Bedtalking

di tabata
Capitano quelle volte che anche io e Bill facciamo soltanto sesso.
Voglio dire, il sentimento c'è e tutto ma è diverso da quando invece magari lo stendo sul letto e lo facciamo piano e ci guardiamo negli occhi. Ci sono delle volte che proprio non ci penso e non ci pensa nemmeno lui, e queste volte capitano più spesso di quanto si possa pensare perché scopiamo tantissimo, quindi, anche volendo, non potremmo davvero sempre metterci lì a spargere petali di rose sulle coperte e bere champagne da flute di cristallo, cosa che per altro non abbiamo mai fatto perché io e cristallo nella stessa frase ci stiamo solo se si tratta di quella metafora dell'elefante nella cristalleria. Comunque avete capito che intendo.
Io con Bill ho una cosa che non avevo mai avuto in vita mia. Ne sono consapevole da tempo e ne sono consapevole soprattutto ora che le cose sono quello che sono e qualsiasi cosa ci stia succedendo di certo non è positiva. Insomma, io lo amo e parecchio anche, quindi forse per questo mi aspettavo che sarebbe andata diversamente, che saremmo stati romantici sempre, forse, non lo so. Di certo è ancora più frustrante avere avuto questa convinzione e poi ritrovarsi in questo modo, a volerlo ma senza poter evitare questo scazzo che mi è preso e che non se ne va nemmeno quando sto con lui. Anzi che con lui cresce.
Se ci penso, era una cosa molto stupida da parte mia, pensare che – indipendentemente dagli ultimi avvenimenti – sarebbe stato sempre un mondo da favola, visto che Bill sarà sì la mia storia più importante, ma non è ancora quella più lunga, quindi ero perfettamente consapevole che dopo un po' – per quanto tu ami qualcuno alla follia – le cose prendono un'altra piega e quel romanticismo un po' mieloso lo perdi e ci sta che certe volte ti dimentichi di fare l'amore e fai sesso, per dire.
E' successo anche con Bill, che non vuol dire che ad un certo punto abbiamo smesso di fregarcene del sentimento e amen, ma, come ho detto prima, capita che una sera entri in casa e vuoi farlo e non hai né il tempo né la voglia di costruire dei preliminari accettabili e quello che ne viene fuori è che fai tutto sul divano, o per terra, o dove capita, basta farlo.
Io questa cosa la sapevo benissimo perché prima di lui, saltando tutte le mie storielle, c'è stata Silvia che se ci ripenso, un po' ci assomiglia a Bill. Hanno avuto le stesse dinamiche.
A me lei piaceva tantissimo, ma tanto proprio, che quando l'ho vista la prima volta mi sono bloccato dalla testa ai piedi come un ragazzino.
L'ho conosciuta che faceva la commessa nell'alimentari sotto casa mia, posto in cui per altro non ero mai entrato perché io compro tutto al supermercato, a parte frutta e verdura che le prendo più volentieri al mercato la mattina. Quella volta lì che l'ho conosciuta, invece, nel negozio ci sono andato per mia madre che era venuta a trovarmi con Clara, che doveva avere tipo undici anni all'epoca, e aveva deciso di preparare il pranzo. Quello che mia madre non capiva e si rifiuta di capire ancora adesso è che io so cucinare, ma non lo faccio se non ne vedo il motivo. Mangiare non è una motivazione sufficiente, perché per quello posso sempre ordinare una pizza. Per cucinare devo aver bisogno di scaricare la tensione o di far piacere a qualcuno, o cose così. In quel periodo lì, che poi sono all'incirca tre anni fa, non avevo niente per cui stressarmi – Bushido lo conoscevo ma nessuno gli aveva mai sparato o lo aveva chiamato a regolare i conti nei vicoli, per dire. Non pensavo che avrei mai buttato un cadavere in un fiume per vendicarlo, ecco – ero relativamente felice. E in quanto al far piacere a qualcuno, non c'era nessuno. Avevo delle donne, ma non del tipo che gli cucini la colazione la mattina dopo e avevo imparato immediatamente che meno cibo dai ai tuoi colleghi e meno probabilità ci sono che quelli vengano a casa tua a romperti i coglioni ad ogni ora del giorno e della notte. Un po' come gli orsi nei parchi naturali. Non date da mangiare ai rapper. Insomma, il punto è che ai tempi – ora un pochettino meno perché sono molto stressato e sono circondato di persone a cui in effetti mi va di cucinare cose – il frigo era sostanzialmente vuoto, così mia madre mi spedì all'alimentari sotto casa con una lista lunga un chilometro. Non mi andava, lo dico subito. Cioè io entro in quel negozio e sono già incazzato a prescindere perché non ho alcuna voglia di fare la spesa, però una volta dentro vedo lei e mi passa l'incazzatura. Mi passa tutto, mi passa anche di mente che a casa ho mia madre e mia sorella che aspettano dei viveri per potersi nutrire. Solo che mi blocco e non è una cosa che a me succeda spesso. Insomma, non dico che le donne mi cadano ai piedi con uno schiocco di dita, ma almeno ci so parlare. E invece con lei niente, salivazione zero, cervello pieno di ovatta e, presumo, anche occhi a cuore. Non so. Il pacchetto completo, comunque. Le cose tra me e lei sono cominciate come in una commedia romantica e sono continuate in quel modo perché per me lei era tipo una cosa delicatissima, che non vuol dire che fosse intoccabile – sapete quelle cose tipo che ti basta guardarla? Ecco a me proprio no – però la trattavo in un certo modo. Il sesso con lei era una cosa che doveva essere bella, oltre che appagante. Ci tenevo proprio. Quindi i primi tempi c'erano i petali di rose e lo champagne, sempre per dire, mica davvero. Poi, le cose hanno preso il loro ritmo e pur continuando a fare le nostre cose, era tutto un po' meno una commedia romantica e più un levarsi i vestiti di corsa e saltarsi addosso. Più io che lei, ma questa è la costante della mia vita.
E ho perso il filo. Ah sì, dicevo all'inizio che con Bill mi è successa la stessa cosa. Quando ho capito che provavo qualcosa per lui – ed è stata tipo una rivelazione devastante perché non è che ho capito che mi piaceva e basta, ma che era mio amico, gli volevo bene, volevo proteggerlo, volevo che fosse mio tutto quanto insieme – ci ho perso la testa. E visto che per me lui era un sacco delicato, anche fisicamente, ci andavo piano. Cioè lo guardavo e pensavo che sicuramente gli avrei fatto del male in qualche modo perché non c'era verso che a stringerlo un po' più forte non gli si spezzasse qualcosa, per non dire di peggio. E' minuscolo, che quando lo abbracci ti sparisce tra le mani, e mentre sei lì le prime volte, ti viene da pensare che con lui non sia possibile, che magari la verità sulla Principessa è che è bellissima ma ha delle limitazioni oggettive, come se fosse di vetro.
Bill non è affatto di vetro, né di qualsiasi altro materiale che gli sia mai stato attribuito e che per definizione si rompe solo guardandolo, ciò permette senza gravi danni il passaggio dalla fase uno – il flute e le rose – alla fase due, che è quella in cui siamo in questo momento.
Anche se forse la situazione è leggermente diversa, ed è per questo che sono girato male. Il problema non è aver perso di romanticismo, il problema è averlo perso in questo momento che vorrei ammazzare qualcosa. Aver voglia di cospargergli il letto di petali di rose e prenderlo come la prima volta, ecco, avrebbe aiutato a placarmi, forse. Ma le cose non vanno mai come vuoi e d'altronde nemmeno lui mi aiuta visto che è nervoso ad ogni ora del giorno e della notte.
Fino a due ore fa eravamo in un locale, lui a bere forse anche troppo e io ad annoiarmi mentre lui andava in giro a fare vita mondana, perché è così che l'ha tirato su David ed è così che me lo devo sopportare quando dobbiamo andare a queste feste organizzate. Di natura, crisi isteriche a parte, Bill è un esserino delizioso, ma quando deve affrontare la stampa, le telecamere o le pubbliche relazioni si trasforma e, come nel caso della seconda identità dei supereroi, diventa una persona totalmente diversa. Tira fuori le unghie, si mette di tre quarti e risplende perché sa che quello che vuole la gente da lui è solo che sia bellissimo ed affabile. E lui sa esserlo. L'unica volta che non l'ho visto comportarsi così è stato dopo la morte di Bushido, ma in quel caso nemmeno lui aveva la forza di tenere su questo teatrino.
Alla fine del suo giro era già parecchio alticcio e come me assurdamente annoiato, così la prima cosa che ha fatto quando è tornato da me è stato montarmi addosso per farsi portare subito a casa. Non è che io sia scemo e non mi renda conto di quando fa determinate cose per aver qualcosa in cambio – cioè innamorato perso sì, coglione no – è solo che decido deliberatamente di lasciarlo fare, dal momento che quello che fa per convincermi mi piace, quindi è uno scambio alla pari. Lui sa che non ha veramente bisogno di strusciarmisi addosso se vuole tornare a casa ora, subito, immediatamente ma sa che io dimentico subito di essermi quasi ammazzato di noia tutta la sera se lo fa. E un Chaku non annoiato è un Chaku molto più disposto alla comprensione e alla sopportazione dei suoi momenti di scazzo, come quello che palesemente si appresta ad avere vista la sua faccia adesso.
“Mi porti a casa?” Chiede infatti, due secondi dopo avermi morso il collo e avermi strusciato il naso un po' ovunque, giusto per ribadire il concetto di cui sopra. E io che non ho un cervello ma una sorta di comando centrale posizionato a sud dell'equatore, per un attimo mi chiedo quanto davvero coprano le tende che circondano il nostro privé e quanto tempo ci vorrà a tornare e stenderlo sul letto o su una qualche superficie liscia e abbastanza comoda senza che a lui passi la voglia. Siamo un sacco lontani da casa. Una qualsiasi.
“Ti ci avrei portato anche mezz'ora fa. E un'ora fa,” commento mentre lo bacio e gli stringo i fianchi, così che non gli venga in mente di smettere di muoversi come sta facendo. “Non mi sarei neanche mosso di casa, volendo.”
Lui ride, in quel modo strano di quando è ubriaco che a me non piace per niente. Non è tenero come quando è sobrio e non è la risata che fa quando ha deciso di schienarti da qualche parte e si prospetta una serata divertente. E' la risata da diva dello spettacolo, quella un sacco finta che mi irrita perché mi ricorda che a me il Bill del pubblico non piace per niente.
Così gli accarezzo i fianchi di fretta. “Andiamo, allora,” borbotto mentre faccio per alzarmi, così lui è costretto a tirarsi in piedi. “Prendi il cappotto.”

*


Sto guardando il soffitto della stanza di Bill che è dipinto di bianco panna mentre i muri sono viola, una cosa che se me l'avessero fatta vedere un anno e mezzo fa avrei pensato ridendo che fosse troppo esageratamente gay. E, prima che me lo diciate, no, non è come il fucsia del mio MySpace – che c'è ancora gente che mi prende per il culo – che era una roba fighissima. Il fucsia è una roba figa, okay? Il viola è da femmine. Sono due colori diversi e non è colpa mia se la metà della gente che conosco riesce a pensare solo in 16 bit. Comunque sia, questa stanza ha il soffitto bianco panna e i muri viola e a distanza di un anno e mezzo io sono cambiato così tanto da pensare che non sia gay, sia solo da Bill. Che è gay, d'accordo, ma non è questo il punto del mio discorso. Il viola delle pareti sta bene con il nero dei mobili, il panna del soffitto con le coperte. E non importa se sono colori assurdi che a me non sarebbe mai passato nemmeno per il cervello di usare per camera mia – che è bianco neutro, così non devo pensare a come abbinare le tende, quando non dimentico di metterle – tutto è rilassante, avvolgente ed ordinato. E' esattamente come uno che conosce Bill può immaginarsi la sua camera.
Ci sono i miei vestiti in fondo al letto, mentre quelli di Bill sono sparsi nel corridoio, dalla porta di casa a qui e penso vagamente che spero la sua borsa non si sia rovesciata quando l'ho scaraventata a terra perché se quando ci alziamo le sue cose sono sparse in salotto, poi dovrò riportarlo qui per farlo smettere di blaterare isterico. E forse, dico forse, non sarò in grado di farlo. Comunque non ho ancora ripreso bene fiato, in realtà, è per questo che mi sto concentrando sui dettagli che mi circondano. E questo mi fa venire in mente che Bill non ha ancora parlato: una cosa stranissima dal momento che, generalmente, aspetta solo quei due istanti che gli ci vogliono a drappeggiarsi addosso a me subito dopo. Una cosa a cui ho faticato ad abituarmi perché dopo aver fatto sesso sono un uomo inerme, mi si potrebbe uccidere, quindi non ho la forza materiale di sollevare una mano, appoggiarla delicatamente sulle sue labbra e impedirgli di raccontarmi quella parte della sua esistenza che non ha avuto il tempo di spiegarmi mentre gli saltavo addosso. L'unica cosa che posso fare è rimanere disteso a fissare il soffitto, sperando di rimanere sveglio abbastanza a lungo da capire il succo del discorso nel caso mi chiedesse di ripeterglielo. Lo ha fatto, perciò ho dovuto imparare a difendermi.
Lo guardo con la coda dell'occhio per vedere se sta dormendo ma è sveglio e i suoi occhi fissano un punto imprecisato del cassettone di fronte a noi. Se glielo avessi mai chiesto saprei che stiamo entrambi guardando il punto esatto in cui Bushido si è preso la prima pallottola e poi la seconda, che ha lasciato una cicatrice sulla coscia che Bill mi tiene addosso. Ma io, appunto, non gli ho mai chiesto veramente cos'è successo quella notte perché quando potevo lui era distrutto e quando poi si è ripreso, noi due eravamo una cosa ancora troppo fragile per tirare di nuovo in mezzo Bushido e rischiare che ci distruggesse. Perciò lui forse sta guardando il punto da cui tutti noi – i noi di adesso – siamo partiti ma io sto solo guardando un cassettone e non posso davvero sapere quello che gli sta passando per la testa. In realtà, forse, il cassettone non c'entra e non c'entra quello che non so perché tanto i processi mentali di Bill non sono prevedibili, come non lo sono i miei per cui il mio cervello e il suo nella stessa stanza sono una cosa meravigliosa e incomprensibile come i cerchi nel grano. Fatto sta che quando alla fine parla, io preferirei non lo avesse fatto, ma non come faccio di solito, di più perché lo fa per dire una cosa che so porterà danni.
Gli accarezzo la testa e lui parla, così quasi penso che magari era spento e l'ho acceso. Una cosa stupida ma è andata proprio così. Io ho appoggiato la mano aperta sulla sua testa e lui ha detto “Peter?” nello stesso istante. Non può essere, tipo, una coincidenza.
“Sì?”
Lui non si gira come mi sarei aspettato e non mi pianta entrambe le mani sullo sterno per tirarsi su, complice una grazia che sua madre non gli ha dato in dotazione col suo bel faccino, come fa di solito. Rimane lì disteso dov'è e continua a guardare quel punto. “Posso farti una domanda?” Mormora.
“Spara,” rispondo, anche se non mi sento tanto pronto perché lo faccia perché capisco che sta per arrivare una domanda importante o potenzialmente disastrosa. Anche una persona tendenzialmente impermeabile ad ogni tipo di avvisaglia come il sottoscritto, in questi casi se ne rende conto.
“Con quante persone sei andato a letto nella tua vita?”
Io non vado d'accordo con la matematica, Bill. Che razza di domande mi fai? Rimango come un ebete a fissare la sommità della sua testa. Lui non si gira, continua a guardare davanti a sé in attesa di una risposta e io invece contemplo l'universo nella speranza che egli – sotto forma di tornado – scoperchi questa stanza e ci costringa a fuggire, lasciando la domanda priva di risposta.
La verità è che la risposta non la so. Cioè, anche se mi mettessi qui – dati alla mano – a contare tutte le donne con cui sono stato, probabilmente perderei il conto o non ne ricorderei qualcuna perché non ho avuto una storia con ognuna di loro e di alcune nemmeno ricordo il nome. E in ogni caso il numero non sarebbe uno di quelli che farebbe felice Bill o chiunque altro al suo posto. Quando ti fanno una domanda del genere non vuoi sentirti rispondere un numero che supera abbondantemente la trentina. Così vado nel panico, più che altro perché, più tempo passa e meno la risposta sembrerà naturale. Cerco di prendere tempo e dico la prima cosa che mi passa per il cervello. “Devo contare solo le fidanzate o anche le storie di una notte?” Chiedo. E poi penso che se già prima la risposta alla domanda era pericolosa adesso mi sono scavato una fossa da solo e mi ci sono ficcato dentro con un saltello anche piuttosto atletico.
“Hai avuto storie di una notte?” Chiede lui e mi sembra che la sua voce sia sprofondata di due toni, come se mi stesse parlando dall'oltretomba. Ovviamente non è successo niente del genere e probabilmente la sua voce è anche la stessa di un minuto fa, sono io che mi sento sotto giudizio e ne sono anche pienamente consapevole.
Mi chiedo quanto manchi all'arrivo del tornado, mi sembrava piovesse qualche minuto fa e tirava anche vento. “E'... è capitato,” dico. Non lo so perché dirlo mi dia tanto fastidio, non è che mi vergogno o cose simili. Forse è che è palese che lui non se l'aspettasse da me, credo. Non so. Cioè, il tono con cui me lo ha chiesto era... incredulo, tipo.
“Che cosa vuol dire? Queste cose non capitano,” fa lui.
Io vorrei dirgli che queste cose capitano eccome. Perfino io e lui siamo capitati quel pomeriggio dopo l'ospedale perché a me lui piaceva e a lui piacevo io, ma nessuno dei due si era svegliato quella mattina con l'idea di provarci. Per non parlare di Fler, come ci siamo capitati io e lui, Bill non può nemmeno immaginarlo. E a ben pensarci, dopotutto, lui stesso è il primo ad essere capitato a tutti noi, in un modo o nell'altro. E' lui il tornado, in realtà, che ad un certo punto è passato a fare disastri nelle esistenze di tutti. Quindi è inutile che aspetti che questa stanza si scoperchi per opera delle forze della natura comandate dall'universo e mi lasci scappare, il tornado ce l'ho addosso quindi posso solo soccombere.
“Capita che la sera dopo un concerto, ci sia qualche ragazza che riesce ad intrufolarsi nel backstage e una cosa tira l'altra. D'altronde tu lo sai che loro sono lì per quello, chi vuole gli autografi fa la fila con tutti gli altri o ha il culo di beccarti per strada mentre fai la spesa.”
“Capisco,” mi dice. Che vuol dire che non gli torna per niente ma non ha la voglia o la forza di dirmelo e di scatenare una discussione. Questa cosa Bill ce l'ha in comune con un sacco di altre donne della mia vita e non tanto con quelle che ho trovato nei backstage, ma con quelle che significano qualcosa. Tipo Klaudia, appunto, che quando si arrabbiava per qualcosa che avevo detto o fatto – il che succedeva un giorno sì e l'altro pure – non mi guardava e annuiva e diceva 'capisco' e l'unica cosa che poi aveva capito era quello che voleva lei. Era così che litigavamo, perché lei non mi diceva niente e io non tentavo di capire, pur sapendo che qualcosa c'era.
E mi rendo conto, all'improvviso, che cose come questa le impari solo quando stai insieme alla gente davvero e se Bill mi avesse fatto questa domanda, questa precisa, il numero sarebbe stato molto più basso e molto più importante. E gran parte di quel numero sarebbe stato composto da persone che anche lui conosce.
Ad ogni modo, questa discussione ci sta portando in posti in cui non voglio andare. Non voglio spiegare com'è che in passato – che poi significa prima di lui, che si è portato via un anno pieno della mia vita tra alti e bassi – io sia andato a letto anche con gente che non conoscevo, giusto per farlo. D'altronde è una cosa che con me non dovrebbe nemmeno necessitare di una spiegazione. Io sono io e Bill lo sa com'è che sono io, quindi... e poi sarò mica il solo? Il suo Bushido non ha mai fatto niente di diverso, gliel'ho spiegato più volte che prima che arrivasse lui, il camerino di Bushido era un puttanaio assurdo. Vorrei cambiare discorso, appunto e vorrei anche togliermi di impaccio, ma non lo faccio perché dal mio cervello confuso esce solo l'ennesima domanda pessima. “E tu?” Chiedo. “Con quante persone sei stato?”
Che è una cosa che non si chiede. Mai. Soprattutto a chi ti ha fatto la stessa domanda nemmeno un minuto prima e tu consideri quella domanda una violazione del tuo diritto a scoparti quante persone vuoi prima di quella che te l'ha chiesto, che è un diritto sacrosanto a cui io mi aggrappo sempre con le unghie e con i denti. E in questo caso, in questo caso specifico che comprende me – che sono un coglione – e Bill – che guarda dritto davanti a sé e c'ha qualcosa che non viene fuori per niente e non so cosa sia – la situazione è ancora più critica perché non solo non dovevo fare la domanda per una questione di violazione del diritto di cui sopra, ma so anche già pure la risposta.
“Due,” risponde infatti.
Due, quale altro cazzo di numero poteva mai essere, Cristo Santo, quando so perfettamente che non è mai stato con una donna, che il suo primo uomo è stato Bushido e che dalla morte di quel rompicoglioni fino a questo momento di merda in cui io faccio domande ancora più di merda, ci sono stato solo io per lui in qualsiasi forma possibile? Bravo Peter, sei un genio. Sento proprio la voce che me lo dice. “Bill, io...” inizio, anche se non so cosa dire, che novità.
Lui però sembra non avermi nemmeno sentito. “Vado a farmi la doccia,” esclama all'improvviso, come se avesse già cancellato tutta questa discussione, ma non l'ha cancellata affatto o forse sì e si è fatto di nuovo rapire da quel qualcosa che ha in testa e non mi vuole dire. “Dopo ci mangiamo qualcosa, magari.”
Sono le quattro del mattino e vorrei tanto che questa frase non suonasse così disperatamente di circostanza. “Preparo qualcosa mentre ti lavi,” mi offro. Non ho voglia di rimanere in questa stanza da solo. Lui sparisce oltre la porta senza dire altro.
Forse non ho voglia nemmeno di restare in casa.

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