata del Re, il che significava che non parlava d'altro e non vedeva altro che non fosse Bushido. Portarlo a spasso era come guardare una puntata speciale di Mtv Rap, ma nella sua variante "Fidanzati a Berlino." Il punto preciso della questione, però, è che non mi importava un accidenti di cosa parlasse, perché averlo intorno era una cosa bella comunque, anche se mi stendeva a furia di chiacchere, anche se si fermava ad ogni negozio, se provava quintali di pantaloni e se fra un gelato e una confezione gigante di caramelle, doveva rendermi partecipe di una vita sessuale di cui avrei fatto volentieri a meno. Soprattutto perché coinvolgeva il capo della mia etichetta e uno non vuole mai veramente sapere com'è il proprio capo a letto.
La cosa tremenda di Bill è che il cuore me lo ha portato via piano piano, un pezzo alla volta e io nemmeno c'ho fatto caso. All'inizio ero solo curioso di capire che tipo fosse uno che era riuscito a far mettere la testa a posto a Bushido. Poi, tra una cosa e un' altra, ero diventato quello che stava con Bill quando Bushido non c'era. Un po' perché era stato Bushido a decidere così, un po' perché Bill - parole sue - preferiva stare con me che con gli altri, perché gli altri non erano esattamente amichevoli nei suoi confronti. Alla fine, quando Bushido è morto e Bill si presentava senza preavviso a casa mia, con del cibo cinese comprato di corsa, io lo guardavo e mi stupivo di trovarlo bellissimo quando sorrideva arrossendo. In realtà non avrei dovuto stupirmi affatto, perché Bill aveva avuto un sacco di tempo per prendersi tutto, cuore e testa, ero io a non averlo capito.
Quando per tutta la vita stare con una persona ha sempre significato farci del buon sesso e trovarti bene con lei in maniera molto generica, è un po' spiazziante scoprire di volere una persona nella maniera totalizzante in cui io, ad un certo punto, ho capito di volere Bill. Ho già detto altre volte che non mi sono mai posto domande sulla mia omosessualità che ad un certo punto è venuta fuori tutta insieme, l'unica cosa che mi ha stupito, in realtà, è stata l'intensità del mio desiderio, la quantità di cose che mi sarebbe piaciuto fare con lui e quante di queste, stranamente, non implicassero il sesso.
E' stato sconcertante, davvero, anche se quando lo dico la gente normale ride. D'altronde, su questo punto, io non sono mai stato tanto normale. Lo so, ecco.
La questione è, alla fine, che tutte queste cose che volevo - uscire, passeggiare, andare al cinema, comprargli il gelato al parco, magari, e vederlo che come al solito ci si sporca da capo a piedi, che è una cosa che fa anche in casa, per dire, ma è diverso, tirarmelo dietro per mano, portarlo da qualche parte, noi due soli, che sono anche un mucchio di cose gay, ora che ci penso - tutte queste cose, dico, le facciamo molto raramente perché nessuno sa di noi e non è così facile organizzare qualcosa. Io odio questa situazione. Odio non poter dire a nessuno che Bill è mio, ora. Odio l'idea che se lo dicessimo scatenerremmo un putiferio e che solo Bill, alla fine, ci andrebbe veramente di mezzo per mille motivi diversi. E odio che per tutti questi fottuti motivi io non posso fare niente di ciò che voglio. E' frustrante, ed è anche insopportabile, soprattutto quando Bill mi telefona e ha quella vocina che mi stringe lo stomaco.
"Ehi," rispondo sempre così quando mi chiama, sorridendo. E poi so che non devo dire pronto perché, stando ad un ragionamento estemamente contorto per capire il quale ho dovuto seguire un'ora di lezione sull'argomento, tenuta da lui medesimo, devo sempre rispondere come se sapessi che è lui ancora prima che squilli. E l'unico modo che ho di farlo è guardare prima il display. Ricapitolando, guardo il display, vedo che è lui e faccio finta di saperlo già da prima che suonasse. Quindi, Ehi.
"Chaku..." Quello che mi arrva dall'altra parte del telefono è una specie di lamento strascicato e un po' capriccioso. Me lo immagino istantaneamente appallottolato da qualche parte, probabilmente sul divano.
"Che succede?" Chiedo, e mi passo il telefono da un orecchio all'altro mentre guardo tutti i panni lavati che mia madre mi ha riportato stamattina e che adesso io dovrei rimettere a posto. Sono tutti ben impilati sul letto rifatto, da lei naturalmente, e io non ho altra alternativa che riporli se stanotte voglio dormire.
Bill mugola qualcosa di incomprensibile.
"Eh?"
Bill mugola di nuovo, con un'intonazione diversa.
Recupero i miei maglioncini. "Hmn... fammi indovinare," dico, mentre li ripongo su un ripiano assolutamente casuale dell'armadio, che ancora cigola dal giorno in cui provammo a spostarlo. "Sei a casa da solo e non sai cosa fare."
Il mugolio di Bill è affermativo ma mi lascia intendere che c'è dell'altro.
"Ti stai annoiando e..." recupero le maglie e le incastro da qualche parte tra i pantaloni e le due camice che possiedo "... in questo momento vorresti essere con il tuo affascinante fidanzato austriaco, che è l'unico essere umano sulla faccia della Terra capace di renderti felice, dico bene?"
Bill ride, divertito. "Più o meno sì. Sei bravo ad interpretare."
"Questione di sopravvivenza," scherzo. I calzini li lancio nel cassetto e lo richiudo velocemente, prima che escano di nuovo tutti quanti.
"Mi manchi," pigola. Lo sento trafficare e poi mi arriva il rumore della stagnola. Se siamo arrivati ai biscotti, il livello di noia è grave. Divano, biscotti, gelato. The Notebook. Voglio fermarlo prima.
"Mi manchi anche tu," dico e poi mi viene un'idea. Così all'improvviso che mentre ci penso, mi fisso a guardare la signora nella casa di fronte che sta innaffiando un Ficus morto almeno quattro settimane fa. Non è che la guardo davvero, non del tutto almeno, con metà del cervello sto ragionando su quello che mi è venuto in mente. "Senti, ho un'idea. Ti va di venire qui, domani? Ti preparo una sorpresa."
"Che sorpresa?" Chiede subito lui. L'euforia istantanea di Bill.
"Se te lo dico che sorpresa è?" Intanto, mentre faccio lo splendido, mi rendo conto che gli ho appena promesso una sorpresa che comprende il mio salotto e del cibo, ma questa casa fa schifo e non vedo il pavimento del mio salotto da almeno una settimana. Mi ci vorrà un miracolo per rimettere a posto. "Riesci a scappare qui da solo o devo venirti a prendere?"
"Calerò delle lenzuola annodate dalla finestra," risponde lui, convinto. E poi ride tutto contento. E anche stavolta ho salvato la giornata.
La mia giornata, invece, l'ha salvata Fler il giorno dopo, cioè oggi. Come al solito, del resto. E' arrivato che ero chinato in terra a cercare di smacchiare le piastrelle da Dio solo sa cosa. Fler quando arriva ti telefona sempre prima, quindi lo sapevo che stava arrivando, ma mentre litigavo con le mie macchie me ne sono dimenticato. Stavo maledicendo quattro generazioni di santi quando è entrato. "Ma lasci sempre la porta aperta, tu?" Mi ha detto. E poi si è guardato intorno. "Beh, è anche vero che non hai molto da rubare qua dentro. Comunque ti ho portato il detersivo per i piatti."
La porta era aperta per far asciugare il pavimento della cucina e, già che veniva qui, gli ho chiesto di portarmi il detersivo visto che nel lavandino ho una settimana di piatti incrostati da far sparire entro stasera. L'ho guardato, mi ha guardato. Quindi ha sospirato e si è rimboccato le maniche. "Ti dò una mano, eh," mi ha detto. "Sennò chissà quando finisci."
Per questo adesso Fler sta pelando patate nella mia cucina mentre io cerco di non far impazzire la maionese, che è una cosa delicatissima visto che la signora Lotte mi ha insegnato a farla solo la settimana scorsa e questa è la prima volta che ci provo tutto da solo. Ho tutte le sue istruzioni appese sulla lavagna di sughero sopra i fornelli. Fler mi ha costretto a comprarla e me l'ha pure inchiodata al muro perché dice che non posso andare avanti ad attaccare fogli con lo scotch che si rovina la vernice.
"E tua mamma quando arriva?" Mi chiede fler, all'improvviso. Non gli ho detto di Bill, non gli ho detto nemmeno a cosa mi serve tutto questo cibo. Gli ho detto che mia madre ha deciso di farmi visita dopo essere passata a trovare sua sorella. Ovviamente lui lo sa che mento e quando parla di mia madre lo fa con la faccia di chi sta parlando di Bill. Le ho viste le sue sopracciglia che formavano le virgolette intorno alla parola mamma. Funziona così da mesi. Lui sa. Io so che lo sa. Lo so perché conosco lui e lo so perchè conosco Bill che passa con lui troppo tempo per non avergli già raccontato tutta la sua esistenza. Ecco... solo che a lui non riesco a dirlo e lui non me lo chiede. Quindi finisce che ho mia madre a cena stasera.
"Verso le otto," rispondo. La maionese sembra sana di mente.
"A-ah," annuisce lui. Poi guarda le patate che ha sbucciato con aria critica. "Com'è che dovevo tagliartele?"
"Devo farle arrosto," rispondo.
"Tanto piacere," fa lui. "Com'è che devo tagliartele però?"
Infilo in bocca un pezzo di mozzarella e mi pulisco le dita sul grembiule. "Prima in due e poi di nuovo in due," rispondo, tagliandone una per lui.
"In due e poi in due," ripete, osservando. Fler, quando gli spieghi una cosa, qualsiasi cosa sia, sta sempre attentissimo. Punta quei due fari azzurri su quello che gli stai mostrando e immagazzina l'informazione. Gli basta guardare per imparare, è una cosa che gli invidio molto. E' un sacco intelligente, Fler. Non fa fatica per niente a capire le cose. Lo lascio a tagliare in due e poi in due e recupero il pollo, per condirlo prima di infilarlo in forno. Questa cucina è minuscola ma siamo così abituati a muoverci in due qua dentro che non ci diamo mai fastidio. Quando apro il forno, non ho neanche bisogno di guardarmi intorno: Fler, appollaiato su uno degli sgabelli dell'isola, mette le ginocchia nell'inclinazione giusta per non farsi male con lo sportello.
I due movimenti - io che apro e lui che si sposta - sono calcolati al millimetro. La sua gamba e il mio sportello non si sfiorano nemmeno.
"Sai che ho scritto roba?" Fa lui, sopra il rumore della teglia che scivola sul piano del forno.
"Dai?"
Fler annuisce, con un mezzo sorriso. "Non che sia ancora pronto, ma è qualcosa. Contavo di lavorarci un po' e vedere cosa ne esce."
Maionese. Pollo. Il dolce al cioccolato con la glassa che si sta indurendo in frigo. E Fler che si è rimesso a lavorare. "Fai sentire," dico, sedendomi di fronte a lui e aiutandolo con le patate.
"Ma neanche per idea." Fler diventa, tipo, viola. Neanche gli avessi detto di spogliarsi. Anzi, in quel caso non l'ho mai visto arrossire.
"Andiamo!"
"No, non è ancora pronto," insiste. E quando faccio per aprire bocca e chiedergli di nuovo di cantarmi qualcosa mi agita contro il coltello. "Tu non vuoi che si mangi niente fino a cottura ultimata."
"Ma non è la stessa cosa!"
"Piuttosto," cambia discorso. "Raccontami un po' di questa Ingrid."
Alzo gli occhi al cielo. "E tu che ne sai?" Chiedo.
"Ho i miei informatori, cosa credi?" Ride. "Comunque sono profondamente offeso. Ti trovi una donna fissa e non lo dici a me. Male, molto male, Pangerl."
Ingrid è una groupie a capo di un gruppo di altre groupie che, secondo Bill, allietano le mie notti quando lui non c'é. Non so come gli sia nata nel cervello questa cosa, Bill ne ha spesso di uscite del genere, ad ogni modo, è stato una notte che era qui e avevamo appena finito di fare sesso. Di solito Bill sta zitto appena due minuti, giusto quelli che gli servono per riprendere fiato, poi attacca di nuovo a parlare. Io invece starei zitto le ore dopo nottate del genere. Ad ogni modo, quella notte deve aver pensato che mi ero isolato anche troppo - due minuti, ricordiamolo - e dal suo cuscino è rotolato sul mio, spalmandomisi addosso tutto. "Dovresti proprio smetterla di pensare a quella Ingrid," mi ha detto, con un'occhiata disapprovante. E quando ho chiesto spiegazioni su una donna sconosciuta a cui evidentemente stavo pensando, Bill mi ha dato tutte le informazioni del caso, perché lui le cose quando le inventa, le inventa bene. La fantasia non gli manca. Di volta in volta ha aggiunto sempre più particolari, al punto che adesso la conosco così bene che vorrei quasi incontrarla, questa Ingrid.
"Bill ti ha parlato di lei?" Chiedo, recuperando le patate per friggerle.
Fler dondola un po' la testa. "Diciamo che l'ha molto offesa, ecco," ride.
"Stando alle ultime notizie, è una ragazza bellissima e poco più che maggiorenne... no aspetta," cerco di ricordare. "Se non mi sbaglio, deve fare i diciotto quest'anno e ha deciso che li festeggerà nel mio letto."
"Ah, però. E com'è?"
"Bionda, mi pare. Sì, bionda, con i capelli lunghi, tipo, fino a qua," indico appena sopra le spalle, che poi è dove li ha Bill, mi rendo conto. Ma a parte questa somiglianza, Ingrid è l'esatto opposto di lui. "E ha gli occhi verdi."
"Seno?"
"Una quarta," annuisco compiaciuto, sistemando le patate fritte nel forno. "E due bei fianchi rotondi."
"Sembra carina."
Richiudo il forno e guardo l'ora. Sono in tempo, miracolo. "Bill dice che è anche bravissima a letto e che a me piace tantissimo."
"Davvero?"
"Io non lo sapevo, mica, me lo ha detto lui l'altro giorno."
Fler ride, mentre si alza. "Chiedile se ha un'amica magari."
"Ha una sorella," pulisco l'isola con uno strofinaccio. "Si chiama Lara, interessa?"
Lui sembra valutare l'informazione e poi si stringe nelle spalle. "Perchè no? Ora è meglio che vada, però." Prima di chiudere la porta, mi fa un sorriso triste. "Chiedi a tua madre se mi fa avere il numero."
Non ho veramente il tempo di pensare a quanto questa storia sia un casino.
Al fatto che con Fler ho questa cosa e che questa cosa non se ne va neanche se amo Bill. Tra l'altro è difficile sentirsi in colpa quando il mio cervello li percepisce come due compartimenti stagni. Bill e Patrick non si tolgono spazio a vicenda, nella mia testa.
Sospiro e raccolgo due soprammobili che ho gettato a terra, quindi mi dò una sistemata e io e il pollo siamo pronti un secondo prima che Bill suoni alla porta.
Ieri era tutto preoccupato perché non sapendo cos'andavamo a fare, non sapeva come vestirsi. Mi ha chiamato centinaia di volte e alla fine gli ho detto di vestirsi come voleva e sarebbe andato benissimo. Così lui si è vestito come ha voluto, ed evidentemente mi conosce bene perché quei pantaloni ce li ha incollati addosso e la camicia ha l'ultimo bottone sganciato, quindi la stella fa capolino.
Si tira su gli occhiali da sole e li incastra tra i capelli liscissimi. "Spero per te che io sia vestito adeguatamente. Non mi hai detto dove andavamo e non sarebbe carino se-"
Zitto. A volte lo penso proprio. Bill, zitto. Poi mentre lo bacio mi dimentico che a volte parla così tanto che ti snerva, mi dimentico proprio tutto perché impazzisco quando mi bacia. Impazzisco quando fa qualunque cosa. E il modo in cui fa tutto che mi fa impazzire. Ora per dire mi sta abbracciando e mi si è stretto addosso. E se da una parte è tenerissimo, dall'altra sto già valutando se non sia il caso di mangiarla dopo la cena.
Poi mi dico che gli ho chiesto di venire qui per fare una cosa carina. Prima la cosa carina, assolutamente. "Sei bellissimo," dico. "E molto adeguato per il mio salotto."
Lui mi guarda con gli occhioni, io gli porgo la mano e lui la stringe, così posso tirarmelo dieto per due-metri-due di corridoio fino al salotto.
A parte l'aver pulito, ho spostato il tavolo e il televisore e ho steso un plaid al centro della stanza. Sopra c'ho apparecchiato e, anche se gli uccideranno l'appetito - io lo so - e rovinano l'ordine di portate che ho accuratamente preparato, accanto al suo piatto c'è un cestino di caramelle gommose, che con lui è un po' come regalargli un mazzo di fiori.
"Chaku, ma è un picnic in casa!" Esclama e unisce le mani sulle labbra.
"A quanto pare," mi stringo nelle spalle.
Emette un urletto, uno di quelli che fa quando regredisce ai cinque anni, che non è esattamente il tipo di età che mi conviene, anche se poi, così felice, Bill è bello comunque. Batte le mani. "Sono caramelle quelle? Non te le dimentichi mai! Ma è bellissimo! Chaku, vieni qui!" Lui è già seduto e intanto che mastica caramelle gommose, sbircia anche nei vassoi. "Le hai fatte tutte tu queste cose? Hai fatto la torta!"
"Sì, si, Principessa, calmati però," rido. Lui diventa tutto rosso.
"E' bellissimo," ripete più piano.
Io sorrido.
Dunque, esattamente non lo so come ci siamo arrivati a questo punto, però devo dire che per me non è insolito ritrovarmi in queste situazioni. So sempre cosa sto facendo, cioè quando mi perdo, dico, lo so che mi sono perso e faccio cose magari non coscentemente, ma le faccio e lo so che le sto facendo. Quello che non so mai è come ci arrivo. Ricordo che io e Bill stavamo mangiando la torta un attimo fa, ora però sono seduto in terra, con la schiena contro il divano, e ho Bill seduto addosso che fa cose con la lingua lungo il mio collo. Ho una mano tra i suoi capelli e l'altra infilata sotto la sua camicia, che comunque non è più neanche agganciata e gli pende dalle spalle abbastanza storta perché abbia voglia di togliergliela del tutto.
Lo bacio, stringendolo alla nuca. Ha le labbra rossissime e mi guarda in un modo che potrei anche dimenticarmi che pesa quaranta chili e che non posso oggettivamente sbatterlo in terra come effettivamente vorrei. Mentre lo spoglio, lo sento armeggiare con i miei pantaloni; lo bacio di nuovo non appena mi sfiora con le dita, aprendo un bottone. Mi muovo e lui mi sorride sulle labbra.
E' una posizione scomoda, questa. Lui mi si schiaccia contro quando si accorge che, così come siamo, non riesce ad infilare le dita, e io lo stringo ai fianchi, me lo tiro addosso e mugoliamo ma non è abbastanza.
"Aspetta..." me lo sussurra all'orecchio, perchè io alla fine continuo comunque e le mani da lui, se potessi, non le staccherei mai. Mi bacia di nuovo, e un'altra volta perché alla prima non l'ho lasciato andare. "Toglili," mi tira via i pantaloni, stando in ginocchio lì di fianco. E poi fa lo stesso con i propri. Seduto in terra, si leva tutto scalciando e lo troverei buffo se in questo momento la parola buffo non fosse l'ultima che mi viene in mente. Voglio toccarlo. Voglio sentire di nuovo l'odore della sua pelle mentre mi tocca lui. Si sta spogliando e mi sembra che ci stia mettendo troppo. Ho un'immagine ben chiara di me stesso che affondo tra le sue cosce da stamattina e potrei non rispondere di me se non la realizzo ora e subito.
Nella testa di Bill devono passare più o meno gli stessi pensieri perché è più ansioso del solito. Non è lui quello che vuole tutto e subito, di norma; sono io che vorrei riuscire sempre a fargli tutto il possibile perché non so decidermi sull'ordine delle mie azioni.
Finisce che mi rendo conto di quanto sia morbido il divano mentre spingo piano Bill e ce lo piego contro, baciandogli le vertebre una dopo l'altra . Quando appoggia la testa sull'avambraccio, la sua schiena forma un arco per seguire le mie labbra e apro appena gli occhi per vedere la luce che gioca con la sua pelle.
Mi premo contro di lui e Bill si spinge indietro con forza, ma lento, dal basso verso l'alto. Mi piace il movimento del suo corpo quando lo fa, il modo in cui sembra cercarmi, mentre mi allungo sulla sua schiena e lo stringo tra le dita.
"Peter..." sussulta e il mio nome gli scivola tra le labbra dischiuse.
Lascio scorrere la mano lungo il fianco, e intorno alle sue natiche. L'uggiolio dolce e basso che sento è la sua risposta alle dita leggermente umide che si fanno spazio dentro di lui. Sorrido leggermente tra i suoi gemiti, consapevole del fatto che mi vuole e che più aspetto più sarà straordinario sentire che si scioglie sotto le mie mani, che chiama il mio nome con quei suoi sospiri lunghi e tronchi, che finiscono quasi sorpresi. L'eco dei suoi orgasmi mi accompagna sempre anche quando se ne va perché Bill, quando fai l'amore con lui, è una cosa bellissima e io non ho neanche le parole per descriverlo. "Peter, ora..." mugola e cerca le mie labbra. Lo bacio per un po', lo assaggio a lungo, perché mi piace di cosa sa Bill. Mi piace perdermi sulla sua lingua e fra le sue labbra, anche perché bacia bene, la Principessa.
Gli basta niente per avermi ai suoi piedi.
Gli mordo una spalla e lo sento sospirare esattamente come faccio io quando alla fine entro dentro di lui, piano, stringendogli i fianchi. Cerco di non farlo troppo forte, perché è facile lasciargli il segno, ma non è che abbia più molta coerenza arrivato a questo punto. E' già tanto se ricordo come ci chiamiamo, tutti e due.
Le sue spinte e le mie si armonizzano dopo un secondo. Ci siamo imparati in poco tempo, io e Bill ed è una delle cose che di lui mi mandano fuori di testa. Non c'è voluto niente a trovarsi. Lui tra le mie braccia ci stava bene, quando ci si è infilato la prima volta non mi è sembrato strano che lo facesse. Ecco perché lo amo, credo. Perchè è la prima volta nella mia vita che mi sembra di essere perfetto insieme a qualcuno.
Mi chiama di nuovo e si spinge tra le mie dita con meno controllo, sento i suoi respiri spezzarsi e so che c'è vicino. Anche io.
Lo bacio sotto l'orecchio e quindi lo accarezzo un po' di più e angolo i fianchi un po' di più finché non so che dovrò lavare il divano. Un attimo dopo gli ringhio sul collo mentre vengo e lo sento stringersi intorno a me, piano.
Gli lascio baci sulle spalle ed è il massimo che posso fare, al momento. Lo abbraccio mentre gli cedono le ginocchia e poi scivoliamo di lato e mi si accascia contro, con un mezzo sorriso soddisfatto. Allungo un braccio a recupare la coperta sul divano e l'avvolgo intorno a noi, baciandogli la testa.
Sono ancora in piena beatitudine angelica quando lui ritova la voce, la forza e la fame. E non credo siano i suoi diciannove anni a dargli tutto questo vigore, è proprio una roba sua questa. Allunga un braccio e infila un dito nella torta, per poi infilarselo in bocca.
"E' buona la torta, te l'avevo detto?"
Sbuffo una risata e appoggio la testa alla seduta del divano, guardandolo. "Hmn, non so. Non mi ricordo. Forse no."
Lui recupera una fetta. Cucchiaino, piattino. Tutto. Quindi si accoccola tra le mie gambe, mangia e, sì, parla. Io gioco con le ciocche nere dei suoi capelli e sospiro: se non altro, mentre mi racconta le sue ultime due settimane, avrò il tempo di riprendere fiato.