Overfired

di tabata
L'idea di un mini-tour per un singolo è venuta alla Universal che della nostra situazione non sa niente, e questo è evidente. Se anche uno solo dei dirigenti si fosse preso la briga di staccare il culo dalla sua bella poltrona in pelle e si fosse fatto un giro all'Ersguterjunge negli ultimi mesi prima di prendere qualunque decisione, avrebbe capito che la brillante idea di un tour non era poi così brillante e che, anzi, era una grande stronzata. Se lo avessero fatto, avrebbero visto che all'Ersguterjunge in questi mesi c'è stato solo Bushido e alle volte non c'è stato nemmeno lui; che io, Bushido e Bill abbiamo fatto accuratamente in modo di non vedersi mai, nemmeno per sbaglio e che l'intera organizzazione di questo tour è stata affidata ad un uomo – David – che ben consapevole di questa cosa, ha preso delle decisioni basandosi sul proprio buon senso, senza aver testato, in effetti, quello che sarebbe potuto succedere.
Ma nessuno dei grandi capi si è fatto vivo e questo qui, adesso, è il risultato.
Il punto è che alla Universal non frega un cazzo se noi tre non possiamo vederci, se David ha tentato di mettere le cose a posto e non c'è riuscito o se Bill è andato fuori da ogni controllo.
Quello che loro vogliono è un tour che abbia successo. Quello che noi dobbiamo dargli è un tour di successo. Tutto quello che sta nel mezzo, sono solo problemi nostri e loro non ne vogliono sapere.
Per questo quando saremo tornati a Berlino e ci chiameranno tutti nei loro mega-uffici all'ultimo piano per chiedere conto e ragione di quest'ultimo mese, ci faranno un gran culo: perché noi non stiamo riuscendo a finire una serata che sia una, questo tour fa decisamente schifo e con ogni probabilità, che sia sul palco oppure dietro le quinte, finiremo per massacrarci di botte.
A questo punto noi potremmo fare due cose, la prima sarebbe rimboccarsi le maniche, fingere che possiamo ancora sopportarci e tirare avanti fino alla fine, dare ai capi quello che vogliono e poi disperderci, giurando di non vedersi mai più. E questo sarebbe sensato. Oppure potremmo mandare a fanculo tutto fin da subito, perderci noi e far perdere alla casa discografica un mare di soldi ma toglierci il problema. E anche questo, a suo modo, avrebbe un senso.
Noi però non stiamo facendo né l'una né l'altra cosa. Noi continuiamo a trascinarci giorno dopo giorno, a fare concerti di merda e quindi a rintanarci nei nostri tourbus dove le cose, se possibile peggiorano ulteriormente e questo perché nessuno di noi ha le palle per fare quello che dev'essere fatto.
Questo è quello che penso stamattina quando apro gli occhi e la prima cosa che vedo è il dannato soffitto della cuccetta. Così mi torna in mente che se stanotte ho dormito in questo loculo invece che nel letto è perché Bill mi ha fatto girare i coglioni, e se c'è riuscito è per colpa della situazione, di Bushido e poi via a ritroso fino alla Universal e alla sua cazzo di decisione.
Mentre sto qui a chiedermi se non mi convenga rimanere esattamente dove sono e lasciare che il disastro si compia smettendo anche di fingere che me ne freghi lontanamente qualcosa di questo tour, sento Bill che si alza e si trascina nel cucinino con i passi strascicati con cui si sposta da quando siamo partiti. Dai rumori che mi arrivano so che si sta facendo il caffè, che probabilmente dimenticherà di mettere l'acqua nella caffettiera – o anche il caffè – e che imprecherà più volte non capendo per quale motivo la stupida macchinetta gli sta impedendo di assumere la sua dose giornaliera di caffeina, così mi alzo con un sospiro.
Quando mi vede arrivare s'irrigidisce tutto e poi finge che le dita non gli tremino mentre smonta la caffettiera. La parte superiore gli scivola dalle mani e finisce nel lavello facendo un gran casino, Bill impreca di nuovo. In questi giorni lo ha fatto di continuo e io ancora devo abituarmi. Ricordo che quando l'ho conosciuto mi prendeva in giro perché mi stupivo che anche lui dicesse le parolacce e la verità è che ancora adesso, a distanza di un anno, non riesco a concepire che lo faccia. Non mi piace, mi da fastidio. Sarà che lo fa solo quando è fuori di sé e quindi sentirlo imprecare mi ricorda che stiamo cadendo a pezzi, non lo so.
“Lascia, faccio io,” gli tolgo la caffettiera dalle mani e gli do le spalle perché non voglio che ci sentiamo entrambi in obbligo di parlare, come succede quasi sempre ormai quando ci guardiamo negli occhi. E' che una volta questo non succedeva. Non c'era niente da nascondere e guardarci e basta non significava aver paura di parlare. Adesso invece quello che sta succedendo lo sappiamo tutti e due, solo che lui non vuole dirmelo e io l'ho già fatto per lui una volta e non trovo il coraggio di farlo di nuovo.
Si appoggia alla parete, le braccia incrociate. Lo sento sospirare incerto. “Senti Chaku, ieri sera...”
“Ieri sera era ieri sera,” lo fermo. “Lascia perdere.”
L'aria è così pesante che faccio fatica a respirare e così anche lui. Quando prende fiato e lo inghiotte, sembra quasi che per un attimo gli sia rimasto incastrato in gola. Annuisce ad occhi bassi mentre gli passo la caffettiera pronta da mettere sul fuoco e vado a sedermi al tavolo. La cosa peggiore di questo pullman è che non c'è nessun posto dove andare, così anche quando hai l'istinto di allontanarti e scappare il più lontano possibile, finisci sempre a fare tre passi e a rimanere lì dove sei, che è una tragedia perché l'ansia di andartene si fa ancora più insopportabile a quel punto. Mi ostino a guardare fuori dal finestrino dove non c'è niente perché siamo in autostrada e intorno a noi sfrecciano solo campi e una sequenza infinita di fabbriche, ma se mi volto so che il mio sguardo cercherà automaticamente lui e io non voglio, perciò fisso la strada, anche se mi fa lacrimare gli occhi.
Dovrei distrarmi, magari cercare di concentrarmi per la data di stasera, ma come ho già detto non me ne frega niente se alla fine saliremo su quel palco a fare scena muta o peggio, a mandare a puttane una canzone dietro l'altra come è successo alla prima data; non m'importa se ci fischieranno o se ci tireranno qualcosa dietro. Non m'importa di niente, perché ogni volta che mi permetto di lasciare che mi importi, poi penso che in realtà il lavoro non conta veramente un cazzo, che sto perdendo qualcosa di importante, che ci stiamo perdendo noi e allora forse sarebbe meglio pensare a tutto il resto che non al lavoro.
Così finisce che non so di cosa preoccuparmi davvero e m'incazzo anche per questo, come se non fossi già incazzato abbastanza.
Bill si aggira per i due metri che abbiamo a disposizione ancora un po' e poi alla fine si rassegna a sedersi di fronte a me, visto che non può andare di là se deve controllare la caffettiera. Deglutisce così forte che fa rumore e so che mi sta guardando perché, nonostante tutti gli sforzi che sto facendo per distrarmi, vedo il suo viso riflesso nel vetro. Ha le guance un po' scavate e gli occhi cerchiati di nero, non ha dormito un cazzo, lo so, perché l'ho sentito agitarsi e poi passare accanto alle mie tende chiuse un paio di volte. Non ha avuto il coraggio di entrare però e io ho tenuto le mani in tasca per non tirarlo dentro, perché non volevo dargliela vinta, il che è stupido perché questa non è una ripicca e io non dovrei essere solo offeso, ma così incazzato da urlargli addosso finché ho voce, ma non mi riesce. E poi non posso nemmeno dire che non capisco quello che sta facendo e che mi sta tirando scemo perché non è così. Lui può anche far finta di non avere secondi fini quando mi salta addosso in un bagno pubblico ben sapendo che tutti gli altri possono sentirci, ma io non posso essere così stupido da non capire che i suoi gemiti sono più forti del necessario. Sfortunatamente per me lo conosco bene e c'è stato anche un tempo, in questa relazione, in cui non dovevo analizzare i suoi comportamenti quand'era con me perché non ne avevo motivo, così lo so quando mente, quando esagera, quando non lo sta facendo per me; ma se, nonostante questo, lo lascio fare, non posso dargli la colpa anche del fatto che non mi piace quello che siamo adesso perché, a modo mio, sto contribuendo a realizzarlo.
Prendiamo ad esempio quello che è successo ieri sera. Dopo i precedenti del bagno nella stazione di servizio, ho capito che cosa Bill avesse in mente nel momento esatto in cui mi si è avvicinato, perché Bill è sempre molto chiaro quando si tratta dei propri desideri, soprattutto quelli sessuali. Non ti manda mai segnali ambigui, per questo siamo sempre andati molto d'accordo sull'argomento. Così quando è rientrato sul tourbus e mi si è spalmato addosso con insistenza, l'ho capito che non faceva così perché aveva tanta voglia di farlo, ma solo perché gli serviva che io me lo scopassi e che possibilmente Bushido lo venisse a sapere, il che immagino sia successo visto che Bill ha fatto di tutto per appoggiarsi ad un finestrino e l'altro tourbus c'era parcheggiato proprio davanti. L'unica cosa che mi sono risparmiato è di guardare Bushido mentre lui guardava noi perché è un livello a cui al momento è sceso solo Bill e io vorrei non essergli complice almeno in questo.
Il caffè è pronto e Bill si trascina rumorosamente fuori dalla panca, così io mi rendo conto che mi sono perso nei miei pensieri un'altra volta, che non è una novità di per sé, ma mi fa perdere le speranze di trovare un attimo di pace in cui Bill o quello che fa non mi occupino la testa tutto il tempo quando sono sveglio e anche gran parte della notte, visto che arrivo perfino a sognarlo. Io che non mi sono mai ricordato un accidente di niente quando aprivo gli occhi al mattino, ora ho ricordi nitidissimi di lui che nei miei sogni mi dice tutto ciò che non voglio sentirmi dire. Tutto ciò che io non voglio dire a lui, per altro.
E' una specie di persecuzione e mi ricorda di quando ci siamo lasciati – anzi di quando mi ha lasciato – e io volevo soltanto poterlo mandare a fanculo e poi dimenticare che fosse anche solo esistito o, almeno, che fossimo mai esistiti io e lui insieme. Solo che non mi riusciva. Non mi riusciva nemmeno offenderlo come si deve, perché in fondo lo capivo e forse mi faceva più male l'idea che quel suo comportamento avesse un qualche cazzo di senso, da qualche parte, che non il fatto che avesse scelto lui alla fine.
Bill era confuso e io capisco la confusione, la capisco fin troppo bene. So cosa significa volere intensamente qualcosa e avere una piccola parte di te che tende tutta da un'altra parte. Pensi che se ragioni per grandezze, allora puoi stare tranquillo, la scelta è facile e quel pezzo di te che non ragiona in comune col resto si convincerà poi, sarà solo un piccolo strappo e via. Come togliere un cerotto. Solo che mentre si strappa, capisci che quella parte era più grande di quel che sembrava, che ci mette di più a staccarsi e allora rimani lì e non ti muovi, perché sai già quanto forte sarà il dolore e non vuoi sentirlo più. Pensi che magari, se non fai niente, la situazione rimarrà così per sempre e non ci sarà bisogno di scegliere, o lo farà qualcun altro al posto tuo. Per me, in fondo, è stato esattamente così: ha scelto Bill e a me non è rimasto che accettare; ha fatto male lo stesso ma in maniera diversa. Eppure so che gli è costato. Lo sapevo anche allora, nonostante tutto. Era comprensibile.
Adesso, invece, non lo capisco e se non reagisco come dovrei forse è perché credo non lo capisca nemmeno lui. Io lo so che Bushido ha ancora un posto speciale nel suo cuore, forse perfino più grande del mio, ma qualunque cosa sia che Bill vuole da lui – attenzione, riconoscimento, riaverlo indietro – la vuole disperatamente e sta passando sopra perfino a se stesso per ottenerla. E, non lo so, mi spaventa.
Le cose, comunque, vanno peggiorando perché mentre il resto del mondo conosce alla perfezione e mette in pratica il concetto per cui quando tocchi il fondo non ti resta che risalire, noi ci siamo specializzati nel prendere una vanga e scavare il più possibile, fino ad uscire dall'altra parte dell'universo dove le cose sono a rovescio, i morti risorgono e le persone che ti amano arrivano ad assecondarti anche quando il tuo più grande desiderio è scopare con loro solo per far ingelosire qualcun altro.
Ed è questo che in realtà io spero, è questo il pensiero a cui ogni giorno mi aggrappo con tutte e dieci le dita, e cioè che noi si sia già scavato e si sia già anche dall'altra parte di questo tunnel infinito, così tutto ha più senso e se proprio non ci piace, possiamo sempre infilarci di nuovo in questo buco e tornare indietro e vedere di risalire dall'altra parte. Il punto è che più passa il tempo e più ho l'impressione che siamo solo in fondo ad un burrone e invece di trovare la forza di risalire ce ne stiamo qui ad aspettare un aiuto che non arriverà mai, e intanto che stiamo qui ad aspettare, ci diamo l'un l'altro la colpa dell'essere caduti e questo, ovviamente, non ci aiuta affatto a risalire. Anche il mio aiutare Bill in questo suo assurdo tentativo di attirare l'attenzione di Bushido non è che un trattenerlo con forza a terra. Con me.
Dopo la caffettiera non c'è molto altro di cui parlare. Io bevo in silenzio e lui gioca con il liquido che ha nella tazza senza davvero l'intenzione di farci qualcosa di utile. Bill non va pazzo per il caffè, non so nemmeno perché lo abbia preparato, forse perché fare cose normali lo fa sentire normale. A me capita spesso, quando le cose vanno a puttane, di prendere il grembiule e cucinare, perché cucinare è una cosa che fanno le persone normali, non quelle come me e chi mi sta intorno, a cui succedono cose assurde. A volte hai solo bisogno di essere una persona noiosa, il cui più grande problema è che non si bruci il pollo nel forno e basta. Niente faide, niente storie d'amore tra mille persone diverse. Solo tu, la cucina e magari una vita normale.
Quella sera le cose fra me e lui non cambiano molto. Non ci diciamo niente perché non sappiamo di cosa parlare, ma continuiamo a starci intorno e io spero che Bill lo faccia per lo stesso motivo per cui lo faccio io, e cioè che ho paura che non ci sarà mai più modo di avvicinarmi se decido volontariamente di stargli lontano anche per un minuto. Ho la sensazione che se invece di andargli incontro, tiro e strappo dalla parte opposta, poi i due lembi non combaceranno mai più. Abbiamo già ricucito troppo, credo; anche mia nonna diceva che ad un certo punto gli stracci non si rammendano più.
Io e Bill però non siamo affatto abituati a stare in tensione, uno contro l'altro intendo. Questa sensazione di frustrazione e d'impotenza, io l'ho provata forte soltanto con Fler. C'erano volte in cui litigavamo, avevo voglia di pestarlo e lui aveva voglia di pestare me, e un attimo prima che ciò avvenisse, uno di noi due finiva per uscire e andarsene. Con Bill mi sembra strano provare la stessa cosa, probabilmente perché non è mai stato così fra di noi, e mentre con Fler era solo un momento di rabbia, una cosa quasi collaudata, adesso mi sembra che abbiamo passato un limite ben preciso, uno per cui se anche volessi rimediare non saprei come fare. Ci provo e lo prendo al volo, tirandomelo addosso sul divano mentre passa di lì. Lo stringo e gli premo il naso contro una guancia, provo un sorriso, ne provo due, tre, finché anche lui non risponde. Nessuno di questi sorrisi è vero, nemmeno il mio, ma in questo momento fingere di essere rilassati è meglio della tensione, della frustrazione o di qualsiasi altra cosa sto provando. Resistiamo si e no cinque minuti, lui prova ad accoccolarsi contro di me e io provo a stringerlo ma non funziona, come se durante la giornata che abbiamo passato senza toccarci avessimo cambiato forma e ora la sua schiena contro il mio petto non s'incastrasse più tanto bene. Sono consapevole del mio disagio e della sua smania, che gli fa muovere le mani e i piedi in continuazione come non trovasse pace.
Alla fine si alza. E' uno scatto il suo, come si fosse trattenuto fino a quel momento e ora proprio non ce la facesse più. “Esco un attimo,” dice in un sospiro, come se gli mancasse l'aria. Non si prende nemmeno la briga di mettersi addosso qualcosa, tanta è la fretta che ha di andarsene.
So che finirà per andare da Bushido perché lo vuole e perché anche se non lo volesse finisce sempre per orbitargli intorno, ma io non ho la forza di fermarlo e forse neanche la voglia.
Ho bisogno che qualcuno esca da questa stanza, e sono contento che ci riesca almeno lui.

*


Non so quanto tempo passa ma quello che succede dopo è evidentemente un grosso segnale che noi tutti sottovalutiamo. Io so che Bill sta male, lo so perché nessuno lo guarda più attentamente di me, nemmeno Bushido che si sforza di non prestargli attenzione – come si fa con i fantasmi. Non sei vero, non sei qui, io non ti vedo – solo che sto male anch'io, tanto, e non riesco a gestirci entrambi, non stavolta. I miei riflessi sono rallentati dalle mie sensazioni e per ogni cazzata che Bill fa devo mettere da parte la voglia che ho di mandarlo a fanculo prima di andare a recuperarlo e cercare di rimettere insieme quello che rimane di lui dopo che qualsiasi cosa fosse non è andata come voleva. Immagino che non dovrei farlo, che dovrei effettivamente mandarlo a fanculo, solo che non lo capisco in questo momento e comunque, anche capendolo, non lo farei perché corro il rischio di perderlo e questo, anche con la rabbia e la frustrazione e la voglia che ho di spaccare ogni singolo oggetto che mi trovo davanti, non è ancora un'opzione che riesco a prendere in considerazione.
Ad un certo punto devo essermi addormentato perché mi svegliano le grida, dapprima confuse, poi sempre più chiare, appena fuori dal tourbus. Ci metto un po' a realizzare che si tratta davvero di una rissa e che le voci che sento sono quelle di Bill e di suo fratello.
Li vedo dal finestrino e non è difficile capire cos'è successo, nemmeno per me che ho il cervello ancora intorpidito dal sonno. Bushido è in piedi sui gradini del suo tourbus e Bill ha addosso solo una maglietta, suo fratello deve averlo trovato così e dev'essere esploso, come del resto minaccia di fare da giorni.
E' stanco di Bill, siamo tutti stanchi di Bill, però lui in qualche modo è autorizzato a fare quello che sta facendo. E lo fa.
Vedo Tom trascinare suo fratello sull'asfalto della piazzola, tenendolo per un polso. Lo vedo alzare le mani su di lui vedo Bill che cerca di proteggersi con il braccio alzato. Mi si stringe lo stomaco perché Bill lo implora di smettere e quando lui non lo fa, gli occhi gli si riempiono di lacrime e lo so che non è per il dolore o per i calci ma perché è Tom che ha perso la pazienza. Bill è più consapevole ora di aver passato ogni limite di quanto non lo sia mai stato in questi giorni. Vedo solo questo e poi sono fuori perché non riesco a sopportare altro. Gli strappo Bill dalle mani mentre David tira via lui, e me lo stringo addosso più forte che posso.
Quando Bill mi affonda il viso nella maglia, per una volta, mi chiama per nome perché ha bisogno proprio di me e non importa che lo faccia adesso, dopo che chissà cos'ha combinato con Bushido. Non m'importa, per il momento mi basta sentirmi chiamare e sapere che non lo sta facendo a vuoto.
Sussurra anche che gli dispiace, ma a quello non credo. Fingo semplicemente di non aver sentito e lo accompagno verso il tourbus, piano perché trema e non si regge in piedi.
Mentre ci allontaniamo, sento alle mie spalle Tom che continua ad imprecare e sono quasi certo che Bushido sia ancora lì sui gradini del bus e stia guardando tutto con la stessa aria di rassegnazione che aveva a volte quando tentava di parlare con Fler e non ci riusciva, perché lui si chiudeva a riccio e attaccava per difendersi, facendo di tutto per non ascoltarlo. Sembra siano passati due secoli. E' buffo che me ne ricordi adesso, è buffo che il ricordo che ho di Fler sia completamente compromesso dall'immagine recente che ho di lui mentre l'immagine che ho di Bushido sia tornata ad essere il ricordo che mi sono portato dietro per mesi finché non è resuscitato per rovinarmi la vita.
E' tutto confuso, perfino il tempo. Se non mi concentro potrei anche perdermi. Bill mi piange addosso come se Bushido fosse morto e Bushido ci guarda senza sapere più cosa fare, come quando era ancora vivo. E' un casino, un grande e fottuto casino.
Faccio entrare Bill nel nostro tourbus, lui singhiozza ancora e continua a chiamarmi e poi a scusarsi ogni volta che io rispondo di essere lì. Mi guardo indietro un attimo prima di chiudere la porta e quello che vedo è così deprimente che provo pena per come siamo ridotti e per la prima volta ho la chiara sensazione che se non facciamo qualcosa, questa situazione sarà costretta a risolversi per conto suo e lo farà malissimo.
Raggiungo Bill che si è raggomitolato sul nostro letto e si tappa la bocca per nascondere i singhiozzi che però sono così forti e isterici che lo scuotono completamente. Mi stendo dietro di lui e lo abbraccio; ci mette un'eternità a calmarsi, sembra non debba smettere mai. Torniamo a passare le ore in silenzio, ma almeno lo facciamo vicini. Mentre guardo il soffitto penso che ad un certo punto le cose dovrebbero smettere di andare male, che tu risalga o che tu decida di scavare, non importa. Dovrebbe esserci un limite alle stronzate che le persone possono fare, al male che possono infliggersi a vicenda.
Deve esserci, o non so come cazzo faremo.

*


Sono ormai arrivato al punto che se la mattina mi sveglio e le cose non sono peggiorate dal giorno prima, lo considero già un notevole miglioramento, stamattina però Bill sembra stare meglio.
Quando mi siedo sul letto con la colazione, sorride e io quasi sospiro di sollievo perché con tutte le lacrime che ha versato, quasi non mi aspettavo più di vederglielo fare. Ha gli occhi rossi e gonfi, ma ha dormito un po' e spero che le frittelle facciano il resto.
Lo guardo mangiare e penso che dovrei chiedergli cosa c'è che non va e cosa cerca, qualunque sia la risposta che deve darmi, ma non ne ho il coraggio. Soprattutto in questo momento che mi sembra di riavere avuto indietro il Bill che faceva colazione a casa mia il sabato mattina, dopo essere scappato di nascosto da suo fratello, il quale sapeva che era con me e mi tartassava di telefonate minacciose che ci facevano ridere entrambi.
Lo guardo e spero che magari durerà. Magari non serve tirare di nuovo fuori l'argomento. Magari le cose tornano a posto.
Bill, però, è un castello di carte e io non so prevedere quale sarà il soffio di vento che lo farà crollare di nuovo. E' per questo che il concerto di quella sera è un vero disastro.
Nessuno di noi è concentrato come dovrebbe, ma Bill è totalmente fuori di sé e io credo che non sia neanche del tutto lucido. Il massimo che riesce a fare sono cinque canzoni, poi crolla e scoppia in lacrime. E' così isterico che singhiozza fino a togliersi il respiro e David è costretto a cancellare il resto della serata e mandare tutti a casa, fra i fischi del pubblico e le imprecazioni di Tom che non si trattiene nemmeno di fronte a suo fratello e gli dice in faccia che si è rotto i coglioni di questa situazione e che se stiamo tutti di merda è colpa sua. Bill piange solo più forte e lo fa per tutto il tragitto di ritorno, non riusciamo a farlo smettere ed è doloroso che si calmi solo quando alla fine cedo alle sue richieste quasi deliranti e scosse dai singhiozzi e gli metta le mani addosso, è doloroso che smetta di soffocare solo quando lo bacio e le sue dita possono stringersi intorno alla maglia che non mi ha dato nemmeno il tempo di togliere. Mi si è aggrappato addosso e mi ha cercato con le mani e con le labbra finché non abbiamo scopato e solo allora ha smesso di piangere, come se avesse bisogno di farlo per ritrovare il controllo. E' doloroso perché so che non sta davvero cercando consolazione, ha solo bisogno di non venire respinto anche da me.
Mi fa schifo che ci siamo ridotti a questo, perché questo non siamo noi. Dovrei spingerlo via invece di accarezzarlo, allontanarmi invece di affondare in lui ma tutto quello che riesco a fare è abbracciarlo e baciarlo e stringerlo perché non voglio perderlo. Non voglio e basta. Non è giusto.
Questo è il motivo per cui scopo con lui dopo il concerto e lo faccio anche la sera dopo quando rientra sul tourbus e l'ombra di Bushido si allunga oltre la porta mentre Bill si fa stendere sul tavolino.
Come se non mi fossi accorto che lui è lì, come se a Bill importasse qualcosa di questo.
Faccio l'amore con lui, anche se lui non lo fa con me.
Lo lascio fare perché lo amo. Sbaglio, perché lo amo.
E' questa la giustificazione che mi do – l'amore – quando David chiama e noi non siamo stati in grado di fermarlo in tempo.

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