Alles Verloren

di tabata
Io non sono un uomo buono.
In tutta la mia vita non lo sono mai stato. Gli uomini buoni sono persone che fanno qualcosa di veramente importante per gli altri. Sono quelli che migliorano il mondo, in qualche modo. Io non ho mai pensato di migliorare il mondo, ho sempre pensato a come stare bene io, che da ragazzino significava sfangarla giorno dopo giorno e farsi valere per non essere messo sotto; e poi, più tardi, significava fare i soldi, uscire dal ghetto e far vedere a quegli stronzi che anche un mezzo tunisino poteva arrivare in cima.
Ho fatto quello che c’era da fare per me, e per nessun altro. E non mi sono mai veramente posto il problema se quello che stavo facendo – fosse spacciare, pestare o cos’altro – fosse sbagliato. Non è mai sbagliato fintanto che mi serve.
Sono ben consapevole del mio egoismo, così come lo sono della mia prepotenza. Non si può ottenere quello che ho avuto io chiedendo permesso. Non è così che funziona. Ci vogliono le palle per prendere le decisioni, le cose bisogna guadagnarsele e poi tenersele strette perché c’è sempre gente che crede di poter fare il cazzo che vuole con le tue cose.
Quindi, in sostanza, no, non sono una persona buona e non voglio nemmeno esserlo perché le persone buone sono quelle che vengono sempre fregate. Io l’ho imparato un sacco di tempo fa che ad essere stronzi ci si guadagna. L’avevo dimenticato, evidentemente, ma me lo ricordo ora.
Le ultime sei fottute ore le ho passate chiuso in una stanza a cercare di capire come questo enorme casino sia potuto succedere. Non so che cosa mi dia più fastidio, se il mondo che è andato avanti anche senza di me o se il fatto che è andato avanti in questo modo di merda. Io sono morto per un motivo soltanto. E quel motivo era Bill. Non mi aspettavo che capisse, non mi aspettavo neanche che fosse facile per lui svegliarsi un giorno e non avermi più al suo fianco. Io lo sapevo che sarebbe stato male. Stavamo insieme da tre anni quando ho inscenato la mia morte. Non era più una storiella del cazzo, se mai lo è stata poi. Bill, quando l’ho conosciuto, era un cucciolo viziato. Un ragazzino intelligente e testardo, sì, ma un ragazzino. Gli undici anni che ci separano li sentivamo tutti quanti, ogni giorno. C’erano sempre tra noi perché io non potevo fare a meno di insegnargli a stare al mondo e lui di stare al mondo come gli insegnavo io.
C’è cresciuto, sotto le mie mani. L’ho visto farsi più forte, più deciso, l’ho visto imporsi con i miei uomini consapevole di cosa significasse farsi spazio nel mio mondo con quelle unghie dipinte. Era bellissimo il mio Bill.
Poi un giorno mi rendo conto che fino a quel momento non ho fatto nient’altro che metterlo in pericolo, che lo amo ma non posso oggettivamente proteggerlo in eterno e in ogni luogo. Capiterà che io non sia lì o, peggio, che ci sia e che per colpire me, finiscano per colpire lui. Mi rendo conto, per la prima volta nella mia vita, di avere qualcosa – Bill – che non posso rischiare di perdere. Se me ne sono andato, è stato per proteggerlo davvero come non avevo mai fatto prima. Lui avrebbe dovuto, semplicemente, tornare ad essere quello che era.
Scendo nel garage di questa casa che odio. E’ uno stupido appartamento, c’è troppa gente nel palazzo e io non faccio vita di condominio. David continua a dirmi che sta sistemando le cose per ridarmi la Villa, e intanto mi fa star buono restituendomi la Mercedes. L’aveva lui, come tutto il resto, parcheggiata in un deposito, in attesa che io decidessi cosa farne e me l’ha fatta trovare in garage dopo che ho incontrato Bill, dopo che pensava sapessi ogni cosa, forse. Non lo so.
Stringo le mani sul volante. Da quando ho di nuovo le chiavi non faccio che girare a vuoto, nel tentativo di perdermi ma adesso una strada da seguire ce l’ho. Ingrano la marcia e scatto al verde, le ruote stridono sull’asfalto. Mi è sempre piaciuto correre in auto, e Bill strillava sempre che ci saremmo ammazzati, che dovevo piantarla e gli stavo facendo paura. Si arrabbiava tantissimo, io lo facevo apposta, perché togliergli quel broncio dalle labbra, poi, una volta parcheggiati in qualche posto dimenticato da Dio era una sfida.
Il viso di Bill non mi abbandona. Da stamattina non faccio che rivedere l’espressione che aveva negli occhi quando gli ho chiesto di spiegare. Lo sguardo che mi ha lanciato quando ha detto che non c’era nessuna risposta da dare. Mi aspettavo una litania di giustificazioni e quando non è arrivata, come al solito, ho cercato di capire cos’avesse nel cervello perché l’ho sempre fatto e ce l’ho come abitudine. Le litigate più feroci della mia vita le ho fatte con lui, perché Bill non ti lascia mai l’ultima parola. Se lo accusi, si difende. Se ti difendi, attacca. Non subisce mai passivamente.
In realtà, forse volevo che negasse. Anzi non forse, lo volevo e basta. Se mi avesse detto che non era vero, io lo avrei aggredito – anche più violentemente – perché mentiva, ma sarebbero state soltanto quello: bugie di paura. O di vergogna, non lo so. Chi se ne frega. Se avesse mentito, allora c’erano solo cazzate dietro quella scena in cucina.
E invece così è un’altra cosa. Così è davvero una fottuta relazione, perché Bill lo sa che, cazzo, le bugie coprono solo quello che non ha davvero importanza. Vaffanculo, l’ha imparato da me.
Lascio l'auto dove capita e non sto evidentemente pensando perché, in un quartiere come questo, una macchina del genere non la vedi spesso, quindi fa da catalizzatore per i figli di puttana. Ce li ritroverò intorno come api col miele.
Qui non è Templehof, d'accordo, ma forse è peggio. Li a me la macchina non la ruberebbero, per dire. O forse anche sì, ma poi si pentirebbero.
Quello che mi si para davanti è un palazzotto bianco anonimo, con le finestre tutte uguali. Un mattone grigio in mezzo a tutti gli altri, queste cazzo di case popolari sembrano tutte uguali. E se penso che Bill c'ha passato chissà quante notti, mi incazzo. Cristo, come pensavi che fosse roba per te, eh, Chakuza?
La Principessa poggiava la testa solo su cuscini da trecento euro quando gliel'ho affidato. Solo alberghi a cinque stelle fra quelli che gli pagava David e quelli dove l'ho portato io. Casa sua è un casino di scatoloni, ma sarebbe bellissima se solo avessimo avuto il tempo di sistemarla. Se solo non avesse passato quasi tutto il suo tempo nella mia, di casa, quando ero vivo. Cos'è questo buco? E non so nemmeno perché sto facendo questo discorso, forse perché a qualcosa devo attaccarmi mentre salgo di corsa - il portone é uno schifo, non si è mai chiuso bene - e se penso a Bill che fa tutti questi gradini, e magari li fa stringendolo per mano, come faceva alla Villa quando mi trascinava al piano di sopra, mi sale la rabbia. Quindi vaffanculo, è un posto di merda, e lui non doveva neanche pensare di portarcelo Bill.
Batto due volte sulla porta con tutto l'avambraccio e visto che non apre nei due secondi successivi, ci batto sopra ancora tre volte.
"Che cazzo..." lo sento che bisbiglia, perché Chakuza che bisbiglia è come una persona normale che parla con un tono di voce accettabile. Tiro ancora due colpi, proprio sopra lo spioncino. "UN ATTIMO!"
"Chakuza," ringhio e lo sento tendersi dietro la porta. Stava camminando svelto un secondo fa, e adesso è fermo. A dividerci c'è solo il legno graffiato. Ti sento respirare, stronzo. Lo so che sei lì in piedi e ti chiedi se devi farmi entrare o meno, che ora lo so, quindi sono incazzato. Il punto è, Chakuza, che tu non puoi lasciarmi fuori. Tu mi devi un sacco di spiegazioni. Anzi no, mi devi che ora mi fai entrare e parlo io. Alla fine lo sento aprire le due serrature in alto. Lui abbassa solo la maniglia, la porta la spalanco io, e sono dentro prima che lui mi inviti a farlo.
"Atze..."
"...quale parte del proteggilo e abbi cura di lui era fraintendibile, Chakuza?" Chiedo, avanzando.
Lui arretra e gli leggo negli occhi la paura che hanno tutti quando vai a chiedere conto e ragione di qualcosa che ti hanno preso senza permesso e che si sono tenuti, i bastardi. Io ce l'ho nel sangue questa cosa, bussare in casa della gente e farmi dare quello che mi spetta. Ho nel sangue anche che ogni cosa che ho la difendo coi denti e lui deve smetterla di credere che davvero non gli farò il culo per la cazzata che ha fatto.
"Atze, di cosa stai parlando?"
"Non ti azzardare a mentirmi!" Urlo. "La mia dose di cazzate me l'ha già rifilata Bill due settimane fa. Tu adesso parli, invece." Continuo ad avanzare e sono una bestia per come lo guardo e cammino. Non me ne frega niente, non voglio essere ragionevole.
Lui fa qualche passo indietro, pesta qualcosa e nemmeno abbassa lo sguardo a vedere cos'è, questa casa non è veramete una casa. E' tutto un casino, qui, a cominciare dal proprietario. "Okay, d'accordo," annuisce e respira forte. Pensa, Peter, pensa a cosa voglio sentirmi dire. "Adesso ci sediamo e ne discutiamo, d'accordo?"
"Non c'è niente da discutere," replico. "Dimmi solo la verità. La domanda la conosci."
E lui non ha più così paura, si sta incazzando e questo fa incazzare anche me
Lo vedo che stringe i pugni e serra la mascella. Peter non è uno a cui piace litigare. Le spalle che ha, la forza che ha, non le usa come niente, tanto perché non ha niente di meglio da fare. C'era un motivo per cui lo trovavo affidabile, che era equilibrato nel gestirsi, a modo suo. Magari non capivi un cazzo di cosa gli passasse davvero in testa ma potevi stare certo che non ci sarebbe mai stato lui nei casini per una scazzottata. Vaffanculo, era per questo che avevo scelto lui. Nel suo cervello le cose non si risolvono con la violenza. Poi penso che lui il problema lo ha risolto scopandosi Bill. E soprattutto, lui in quel momento dice: "Sì Atze, la risposta è sì," e io voglio ammazzarlo.
Esistono due tipi di persone: quelle che ti tengono testa perché hanno le palle quadre come le tue, e quelle che credono di poterlo fare. Io non so ancora a che gruppo appartenga lui. Peter mi guarda e io nei suoi occhi leggo la stessa rabbia che so esserci nei miei. Solo che lui non ha nessun diritto di provarla.
Lo afferro per il collo della maglia e lo strattono violentemente. "Non ti azzardare a chiamarmi Atze, Chakuza," sibilo. Atze è per i compagni che ti coprono le spalle. L'onore di usare questa parola lui l’ha perso sul corpo di Bill.
"Lasciami."
Mi dà fastidio il modo in cui continua a fissarmi negli occhi senza battere ciglio. Non dovrebbe, cazzo. Sono io e sono qui per farlo a pezzi. Non sfidarmi Chakuza. Non me. Ringhio e lo schianto contro il muro che ha alle spalle, ma non lo mollo. "Quando cazzo è successo?"
"Otto... nove mesi fa," si corregge.
"Nove mesi?" Lo allontano dal muro e quasi lo sollevo da terra per risbattercelo contro. Nove. Fottuti. Mesi. "Quanto è andata avanti?"
Io lo so qual è la risposta perchè li ho sentiti parlare e gli occhi di Bill, stamattina, non lasciavano dubbi, ma voglio che me lo dica lui. Voglio che sia questo bastardo a guardarmi in faccia mentre mi risponde.
Lui non lo fa. Allarga solo le braccia, e mi irrita, cazzo, allarga le braccia solo per questo. Anche adesso, dura anche adesso. Ecco la risposta.
Che è quello che non voglio proprio sapere, in realtà. Se avessero scopato per niente farebbe meno male. Ma Bill non scopa per niente. Bill lo fa con convinzione e quindi adesso Chakuza mi sta dicendo cose che non voglio sentire affatto, perché anche lui è così. Chakuza scopa un sacco, ma le sue donne se l'è sempre tenute. Non è mai stato quello che vorrei che fosse, adesso.
Contro il muro ce lo sbatto di prepotenza stavolta, batte la testa e lo vedo incassare il colpo con le spalle. "E quando cazzo pensavate di dirmelo?"
"Avrei..." inspira forte "... lo avremmo fatto! Non ce ne hai dato tempo!"
"Tempo un cazzo!" Replico e ce lo sbatto ancora, contro quel muro. "Il fottuto tempo lo avevate, Chakuza. Sono qui da due stramaledette settimane! Che tempo volevi aspettare, eh?" Mi allontano e mi passo una mano sulla testa. Lo fisso e siamo solo a mezzo metro di distanza. Lui è ancora contro il muro. "Tu..." lo indico. "Tu lo sapevi, sei stato uno dei primi a vedermi. Me lo hai portato tu, cristo santo. E a nessuno dei due è venuto in mente di avvertirmi che scopavate, Chakuza? Non posso crederci. Perchè lui? Perchè Bill, cazzo?"
"Non potevo dirtelo prima che lo vedessi," mormora e il tono che sta usando è quello con cui spieghi le cose quando vuoi che vengono accettate prima di farle accettare in altro modo. Quando ci provi ad essere conciliante, un minuto prima di dire che si fa comunque come dici tu. E questo non è il tono che dovrebe usare. Chakuza non ha capito un cazzo. "E poi Bill non.... " espira. "Non lo so perché. E' successo e basta, okay?"
Okay il cazzo. Quando lo sbatto contro il muro, stavolta, sento la parete tremare. Una delle stampe del corridoio cade a terra e la cornice si rompe a qualche metro da noi. "Ti sembra una cazzo di giustificazione, Chakuza? Non lo so perché, è solo successo? Cazzo," continuo a schiantarlo contro il muro. "Ero scomparso da quanto, quando l'avete fatto? Cazzo. Vaffanculo!"
“Bushido…”
“Lo sai cosa mi fa incazzare di più, Chakuza? Lo sai cos’è?” Sono fuori di me. E’ come quando ero un ragazzino e qualcuno mi faceva incazzare di brutto. Tutta la rabbia che avevo mi vorticava in testa senza darmi il tempo nemmeno di ragionare. Era solo una nube, un casino infernale che mi martellava nel cervello e io gli andavo dietro, perché di calmarmi non c’era verso e allora non rimaneva che farsi guidare. In questo modo, però, fai anche un sacco di stronzate, di solito. “Che proprio tu, fra tutti, gli hai messo le mani addosso. A lui, cazzo!”
Il concetto, mentre lo esprimo, mi colpisce con tutta la forza possibile. Fino a qualche istante fa era solo un'idea vaga. Il pensiero che si, Bill sta con lui, che già da solo è insopportabile, ma adesso è ancora più forte nella mia testa: Chakuza lo ha toccato. E Bill gli ha sorriso, lo ha baciato. E' venuto tra le sue dita. Sollevo un braccio e gli fermo il pugno a due millimetri del viso. "Dì qualcosa." Giustificati, stronzo. Voglio sentirti accampare scuse che non hai.
Vedo i suoi occhi che si stringono e mi guardano come se fossi io quello che gli ha portato via qualcosa. "Io non gli ho messo le mani addosso," sibila. "Non parlarne come se fosse un gioco, cazzo!"
"Che cos'è allora? Io me ne vado e tu te ne approfitti. Questo è successo!"
"No!" Mi spintona indietro, furioso. "Sei stato tu a fare un fottuto casino, Bushido! Bella trovata, quella della morte! Bravo!" Continua a spintonarmi. Ad ogni colpo io faccio un passo indieto e lui uno avanti. "Bill era a pezzi, lo sai questo? Con i suoi non parlava e fuori tutti facevano finta che non foste mai esistiti insieme. Questo non te lo ha detto, David, vero? Non te l'ha detto della merda in cui lo hai lasciato quel ragazzino! Non so più quante notti ha passato a piangere in casa mia perchè era l'unico posto in cui si permetteva di farlo! Quindi non venire a dire a me cos'è successo. Tu non sai un cazzo!"
Io lo guardo e stringo i denti e i pugni. Si è permesso troppe cose. Sa troppe cose che io non so. C'è una parte di questa storia che lui conosce meglio di me, e io non lo sopporto.
"Io non ho messo le mani addosso a Bill," ripete e lo fa guardandomi dritto in faccia, il bastardo. "Ci siamo... ci siamo ..non lo so trovati! Non era programmato! Che cazzo dovevo fare?"
Lo colpisco così forte in faccia che crolla indietro e sbatte contro il muro, preso di sorpresa. Continuo a colpirlo anche quando alza la testa, il sangue che gli cola da un labbro. Ne incassa due, prima di caricarmi a testa bassa. Sento le sue nocche colpirmi lo zigomo. Sento il pugno nello stomaco. E il dolore è una nube, come la rabbia. "Stagli lontano," ringhio.
“Col cazzo!” Mi colpisce in viso e non si ferma. “Non mi farò da parte solo perchè sei tornato! Non avresti mai dovuto andartene!”
“L'ho fatto per lui! Perché ne uscisse. Invece torno e scopro che sono morto per niente, che Bill è ancora immerso in questa merda e tutto perché?” Lo afferro per la maglia e gli tiro un calcio al ginocchio. Continuo a pestarlo quando rovina a terra e non m’importa se ci sto andando pesante. Non me ne frega un cazzo. Ora come ora potrei pure ammazzarlo. “Perché tu non potevi tenere il cazzo nei pantaloni, Chakuza!”
“Non hai capito un cazzo!” Urla lui. “Bill ti amava, stronzo! Eri il suo fottuto Dio, non se ne sarebbe mai andato davvero da qui! C'eri tu qua dentro! Non ha fatto altro che cercare le tue ultime tracce ovunque! Credevi davvero che fingendoti morto lo avresti salvato? Stronzate! Lo hai lasciato qui da solo a soffrire! Non incolpare me per le tue cazzate! “
Ho il braccio sollevato ma non colpisco. Lui ne approfitta per tirare il fiato. Mi guarda, però, ed è un cane rabbioso steso a terra. Lo so che per Bill ero tutto. Anzi, per Bill ero troppo. Dipendeva da me e dalla mia presenza, è quello che succede quando ami una persona come ci amavamo noi. Tutta quella forza che avevamo, sarebbe stato il nostro punto debole. Era il mio punto debole. Me ne sono andato per questo, cazzo. Per evitare che lo usassero. Era meglio che soffrisse per avermi perso ora, che non più avanti quando sarebbe stato importante e lui sarebbe stato ancora più mio. Mi fa male che Bill non mi abbia capito, che sia rimasto lì a cercarmi quando avrebbe soltanto dovuto portarmi con sé.
Mi fa male che a consolarlo sia stato il mio migliore amico.
“Non... non azzardati ad avvicinarti di nuovo a lui, Chakuza.” Mi pulisco il sangue che cola dal naso con il dorso della mano. “Ti sto avvertendo, sono molto più pericoloso di quello che credi. Fatti da parte.”
“Vuoi farmi fuori e poi dirgli che mi hanno investito per strada?” Chiede sbuffando una mezza risata ironica mentre inizia a tirarsi su dal pavimento. “Perché non gli dici che sono andato a Miami?”
“Non mi sfidare, Chakuza,” lo avverto. “Non mentirei stavolta. Sono serio. Non ti avvicinare. Non lo toccare, non pensarlo neanche, dimenticati della sua fottuta esistenza ed anche della mia. Ci hai messo poco, comunque.”
Tre fottuti mesi.
Tre mesi ed ero già morto abbastanza per prendersi Bill.
Tre mesi ed ero già morto abbastanza perché Bill ci andasse a letto.
Io lo so che mi sto inventando cose. Non in questo momento, ma poi me ne renderò conto. Fra qualche ora il mio cervello si schiarirà e allora ricorderò com’è davvero la Principessa. Adesso però non so niente di quello che è stato. Tutto si concentra su nove mesi in cui non ero qui, e in cui tutto è cambiato.
Il Chakuza che conosco è solo quello che sta a terra ora. Lo stronzo che si è preso Bill e che mi guarda come se non mi dovesse niente. A Bill non ci penso, invece. Fa troppo male quello che mi ha fatto, e fa ancora peggio quello che penso di lui.
Voglio andarmene, anche se in realtà non so nemmeno dove. Tirerò la Mercedes finché non si fonde il motore, poi mi guarderò intorno e deciderò se sono abbastanza lontano. Berlino non mi consola più.
Faccio per allontanarmi, ma Chakuza parla.
E quando lo fa, all’inizio, mi sembra di non capire.
“Non hai nessuno fottuto diritto di chiedermi una cosa simile. Non hai più nessun cazzo di diritto su di lui! L'hai lasciato una volta, ora non lo tormentare!”
“Stammi bene a sentire, Chakuza!” In due passi sono di nuovo da lui e gli tiro un calcio nello stomaco. Lui si piega in due con un gemito. “Non ho bisogno di nessuno che mi ricordi i miei diritti e doveri, tanto meno di te, fottuto traditore!”
Mi guarda dal basso verso l’alto e, quando lo colpisco di nuovo, tossisce saliva e sangue. “Io non ho tradito nessuno.”
Lo colpisco alla caviglia, con forza. “Questo lascialo decidere al tradito, stronzo.” E ricomincio. Non doveva parlare. Non doveva fare niente. Doveva solo starsene in terra dove lo avevo lasciato, cazzo. Vaffanculo, bastardo.
Lui rotola sul pavimento, cerca di difendersi e in questo modo ho solo voglia di pestarlo di più. “Mi hai chiesto di proteggerlo... te l'ho protetto,” ansima. “Sono quasi morto per salvarlo. Come te. Solo che poi io gli sono rimasto vicino. Quello che dovevo fare, quello che mi avevi chiesto, io l'ho fatto!”
Non controllo nemmeno più la forza. Colpisco e basta, mi piego a tirargliele nel viso anche. Lui mi tira giù, risponde e sono le mie mani sul suo viso e le sue ginocchiate nello stomaco. Non capisco più niente. Ringhia furiosamente, stringe le mani intorno ai miei bicipiti e mi impedisce di avventarmi ancora su di lui. Ringhio anche io. Gli ringhio in faccia. “E poi non hai proprio potuto fermarti lì, vero? Dovevi fare come me anche in tutto il resto!”
“Piantala di parlarne come se fossi un cazzo di stronzo qualunque che si è divertito a giocare con lui!” Urla e nei suoi occhi non c’è solo rabbia. C’è anche un sacco di frustrazione e qualcos’altro che non voglio decifrare. Non lo so cos’è, ma non me ne frega. “Io non gioco, affatto. Sono nove mesi che sta con me! Nove mesi, Anis. E io non te lo lascio così solo perchè sei tu.”
Nove mesi è un tempo lunghissimo, Cristo. Loro ci hanno cancellato la mia esistenza, io ne ho creata una nuova tenendomi stretto al loro fottuto ricordo. E’ questa la differenza. Io non sono passato oltre, io non sono affatto morto, cazzo. “Fanculo!” Mi alzo e lo lascio a terra con una spinta. “Fanculo, Peter! Non presentarti mai più davanti a me.. Sparo a vista, sei avvertito. Questa è una cazzo di minaccia.”
Lui si solleva da terra e si pulisce la bocca con la manica. Gli cola sangue da un taglio sul sopracciglio e dalla testa, non so nemmeno quando e come l’ho colpito così. “Fà quello che vuoi. La tua amiciza, la tua fottuta etichetta.. non me ne frega niente. “
Me ne vado sbattendo la porta e infilo le scale senza davvero sapere dove sto andando.
In questo preciso momento nella mia vita non c’è più niente. Quello che ero l’ho seppellito. Quello che avevo se l’è preso Chakuza. E quello che sono diventato è chiuso in una casa di Miami dove non voglio tornare. Sono solo e non sono niente.
L’auto si mette in moto con un ruggito sommesso che mi vibra sotto le dita. Si sta facendo buio e su Berlino c’è un’ombra scura che si allunga e sembra quasi inseguire la Mercedes. Premo sull’acceleratore, il contachilometri segna i duecento. Non ha più importanza.
Io sono più veloce della notte che avanza.
E non ho più niente da perdere.

Bookmark and Share

lascia un commento!










Nota: Devi visualizzare l'anteprima del tuo commento prima di poterlo inviare.
Note: You have to preview your comment (Anteprima) before sending it (Invia).
 

torna su