Gli uomini moderni sono informati

di tabata
E’ una giornata tremenda come tutte le altre incastrate tra quello che è successo – io che faccio del male a Fler sul pavimento del mio salotto, io che lo porto dal medico, il medico che ci prende per una coppia gay – e gli avvenimenti che devono accadere, dei quali, per altro, io seduto sul divano in quel momento, non so ancora proprio niente. Per dire, non lo so che Bill ucciderà Saad. Non so nemmeno che è Saad l’assassino. E mi rendo conto soltanto adesso che se state leggendo queste pagine nell’ordine sbagliato, allora vi ho appena svelato il finale.
Fler mi chiederebbe se così coglione ci sono nato o se ho fatto un corso apposta.
Ad ogni modo, mi sto annoiando. Lì in quel momento, dico, non ora. Ed è una benedizione. Qualche mese fa io pensavo che annoiarsi fosse una cosa tremenda, la più grande piaga che potesse capitarmi, tipo. Dovevo sempre fare qualcosa – qualsiasi cosa – perché a star fermo mi prendeva il nervoso. Di solito, fra tutto ciò che poteva distrarmi, io tendenzialmente scopavo.
Il sesso per me è una cosa fisiologica. Come respirare, mangiare e dormire, per dire. Ne ho fisicamente bisogno in quantità maggiore rispetto a qualunque altra persona mi sia mai capitato di conoscere. E questo, qualche sporadico caso a parte, non è mai stato un grosso problema. Anzi, è sempre stata una soluzione. Difatti, oltre a stendermi i nervi quando sono incazzato, che sennò inizio a distruggere casa, mi fa anche passare il tempo. In sostanza, è la cosa migliore del mondo, non solo perché in effetti lo è – il giudizio è oggettivamente condiviso dall’universo mondo – ma perché è utile a livello pratico. Questo fino a, diciamo, una settimana fa. Anzi, no, facciamo due o tre. Facciamo da quando è morto Bushido. Fino a quel momento, se mi annoiavo trovavo qualcosa da fare e quel qualcosa – vivaddio – era scopare.
Poi tutto è precipitato. I momenti di noia sono scomparsi nel nulla. C’è stato che mi hanno sbudellato, che mi sono salvato per miracolo, che ho steso Bill sul mio letto e gli ho messo le mani ovunque. C’è stato Fler che mi ha macchiato il tappeto – anzi no, ci sono stato io che ho macchiato il tappeto con Fler – c’è quel dottore che ci ha preso per quello che non siamo e tutto questo dove finisce? Finisce con me che scopo con Fler.
Ora, non so se seguite il nesso. Nelle ultime settimane il concetto mi annoio e quindi scopo, si è trasformato alternativamente in: non mi annoio ma rischio la morte, non mi annoio ma scopo o rischio di scopare con un altro uomo. A questo punto è chiaro che improvvisamente voglio annoiarmi. Voglio annoiarmi tantissimo. Fino alla morte, tipo.
Questo è il primo giorno dopo un numero che non so quantificare che non sto facendo niente e sono contento così. La televisione fa schifo, non ho niente da leggere, il frigo è vuoto e l’Ersguterjunge è chiusa per sempre, quindi non ho nemmeno da lavorare. Potrei, per dire, alzarmi, raggiungere DJ Sickle alla Beatlefield e vedere di dare un ascolto a quelle tre demo che ci hanno spedito non so più nemmeno quanto tempo fa ma non mi va - non mi va, mi piace il suono – e comunque quell’uomo se l’è cavata alla grande anche senza di me durante tutto il periodo in cui sono stato impegnato a raccogliere tutti i minuscoli pezzetti di Bill e a ricomporli, per poi permettergli di fare a pezzi me. Ma questo è un altro discorso e io in questo momento sono più dell’umore per mangiare rimasugli di patatine vecchi di settimane e coca sgasata, che non per l’autocommiserazione. Che poi non sono nemmeno depresso – per dire, mi sono fatto la doccia e la barba e mi sono cambiato. Sono uno che si annoia ma profumo e so di buono, che mia madre ha fatto perfino il bucato e ce l’ho tutto accuratamente appoggiato sul letto. Io non mi deprimo mai. Ho un’unica soluzione per tutto, del resto. Sì, quella. Non ricominciamo.
Il mio soggiorno sul divano si prolunga diciamo fino all’ora della merenda. Durante le ultime quattro ore mi sono chiesto dove accidenti sia Fler, perché non l’ho sentito – ma d’altronde quello, morire se ti telefona! – e cosa devo aspettarmi stasera. Mentre valuto i pro e i contro di alzarmi da questi cuscini che hanno ormai la mia comoda forma, mi cade l’occhio su un libricino color carne che spunta da sotto la guida tv ed è in bilico sul mio tavolino. Ora, non è che io oggettivamente possa sapere con esattezza tutto ciò che si trova sparso in questa stanza, sopra e sotto i mobili, però di solito a colpo d’occhio capisco sempre che cosa sto guardando perché gli oggetti rimangono in certi posti per mesi e alla fine, passa oggi, passa domani, diventano parte dell’arredamento e ti abitui a trovarli lì dove sono. Quello non è lì da molto. Compio il primo vero gesto della giornata e mi allungo a recuperarlo, scoprendo che il color carne deriva dal fatto che in copertina ci sono due enormi tette sfocate. D’accordo, questo mi incuriosisce. I miei playboy sono l’unica cosa in questa casa che abbia un’ubicazione precisa e una catalogazione. Se mia madre vedesse con quanto impegno sono stati numerati nel corso degli anni, probabilmente si commuoverebbe. E comunque le copertine di playboy non sono sfocate. Anche perché, diciamocelo, la bella foto è un po’ il concetto principale della rivista in questione. Quindi, cos’è?
Mi basta sfogliarlo, anzi mi basta prenderlo in mano, per ricordarmi esattamente com’è arrivato in casa mia. Due di picche, Bill, Fler, il dottore. Ed ecco l’opuscolo.
Lo guardo con molta attenzione e non solo perché ci sono due tette sopra che sono contento di scoprire sono ancora oggetto di grande interesse per la mia persona, ma anche perché sulla copertina – tra le tette – l’opuscolo cita: Sei un uomo che vive la propria sessualità. Questo opuscolo è per te. A parte che mi fa ridere che non mi chieda se vivo o meno la mia sessualità, ma lo sappia già, il tono di travolgente entusiasmo collettivo per la mia vita sessuale è troppo ridicolo per non leggere. E poi in fondo alla pagina, in un blu molto virile, l’opuscolo ci tiene a dirmi che Gli uomini moderni sono informati. E quindi suppongo sarà il caso che mi informi.
Il libricino in questione conta quasi cinquanta pagine e mi propone una carrellata di tutto ciò che dovrei sapere sul sesso in tutte le sue varie forme, compresa quella omosessuale, relegata nell’ultima sezione di due pagine, conclusiva, un po’ imboscata, del tipo: te lo dico proprio se ci tieni, eh. A me il dottore l’ha consegnata per quella ma sfoglio anche tutto il resto perché gli slogan di sostegno continuano un po’ ovunque e sono discretamente notevoli, tipo Il sesso è bello, affascinante, seducente, appassionante.... Ho appena detto la stessa cosa nemmeno una pagina fa.
Sto ancora leggendo le prime mirabolanti pagine introduttive quando suonano il campanello e io sono così preso dalle percentuali che apro la porta senza chiedere al citofono e continuando a leggere, per altro. Due minuti dopo Patrick è sul mio zerbino e mi guarda.
“Mi fai entrare o hai deciso che da qui in avanti gli ospiti li ricevi nel corridoio?” Esordisce.
Alzo gli occhi, lo vedo e capisco che non ha senso che sia qui visto che non è calato il sole. Poi capisco che quello che ho appena pensato ha ancora meno senso. “Devo portarti dentro in braccio?”
Mi guarda serio e poi ride. “Cosa stai leggendo?”
L’opuscolo è nelle sue mani prima che io abbia finito di sentire la domanda. E’ bravo con quelle mani, nel senso lato del termine – no, anche in quello che abbiamo pensato tutti – e penso che potrebbe rubarmi il portafoglio dalla tasca come niente.
“Fler dai qua!”
”Aspetta, è quello che ti ha dato il dottorino?” Chiede e ha quel sorriso da schiaffi sul viso. E’ una di quelle cose di lui che da sole mi fanno uscire dalla grazia di Dio. E’ come il cugino un po’ più grande di te che quando sei piccolo prende le tue mani chiuse a pugno e te le tira sul viso, e poi ti sfotte perché ti stai picchiando da solo. Ecco, quel sorriso lì. Patrick quand’è di buon umore ce l’ha tatuato addosso, perché ci si diverte a tirarti scemo.
“Sì,” rispondo. “Stavo solo… non lo so, era lì sul tavolo.”
“Ti informavi, bravo Chaku,” si appoggia all’isola della cucina e sospira. “Allora, vediamo un po’…”
Io vorrei protestare che non mi sembra il caso di fare una conferenza sul sesso sicuro nella mia cucina ma lui non mi ascolta, ovviamente. Cioè, mi sente, ma se ne frega. Anzi, in realtà legge a mente prima di farlo ad alta voce, quindi ride prima di dirmi perché. E quando si schianta in questo modo, finisce che rido anche io. “Che diavolo c’è scritto?” Chiedo e quindi faccio una cosa che non mi accorgo di fare finché non l’ho fatta. Solo che ormai sono lì così e mica posso far finta di niente. Gli scivolo accanto e gli passo le mani intorno alle spalle e lui asseconda la mia follia. Non fa una piega si stacca dal tavolo, mi da modo di sistemarmi al suo posto e quindi si appoggia a me come fossi l’isola della cucina. Non si gira nemmeno, lo fa e basta. “Dunque…Sesso con un uomo
Anche gli uomini che amano le donne qualche volta si lasciano tentare da un’avventura con un uomo – nel parco, in una sauna, o in un’altra occasione
,” annuisce. “Noi, altra occasione.”
Rido per il modo in cui l’ha detto, non tanto per l’occasione. Anzi, per quella non ci sarebbe proprio niente da ridere eppure Fler non la tira mai fuori, non ne parla mai, non la cita mai. Difficilmente me la fa pesare. E quindi il modo in cui commenta quella parte di opuscolo è buffa, come se stesse parlando direttamente alla carta stampata. “Continua,” gli dico.
Lui mi si sistema addosso comodo. “Oh, questo è interessante,” commenta convinto. “Quindi: insisti in ogni caso sull’uso del preservativo – indipendentemente dal fatto che tu assuma la parte attiva o quella passiva – e utilizza sempre del lubrificante in abbondanza!” Ride e batte la mano sull’opuscolo. “Ecco vedi? Di questa facciamo una gigantografia e l’appendiamo sulla testata del letto, così magari te lo ricordi.”
“Potremmo farlo scrivere tipo murales da qualche ragazzino di Templehof,” esclamo e mentre lo stringo con il braccio destro, col sinistro mimo la scritta a mezz’aria. “Uz’it. O qualcosa di altrettanto pacchiano.”
Fler annuisce, quindi continua a leggere e poi scoppia a ridere. “Oh, qua mi sa che ho sbagliato io,” commenta senza staccare gli occhi dal foglio. Sbircio sopra l’opuscolo e seguo le parole quando lui le pronuncia. “Nel sesso orale: niente sperma in bocca, non inghiottire lo sperma.
“Decisamente poco igienico,” commento e mi scappa da ridere. E non dovrei ridere, è una cosa che non avrebbe dovuto fare lui. Mio Dio. Però rido, insomma… andiamo, fa ridere! E il fatto che io trovi divertente fino alle lacrime un serissimo (e tutto sommato utile) opuscolo medico sulla prevenzione sessuale la dice lunga sulla mia età mentale che attualmente equivale alla metà esatta dei miei anni reali. Proprio quando penso che la situazione non può più diventare più comica di così, Fler attira di nuovo la mi attenzione continuando a leggere. “Qua però dice… Mettiti d’accordo prima con il tuo partner, affinché si ritiri prima o ti dia un segnale chiaro prima dell’orgasmo.” Quando si volta a lanciarmi un’occhiata molto dubbiosa, in realtà, tutto ciò che vedo è quel paio di fanali azzurri che si ritrova al posto degli occhi. E, come al solito, parte dei miei vasi sanguigni si svuota e comincia l’esodo verso Sud. “Immagina la scena, con te che ti sbracci e fai cenni con le bandiere di segnalazione.”
“La vedo estremamente difficile,” commento. “Non credo di poterlo fare.”
“Oh assolutamente no,” insiste lui, sicuro come se stesse parlando di se stesso, per altro.
“Com’è che da un momento all’altro ne sai più tu di me stesso che io?” Faccio una smorfia e lui ride. Quando ride senza voler fare lo stronzo, Fler è uno spettacolo. Ha una risata buona, che è un casino quando sei un rapper cattivo del ghetto. Credo.
“Dal momento che ragioni con l’uccello,” dice lui con un candore che ti viene da prenderlo a ceffoni da qui a domani, “a saperlo maneggiare, di te si capiscono tante cose.”
“Fler!”
“Mai vergognarti di quello che fai, Chakuza,” lo dice sempre sorridendo e mentre scorre velocemente l’opuscolo alla ricerca di altre cose su cui fare battute ma riesce comunque ad essere serio, che vai tu a capire come fa. E’ roba di Templehof, immagino. Quando non capisco come funziona, o come fa a fare qualcosa, è sempre merito o colpa del ghetto. “Quando arrivi a vergognarti delle tue azioni significa che sei un perdente. E noi non lo siamo.”
Non so nemmeno cosa rispondergli. Io, a dire il vero, non ci ho nemmeno mai pensato a vergognarmi di essere andato a letto con lui. Chiariamo, la cosa mi sembra tutt’ora molto strana – cioè stranissima, folle ecco – ma la vergogna non c’è mai stata. Non c’è spazio, sono troppo occupato a chiedermi come esattamente sono finito a rotolarmi nel letto con lui regolarmente. Ecco, sì, insomma, magari mi chiedo come sia possibile ma le mani nei capelli – metaforicamente parlando, s’intende – non me le sono mai messe.
Lui, comunque, continua. “Eccoti qui, infatti,” dice.”Attenzione: tanti uomini non riescono a controllare l’eiaculazione!
“Ehi, un attimo. A me funziona tutto perfettamente.”
“Chaku, ho detto che non sai controllarla, non che non ti si rizza,” mi guarda di nuovo e quando si volta sento la scia del suo dopobarba. La cosa si sta facendo preoccupante come al solito. Penso che forse mi dovrei allontanare, tipo, ma sto bene. E quindi niente, si sta qui. “Significa che avresti dei problemi ad avvertirmi per tempo. E difatti non mi avverti. Sei l’uomo dell’opuscolo, te lo hanno scritto addosso. Chissà se dice anche che mancando di sangue al cervello, gli uomini come te fanno fatica anche ad afferrare i concetti più semplici.”
“Coglione,” lo apostrofo.
“Ne ho due, sì.” Ride da solo. “Comunque negalo, se hai il coraggio. Potrei derubarti di tutti i tuoi soldi quando mi ci metto d’impegno.”
“Perché non lo hai mai fatto, allora?” Sibilo.
“Perché sei un morto di fame e ti cade a pezzi pure lo zerbino d’ingresso,” commenta lui, sfogliando altre pagine. “Quindi a questo punto conviene farti divertire, che poi almeno ci guadagno qualcosa. Andiamo avanti, guarda qui…”
Guardo lì, anche perché sennò poi mi perdo nel significato di ciò che ha appena detto. Tipo che ha preso a divertirsi anche lui, che per me è ancora un miracolo. Ogni volta che mugola, geme, mi chiama, mi chiede, ansima o esala – qualunque cosa esprima della positività rispetto a me che me lo sto scopando, insomma – a me non sembra neanche vero.
Forse appartieni a quegli uomini che vedono il preservativo come qualcosa che disturba, che compromette il piacere … appartieni, tu?” Mi chiede e inverte verbo e soggetto, un tormentone che ci portiamo avanti da tre giorni, da quando eravamo svaccati sul mio letto – e ci stavamo anche mangiando sopra, perché non avevamo nessuna voglia di alzarci e apparecchiare a quel punto, quindi l’unico sforzo l’ho fatto io per andare a recuperare la pizza fredda dalla cucina – e nel girare i canali Fler ha trovato Alice nel Paese delle Meraviglie ed ha passato il resto della serata, nonché buona parte della giornata successiva, e anche adesso pare, a ripetere COSA.ESSERE.TU in tutte le sue varianti. Come questa, appunto.
Ad ogni modo non mi lascia rispondere - non che ci fosse qualcosa da rispondere, comunque – e riprende ad illustrarmi le meraviglie dell’opuscolo infernale. “C’è scritto qui, bello grande, in alto. Dimostra di essere un uomo e assumi le tue responsabilità. Sii uomo, Chaku!”
Io assumo un’espressione molto seria. “Non preoccuparti, starò attento. Non ti metterò incinta prima del matrimonio, fidati di me.”
Lui mi tira una gomitata da manuale ma continua a ridere e, come il coglione che è, prosegue pure sullo stesso tono: “Vorrei ben vedere, stronzo. Altrimenti dovresti vedertela con la mia famiglia.”
“Che è composta da tua madre. E io vado forte con le madri, mi adorano.”
Piega la testa e mi si appoggia su una spalla. “Non te la caveresti tanto facilmente,” mi dice. “Ovviamente ti manderei Sido. E allora sì che sarebbero cazzi tuoi.”
“Busserebbe alla mia porta con la sua maschera del terrore e mi costringerebbe a sposarti e a lavorare per voi all’Aggro Berlin, in modo da mantenerti?”
Lo sguardo che ha si trasforma in qualcosa di tanto dubbioso che comincio a chiedermi se non devo offendermi. “Non avresti bisogno di mantenermi. Io guadagno più di te.”
“Questo mi renderebbe molto frustrato. Litigheremmo e finiremmo col divorziare.”
Fler riprende a sfogliare l’opuscolo con noncuranza. “Ti avverto che io mi tengo la casa, l’auto e buona parte del conto in Svizzera.”
“Abbiamo anche un conto in Svizzera?” Chiedo, incrociando le braccia sul suo stomaco.
“Come minimo,” sfoglia altre pagine e si ferma a contemplare le fotografie di quelli che dovrebbero essere due omosessuali felici ma che – nonostante gli ultimi sviluppi – trovano nei nostri due cervelli solo la definizione di checche. Il che è surreale perché lui mi sta spalmato addosso e io lo sto abbracciando e insomma… che cazzo. “Comunque abbiamo divorziato prima ancora di sposarci. Come coppia facciamo schifo Chaku. Niente bambini, okay? Non voglio rovinare creature, io.”
“D’accordo. Un cane, magari?”
“Quello sì. Mi piacciono i cani, fanno compagnia.”
Alla fine si ferma su una pagina di un marrone tristissimo e poco invitante, sulla quale compaiono delle illustrazioni. “No, dico, ci sono anche le istruzioni per immagini!” Esclama Fler, a metà tra l’entusiasta e lo sgomento. “… tutto il processo passo dopo passo per infilare il preservativo. Questo lo sai fare, mi auguro, avrai pure scopato nella tua vita, in generale, mi auguro.”
Ed è qui che mi viene a mente che scopavo – mi viene a mente di nuovo – e che scopavo con delle donne. Un tempo al posto di quell’opuscolo avevo un agendina tascabile piena di numeri di telefono di ragazze. E quelle ragazze rispondevano e – generalmente – dicevano anche di sì. Sono sempre stato organizzato da quel punto di vista, è per questo che poi ho avuto problemi con Klaudia, credo. Io sono un caso particolare, lei era da sola. Era molto più semplice risolvere la cosa con l’agendina.
Comunque lancio a Fler un’occhiata. “Credo di superarti di gran lunga in quantità, Fler.”
“Sei mica l'unico che abbia mai scopato, sai? Guarda che a me mi venivano dietro a centinaia!”
Sbuffo una risata. “Non le hai nemmeno viste cento donne tutte insieme.”
“Perché tu sì?” Commenta lui. “Che tu sia uno che ha bisogno di passare metà del suo tempo a scopare, siamo tutti d’accordo. Che tu poi lo faccia davvero, è tutto un altro discorso.”
“Devo darti dimostrazione pratica?”
“Lo farai fra meno di dieci minuti a giudicare da quanto sei diventato scomodo,” mi risponde lui, sistemandosi meglio contro il mio bacino e peggiorando la situazione, il bastardo. “E ricorda, una piccola scorta di preservativi – al posto giusto – è ideale, indipendentemente dal fatto che servano oggi o no."
L’isola ha una cassettiera in cui finisco per insabbiare qualunque cosa non trovi già posto su ogni altra superficie della mia casa. Nel primo cassetto ci sono anche dei preservativi. La cucina è un posto che si presta e quando mi ci ritrovo non ho voglia di camminare fino in camera per recuperare quello che mi serve. In realtà non ho mai voglia di camminare quindi ci sono preservativi ovunque in questa casa.
“A proposito di preservativi,” riprende lui e, senza scollare gli occhi dalle pagine, infila una mano nel cassetto, recupera un preservativo, me lo passa e richiude. “Per il sesso anale si possono utilizzare tutti i tipi di preservativi, tranne quelli supersottili o quelli con borchiette o scanalature. Le cosa?”
“Non ne ho idea!” Esclamo e me ne sto lì, con il mio quadratino in mano. “Ai miei tempi non esisteva niente di simile. Era tutto quanto molto semplice.”
Lui ride. “Ai tuoi tempi? Oh…questa è buffa,” dice. “Ogni anno in Svizzera si vendono oltre 18 milioni di preservativi… Ma la Svizzera è uno sputo di terra. Devono scopare un sacco, fra le vacche e il cioccolato!”
“Beh quando intorno hai solo i monti e la neve, non hai un cazzo da fare, eh!”
Fler ride. “Sento dell’empatia nei confronti degli svizzeri da parte tua.”
A quel punto mi accorgo che ho ancora le mani intrecciate intorno a lui, lo tengo stretto e lui non fa una piega. Quando lo bacio sul collo, lui chiude l’opuscolo e commenta: “Dieci minuti esatti, spacchi il minuto.”
Io gli sbuffo addosso, ridendo. “Devo fermarmi?”
“No,” piega il collo e ascolto il suo respiro mentre infilo una mano nei suoi pantaloni. “Vedi di fare lo Svizzero.”
“Sono Austriaco,” gli ricordo.
Si spinge un po’ contro di me quando lo stringo, ma continua a guardare avanti come se non stessimo affatto per scopare. In cucina. L’ho detto che la cucina si presta. “Ingegnati,” mi dice. “Li avete anche voi i monti e la neve, no?”
In Austria, monti e neve. E infatti non abbiamo un cazzo da fare.
Questo spiega tutta la mia persona.

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