All the small things

di tabata
Perché io mi decidessi a parlare di lui, Bushido ha dovuto tornare in vita.
Se ci penso rido, ma in realtà è una cosa molto da lui fare l’impossibile pur di venire amato, se è quello che vuole. E lui di certo, quando ha deciso di farci credere che non lo avevamo più, avrebbe voluto che io dicessi qualcosa. Invece non ho detto una parola.
I giornalisti mi hanno inseguita per settimane e, naturalmente, non si sono risparmiati di invitarmi a TRL o di chiedermi interviste per tutti gli speciali che poi sono andati in onda nel tentativo di rivelare di Bushido anche quello che non esisteva affatto.
Io non ho mai accettato, non avrebbe avuto senso farlo. Io con l’etichetta non c’entro niente e non era mio il compito di ricordarlo.
Quando è morto, una parte di me è morta con lui.
Sembra una frase fatta, ma è la verità. Anis è un uomo che quando ti ama, lo fa in maniera totalizzante e per farlo, ti ruba un pezzo di cuore, così poi tu lo ami per forza, perché ha fra le mani una parte di te. Per questo quando hanno calato la bara, quello che di lui c’era in me ha cominciato a vacillare come la fiamma di una candela e io per proteggerlo, per mantenerlo il più vivo possibile, ho preferito il silenzio.
Avevo paura che si spegnesse.
Poi, anche a me è successo quello che è successo a chiunque altro lo conoscesse e gli volesse bene. Abbiamo iniziato a sentire la sua mancanza, una specie di morsa dietro lo stomaco, la sensazione netta che avesse lasciato un vuoto fisico e che ci stessimo tutti camminando intorno, evitando accuratamente di riempirlo con qualcos’altro. Era una specie di buca in cui evitavamo di cadere ma che non ci azzardavamo a riempire. Per questo abbiamo finito per avvicinarci tutti quanti. Era un modo per sentirlo vicino. Credo che prima o poi tutti abbiamo fatto lo stesso pensiero. Ci siamo detti che se stavamo insieme, se stavamo tutti nello stesso posto, potevamo fingere che non fosse successo niente. Eravamo lì perché stavamo aspettando lui. Non era morto, era solo da un’altra parte e come al solito si faceva desiderare.
Così un giorno sono uscita di casa e mi sono presentata all’Ersguterjunge e nessuno sembrava sorpreso di vedermi. Erano tutti lì, del resto. Perfino Fler, che avrebbe dovuto darmi da pensare e invece niente. I sudditi del re ragionano tutti allo stesso modo.
Per settimane non abbiamo fatto niente, stavamo solo lì. Arrivavamo prestissimo la mattina, ci sistemavamo negli uffici ed era come quando sei un ragazzino e ti trovi a casa di qualcuno. Non hai veramente qualcosa da fare, stai lì e basta. Le prime settimane eravamo soltanto noi, poi anche Bill ha cominciato a venire.
Ricordo quando è arrivato perché eravamo nello studio grande. Eko e Kay avevano trascinato nella stanza i due divani del salottino così che potessimo stare tutti quanti insieme. Avevo portato del cibo fatto in casa perché sapevo che se li avessi lasciati da soli a nutrirsi avrebbero mangiato soltanto pizza, cibo cinese e kebab.
Poi abbiamo sentito la porta aprirsi. Ci siamo guardati. Anzi, ci siamo contati. Ed eravamo tutti lì. Per un attimo abbiamo pensato ad Anis ed è stato un pensiero quasi felice. La scena era perfetta: noi già lì, lui che ci raggiunge ovunque fosse prima. Così quando sentiamo i passi, quando scorgiamo l’ombra, ci tendiamo verso la porta perché ci aspettiamo di vederlo comparire e sorridere dicendo “Cosa ci fate già tutti qui? Non avete una vita?” Invece è Bill. E il ragazzino è a pezzi..
Anis mi ha sempre parlato di lui. Veniva da me a mangiare qualcosa, ogni tanto, e mi raccontava di quello che stava accadendo. Anzi, in realtà veniva lì con quell’intenzione ma non diceva niente finché io non portavo in tavola i piatti e chiedevo per prima. Allora lui sorrideva alla sua maniera, quella che lo guardavi ed era contagioso, e mi diceva che era una gran casino. “E’ un gran casino, Cassie,” diceva proprio così. “Ma è il più bel casino della mia vita.”
Quando ha conosciuto Bill, io l’ho saputo il giorno dopo. Lo avrei saputo la sera stessa se non fossi stata abbastanza intelligente da spegnere il cellulare. Bushido è il tipo che se gli succede qualcosa è convinto che tu voglia saperla immediatamente, anche se – per dire – sono le quattro del mattino e tu stai dormendo. Io però lo conosco benissimo, quell’uomo lì, ci sono passata, li so i suoi colpi di genio di telefonare all’alba o magari presentarsi a casa mia alle tre di notte e offrirsi di cucinare due verdure al volo intanto che mi spiegava cose – che poi finiva che lo mettevo seduto buono e lo facevo parlare mentre gli riscaldavo qualcosa dal giorno prima perché non mi facesse saltare in aria la casa. Comunque ho imparato a spegnere il telefono. Quando la mattina mi sono svegliata avevo un numero illegale di chiamate non risposte e due messaggi. Uno che diceva “Devo parlarti” e l’altro che mi avvisava, “Sto passando da te.” Non ho neanche pensato di prepararmi di corsa, tanto lo sapevo che era già sulla porta, lui non ti avverte mai in tempo utile. E, ad ogni modo, se proprio voleva vedermi, si sarebbe preso anche il mio pigiama e le mie pantofole di pelo rosa.
Me lo ritrovo in casa nemmeno dieci minuti dopo ed è in uno stato di esaltazione tale da essere quasi insopportabile. Anis per certe cose è come un bambino, quando si emoziona o c’è qualcosa di particolarmente fantastico, non sa parlare d’altro e lo fa senza prendere fiato, ti travolge di parole. Entra, mi dà il tempo di chiudere la porta e poi mi bacia sulla guancia. “Non ho mangiato, hai niente?”
“Stavo per fare colazione,” gli dico. Faccio per indicargli la porta della cucina ma lui ci è già entrato e si sta pure già servendo. Non mi resta che raggiungerlo.
“Allora, cos’è questa storia che devi parlarmi?” Mi verso del caffè intanto che lui si fa fuori l’ultimo panino che mi è rimasto in casa. Alla faccia dell’educazione e della galanteria. Il fatto è che lui sa che glielo avrei dato se me lo avesse chiesto, quindi ha saltato un passaggio e se l’è direttamente preso. Ci vuole pazienza, con lui.
“Ieri sera ero da Oliver.”
“Chi?”
“Pocher,” specifica lui, facendomi cenno col mento sollevato, mentre apre il panino e ci spalma sopra il burro. Io annuisco vaga, avrò visto questo tipo un paio di volte ma non ho ben chiaro chi sia. Bushido ci va matto, comunque. Questo lo so. “Insomma, Oliver ha dato questa festa dopo lo spettacolo e c’erano praticamente tutti.”
Tutti quelli che contano, intende. Che poi significa, tutti quelli che non contano ma servono a lui per il suo assurdo piano di conquistare la Germania. Più o meno.
“Dov’è la novità?” Chiedo, sorridendo. “Quand’è l’ultima volta che sei stato in casa tranquillo senza tornare disfatto alle quattro del mattino? Hai dormito stanotte?”
“No, vengo diretto da lì,” mi dice. “Cioè, sono passato da Chaku una mezz’oretta, con i ragazzi, ma poi sono venuto qui.”
Lo guardo. Ha addosso i pantaloni di una tuta da ginnastica nemmeno tanto nuova e una maglietta a maniche corte con il logo dell’EGJ. “Ti sei cambiato?”
“Na-ah,” risponde lui, masticando.
“Ci sei andato così alla festa di Pocher?”
Si stringe nelle spalle. “Comunque, ti stavo dicendo. In mezzo a tutta questa gente c’erano anche i Tokio Hotel. Hai presente no?” Annuisco. Direi che è impossibile accendere la televisione senza vederli. “In realtà c’erano solo i gemelli, comunque fa lo stesso. Non è che gli altri due abbiano tutta questa importanza.”
“Perché loro due sì?”
Lui ride. “In un certo senso si. Per questa storia ce l’hanno, almeno. Comunque, sono due spettacoli, veramente. Tom, il biondo, è uno di quelli che arriva e lo vedi sparire tempo zero dietro alla prima figa con la scollatura ampia. L’altro, Bill è come lo vedi in televisione.”
“Vale a dire?” Chiedo, perché mi vengono in mente un sacco di aggettivi ma non credo siano quelli giusti.
“Pesa si e no quaranta chili ed è perfetto, tipo. Sembra una ragazza, è molto carino. Comunque, il punto non è questo. E’ che mi si è avvicinato, sbattendo gli occhioni. Ed è passato tra Kay e Nyze, educatissimo. Scusate, permesso. Dovevi vedere la faccia dei ragazzi.”
A me sorge il dubbio che ci sia qualcosa che Bushido ancora non ha capito. Lui non ha nemmeno finito di raccontare, non ha nemmeno iniziato anzi, e io già vedo cose che lui non immagina proprio, perché lo so com’è. Dopo che ci siamo lasciati – io ho lasciato lui, perché oggettivamente non era cosa tra me e lui. Quindi va bene che mi depredi la dispensa ma non che stia nel mio letto, grazie – lui ha avuto un sacco di ragazze, tutte ampiamente sotto i venticinque e tutte ampiamente stupide. Anis non è un tipo da relazione stabile – cioè, non lo era al tempo – però è un tipo da innamoramento. Lui delle donne si innamora. E anche con una facilità sorprendente. Questo perché è un uomo innamorato dell’amore. Gli piace l’idea che ci sia nel mondo una donna che è la sua donna, con la quale lui possa darsi una certa importanza e, sostanzialmente, possa fare lo splendido. Bushido le donne le rispetta, anche se purtroppo viene dal ghetto, quindi ha un certo tipo di mentalità – io Tarzan, tu Jane, per intenderci – ma lo si tiene a bada con un po’ di polso. Di solito le donne che si sceglie non ce l’hanno, ma va tutto bene così: lui ha le sue bamboline da riverire come dee e loro hanno una fonte quasi inesauribile di denaro, un bell’uomo con due braccia forti e sono tutti felici. Insomma, di donne ne ha avute dopo di me, e si è innamorato di tutte quante, quindi io li conosco gli occhi di Anis quando va in quella direzione. Ora è qui seduto di fronte a me e per raccontarmi Bill Kaulitz mi ha detto solo quanto pesa e quant’è carino. E io non so se prenderlo per il sedere perché si è lasciato di nuovo affascinare da un bel faccino, o perché il faccino è quello di un maschio.
“Senti un po’ qua, Cassie,” mi dice intanto lui, segno evidente che non ha capito niente di niente di se stesso, ancora. “Mi raggiunge, io lo guardo, l’ho visto solo in tv fino a quel momento. Quindi mi sorride, e mi chiede se mi ricordo di lui, che ci siamo visti a non so che premiazione. E allora me lo ricordo sì, ma non è che ci siamo visti. Ci siamo incrociati un secondo, tipo. Comunque iniziamo a parlare, ed è simpatico. Un ragazzino intelligente.”
Di queste descrizioni di Bill, Bushido me ne fa a centinaia nei mesi successivi. Da ragazzino intelligente, diventa sveglio, poi affascinante. E in fine, Cassandra, Bill è veramente un tipo interessante. Che è l’inizio della fine.
Una sera mi irrompe in casa alle due. Ha gli occhi lucidi, quindi ha bevuto e come entra lo mando a parcheggiarsi sul divano con un caffè, anche perché altrimenti si addormenta e io domani ho qui mia madre e le verrà un infarto se lo vede. Pensa di essersene liberata per sempre. “Cassie, ho un problema.”
Bushido non ha mai problemi, soltanto situazioni da risolvere. Quindi se ti dice che ha un problema, allora ce l’ha. Io sospiro e mi siedo. “Che succede?”
“E’ Bill.”
Negli ultimi tempi, si sono visti moltissimo. Quando il ragazzino non era in giro circondato da adolescenti e Bushido non era chiuso in sala di registrazione a balbettare testi per i quali palesemente non ha abbastanza fiato, erano insieme. Tutto super-segreto perché il bambino d’oro della musica tedesca non può certo incontrarsi in pubblico con il rapper brutto e cattivo, quindi sono stati costretti ad incontrarsi alla Villa Gialla, cosa che ha reso il tutto molto più intimo. “Che cos’ha combinato Bill?”
“Ci ha provato.”
Io lo guardo. “Cosa?”
Bushido annuisce, serissimo. “Eravamo a casa e stavamo guardando un qualche film assurdo che mi ha portato – non ti so dire cosa fosse, non è importante – e abbiamo bevuto un po’.”
“Anis c’è abbastanza materiale per scatenare l’inferno mediatico.”
“Certo, ti vedo andare da Sascha ad avvisarlo che intrattengo nella mia villa minorenni che poi faccio ubriacare per approfittarmene. Ti dispiace farmi continuare?”
“Prego,” lo invito. Voglio proprio vedere dove andiamo a parare.
“Stavamo parlando e stavamo benissimo. Prendevamo in giro LaFee e Bill mi raccontava di quanto sia isterico il suo manager. Poi gli ho detto che era carino-“
“Cosa?” E due.
“Beh lo era!” Si giustifica. “Comunque si è sporto verso di me e mi ha baciato.”
Alzo gli occhi al cielo. Certo poteva arrivarci, dico.
“Ma che ne so!”
“Che ne sai? Anis, ti veniva dietro, era palese.”
“Sì ma io non andavo dietro a lui, era palese anche questo,” mi dice. Io sollevo soltanto un sopracciglio ma poi non parlo. Non spetta a me dire ad un uomo che la sua eterosessualità sta vacillando.
“E che cos’hai fatto?”
“Quello che dovevo fare. L’ho rispedito a casa con un taxi,” sospira lui. E io lo sapevo che di quel sospiro dovevo preoccuparmi, perché è stato quello a portarci alla notte degli hamburger. Bushido, di quella notte, non si è risparmiato un dettaglio. So tutto, so anche troppo e forse Bill non sa quanto so. In ogni caso non lo ripeterò perché, sinceramente, non è che mi interessi molto.
Quello che è importante da dire, è che io c’ero quando Bushido ha davvero capito di essere innamorato di Bill. Si è seduto su quello stesso divano e mi ha guardato con due occhi neri e felici che non glieli vedevo addosso da un sacco di tempo, e mi ha detto che il ragazzino c’era riuscito. Il resto lo sapete.
La notte in cui è morto, io non riesco a ricordarmi dov’ero. E questo particolare, questo non riuscire a focalizzare i dintorni di dove mi trovassi quando Eko mi ha telefonato, mi ha sempre dato fastidio. Nel corso dell’ultimo anno ho superato tutto quanto, la sua morte, il dolore, tutto davvero, ma c’era quel minuscolo particolare che mi rodeva il cervello. E non so perché fosse tanto importante, forse perché mi sembrava che a non ricordarlo, gli mancassi di rispetto. Che a non ricordare il luogo, non avrei ricordato la data.
Quando andavo a trovarlo al cimitero e guardavo la sua foto, me lo immaginavo a chiedermi: Cassie che stavi facendo mentre io morivo? E io non avevo nessuna risposta da dargli. E senza quella risposta, mi dicevo, non avrei potuto contare il tempo che stava passando dal momento in cui si era spento. La sua morte era una specie di esplosione che aveva avuto luogo da qualche parte nel mio passato, chissà dove, chissà quando. Forse avevo paura che sparisse come una data poco importante della mia vita, quelle che ti dimentichi perché non le associ a niente che abbia una qualche rilevanza. Il mio primo appuntamento dal dentista? La prima volta che ho colto un fiore? Non lo so. Quando è morto Bushido? Non lo so. Ma è morto e io non c’ero. Ovunque fossi, non ero con lui.
Ricordo solo la telefonata.
So che Eko si è occupato di avvertire tutti, quella notte. E al sorgere dell’alba nessuno di noi stava più dormendo. Non sono andata all’ospedale.
Mentre sua madre urlava che glielo facessero vedere e Bill aveva smesso anche di muoversi, io ho parcheggiato l’auto di fronte alla Villa Gialla. E ho pianto lì. Mi sembrava che fosse il posto in cui forse potevo trovare ancora qualcosa di lui. Là dentro non ci sono più entrata, nemmeno quando la signora Louise mi ha chiamata perché avevano trovato qualcosa di mio. Ho chiesto a Chakuza di recuperarlo per me.
Da quel momento in poi, che lo volessimo o no, la vita è andata avanti comunque. Noi ci riunivamo agli studi e ci prendevamo cura di Bill che per i primi mesi non ha fatto altro che piangere, provocando le reazioni infastidite di Eko, il quale non è affatto cattivo, ma è molto sensibile su certe cose. E’ abituato a stare fra maschi che si prendono a manate sulle spalle, che sparano cazzate e vivono il dolore in maniera molto chiusa. Lui fa il cretino, e gli altri ridono. Uno così serve sempre, perché se sei felice e ridi è okay. Se sei triste e ti fanno ridere, va ancora meglio. Con Bill però non poteva fare così.
La principessa era fragilissima, viveva in bilico su quella fossa che tutti evitavamo. Mi viene da pensare che ci guardasse spesso dentro nella speranza di veder spuntare il viso di Anis. A volte ce lo vedeva, forse. E vacillava. Dovevi andarci piano con Bill, pesare ogni parola. C’erano giornate in cui sorrideva e mangiava con noi, sembrava star bene quasi. E giocavamo, magari. Poi all’improvviso qualcuno diceva o faceva qualcosa e lui crollava, senza un motivo apparente. E non sapevi nemmeno cosa fosse successo. Si copriva il viso con le mani, si rannicchiava sul divano e non potevi fare niente perché non voleva essere toccato né consolato. Era lì che Eko prendeva la sua roba e se ne andava, non importava che fosse allo studio da cinque minuti o da tre ore. Se Bill piangeva, lui se ne andava, e lo faceva per evitare di fare danni. Non avendo una misura in cui rientrare con le parole o con i gesti, rischiava di fare del male a Bill. Eko è uno buono ed è uno abituato a stare bene con le persone. Con Bill ha fatto una fatica assurda ad entrare in contatto quando Bushido era vivo, e quando è morto della principessa non c’era più traccia. Solo pezzi di Bill da rimettere insieme. E lui non era il tipo. Eko non è quello che ti tira su quando ti frantumi, lui è l’elefante nella cristalleria.
Quindi spariva, prima di sbriciolare del tutto la principessa.
La svolta, nel bene o nel male, l’abbiamo avuta con TRL. La puntata della trasmissione è stata disgustosa, e ve lo dice una che l’ha seguita da casa e ha notato tutte le espressioni falsamente contrite di Patrice e i primi piani strategici sugli occhi di Bill. Era tutto montato nel modo migliore per rifilare al mondo la struggente storia dell’uomo del ghetto che si fa strada nella merda con le unghie e con i denti, e poi incontra la signorina bene che diventa l’amore della sua vita. Zucchero e caramello da copertina patinata e quel pizzico di morboso che fa sempre bene – Quindi tu eri ancora minorenne quando questa storia è cominciata! –, quando invece fra loro era una roba complicatissima. E c’erano volute le palle di entrambi per tenerla in piedi alla faccia di tutti.
Il ferimento di Chakuza è andato in onda praticamente un quarto d’ora dopo, in edizione speciale del telegiornale. Le foto di Bill con le mani sporche di sangue che piange sul corpo di uno degli uomini di Bushido hanno fatto il giro del mondo per mesi. Senza contare Fler che prende in mano la situazione prima ancora di Jost – un fatto più unico che raro – e che agli occhi di milioni di ragazzine si trasforma da “bastardo, traditore, assassino dell’amore della vita di Bill, anche se la polizia lo ha scagionato” a cavaliere in armatura scintillante. L’ascesa di Fler nell’immaginario collettivo adolescenziale femminile delle fan dei Tokio Hotel è un caso da studi sociologici. Per settimane sui forum di queste bambine isteriche non compare nient’altro che la cronaca di come il nemico di Bushido ha caricato Chakuza sull’ambulanza e ha dato direttive mediche che neanche George Clooney in ER.
A questo seguono una serie di teorie, una più strampalata dell’altra in cui queste quindicenni impazzite – che dal pop travestito da rock di Bill sono tracimate come un fiume in piena nel rap dei bassifondi tedeschi di Bushido & co. – tentano di capire le dinamiche che hanno portato due uomini, Bushido e Fler, a mandarsi a fanculo dopo un’amicizia fraterna e come altri due uomini, Fler e Chakuza, si siano trovati a fare da angeli custodi al loro angelo del pop-rock. Come da questo si sia arrivati al Flerkuza non lo so e non lo voglio sapere, ma ci siamo arrivati. Ed Eko che ci insegue ovunque tentando di propinarci gli stampati di centinaia di storie è stato un’esperienza traumatizzante per tutti. Ho anche ben chiara in testa l’immagine di Fler che fugge dalla stanza d’ospedale di Chakuza non appena Eko apre bocca per raccontare l’ultimo capitolo di non so quale dramma umano che lo vedeva coinvolto con Peter. Bei momenti, non c’è che dire.
Ad ogni modo, la trasmissione e l’assalto mancato hanno fatto sì che ci scuotessimo tutti quanti un po’. Era ora che la smettessimo di fingere che Bushido sarebbe entrato da quella porta e recuperassimo le nostre vite da dove le avevamo lasciate andare. Continuavamo, sì, ad andare allo studio ma non così spesso e non tutti quanti insieme, finché alla fine tutto non è tornato come prima: la gente andava e veniva, qualcuno faceva finta di lavorare, ma non eravamo più lì per lui. Ed è anche giusto, da un certo punto di vista. Non puoi oggettivamente smettere di vivere quando muore qualcuno, non puoi e basta perché non sei stato tu a morire. In questo caso non era morto nemmeno lui, ma noi non lo sapevamo. Questo ha fatto bene a noi, ma non ne ha fatto a Bill.
Lentamente, complice il fatto che doveva tornare a lavorare – la Universal ti concede solo una certa quantità di tempo per rimetterti dai tuoi traumi, indipendentemente dal trauma – si è rinchiuso in casa, con l’unica compagnia di Tom e saltuariamente di Fler che per un motivo che poi ho scoperto in seguito, aveva preso il posto dell’onnipresente Chakuza.
E’ stato un brutto periodo, per lui.
In tutto questo, io e Tom siamo finiti insieme. Dunque, la cosa in realtà parte da prima, come sempre del resto. Io Tom l’ho conosciuto quando Bill è entrato a far parte del branco. Diciamo che è stata la conseguenza naturale del conoscere Bill. Questo dopo che lui e Bushido si erano già ampiamente scornati. Ricordo che Anis veniva a casa mia a lamentarsi perché quel ragazzino – no, non il mio Cassie, l’altro – era insostenibile. Insostenibile, così diceva, con un tono molto severo, come si stesse parlando di insubordinazione militare o che so io e non certo di una crisi di gelosia da abbandono. Tom è legatissimo a suo fratello e Bushido ha preso e gliel’ha portato via come ha sempre portato via tutto ciò che voleva. Era normale che Tom lo odiasse, ed era normale che Bushido si sentisse autorizzato a fare tutto quello che aveva fatto e che pretendesse anche che lo lasciassero fare come niente. Per questo lo lasciavo parlare, che tanto non c’era nient’altro da fare.
In questo periodo in cui Bushido usciva con Bill e io mi sorbivo tutte le confidenze di Bushido, improvvisamente tornato tredicenne, Tom non ha fatto niente, se si escludono le occhiate da triglia che mi lanciava ogni volta che ci capitava di incrociarsi. E tanti saluti al dio del sesso. Ogni volta che eravamo nella stessa stanza, faceva lo splendido con discrezione, nel senso che ovunque andassi me lo ritrovavo a portata d’occhiata. Non parlava, mi guardava e basta e, occasionalmente, mi dedicava questi ghigni da gangster, tutti di traverso con i quali, suppongo, avrei dovuto cadergli ai piedi o che so io.
Ad ogni modo, c’è stato questo periodo in cui continuavamo a sorriderci, lui perché è fondamentalmente timido e quindi deve accerchiarti da lontano, non viene lì e la prende di petto, e io perché non avevo motivo di non farlo. Non pensavo davvero che sarebbe finita in questo modo, sinceramente. Poi Bushido è morto, non ci siamo visti per un po’ e lui è finito a tenere suo fratello chiuso in casa, per paura che il mondo là fuori se lo mangiasse pezzo per pezzo. Quando mi è capitato di rivederlo, non gli ho permesso di sorridermi e l’ho baciato. Perché era anche l’ora di finirla.
Questo per spiegare perché adesso sono qui alla Beatlefield. Io sono qui perché aspetto Tom, che è qui perché Fler deve dargli qualcosa e Fler è qui perché c’è arrivato con Chakuza. Se penso che posso chiudere la catena parlando di Bill, mi viene quasi da ridere.
La Beatlefield non è molto grande, sono tipo due stanzette, tre contando quella dove i due proprietari si svaccano a turno quando fanno le ore piccole per stare dietro a qualche beat. Ed è un casino totale. Non perché sia piccola, ma perché è in mano a Chakuza. Quell’uomo ha la capacità di occupare sempre ogni centimetro dello spazio di cui dispone. Suppongo sia un qualche tipo di compensazione per lo spazio che non occupa lui personalmente. Ad ogni modo non c’è spazio per sedersi e non c’è spazio nemmeno per stare in piedi. Tom è entrato e mi ha mollata qui dove sono, cioè nel disimpegno fra una stanza e l’altra dove, in ordine, ci sono un divano che fa le veci dell’attaccapanni, un tavolino con quintali di bottigliette di plastica che sommergono un telefono a disco nero, dell’anteguerra e un non so davvero cosa appeso al muro. Cerco con gli occhi qualcuno da salutare, tanto per fare qualcosa, che poi sono due stanze, mi chiedo dove sia corso così di fretta Tom. Fler non può essere che dietro l’angolo.
Fler non lo trovo, ma trovo Chakuza che è seduto dietro ad un mixer che prende tutto il tavolo a cui è seduto. Sembra impegnato, quindi entro piano. L’altra metà della stanza è divisa da un vetro e dalla sala di registrazione. Là dentro però non c’è nessuno.
Dopo cinque minuti che sono lì, e volendo avrei potuto anche aggredirlo con una chiave inglese e tramortirlo, per dire – la Beatlefield non ha un portone d’entrata. Cioè il portone c’è ma si apre con una carta di credito, c’è riuscito Tom stamattina, perché il campanello non funzionava, e Fler non rispondeva al cellulare, panico!, quindi figurati. Potevo essere io, come poteva essere uno stronzo qualunque e Chakuza era bello che andato – alla fine si rende conto che c’è effettivamente un’ombra scura alle sue spalle.
“Cassie!” Si toglie le cuffie e sorride. Gli si muove la faccia, quando lo fa. E’ rotondo e mobile, quest’uomo qui. “Ciao, come va?”
Mi abbraccia e mi bacia, prendendomi per gli avambracci, quindi sposta le cianfrusaglie che occupano la seconda sedia girevole e mi invita a sedermi. Non si giustifica nemmeno per la confusione che c’è, per lui è un normale stato di cose. Il caos è la sua condizione esistenziale.
“Bene direi, “ commento con un sospiro. Cerco un posto per appoggiare la borsa e poi decido che me la tengo in grembo. “Tu?”
“Alla grande,” sorride. “Vuoi qualcosa da bere? Forse c’è della coca.” Con orrore lo osservo frugare tra un esercito di bottiglie di plastica sul pavimento.
“No grazie,” sparo lì e poi, siccome sono stata brusca sorrido. “Sono a posto così. Tom ha insistito per fare colazione prima di venire qua.”
Lui annuisce e rimette a posto una bottiglia che ha passato probabilmente troppo tempo in quella sala di registrazione. Qualcuno dovrebbe dire a Chakuza che le bibite gassate non vanno fatte invecchiare come vini del ’75. E dire che è un cuoco.
“Come mai siete qui?”
Io alzo gli occhi al cielo. “Fler,” rispondo. Patrick Losensky, per me, è una maledizione. Non lui in quanto lui, per carità. Fler è, tipo, la persona più buona che circoli da queste parti, davvero. E’ uno che se può fare qualcosa per te la fa, anche nelle stronzate. Per dire, è l’unico che se ceniamo tutti quanti insieme, si ricorda che forse quaranta fra piatti e scodelle sarebbe meglio non lasciarli nel lavandino. E lava. Lava i piatti. Per una donna sola circondata da maschi iper-testosteronici che non si azzarderebbero mai a prendere in mano una spugna, Fler è un miracolo divino. Uno così arrivi ad amarlo, capite? Sempre in senso metaforico, s’intende. Anche perché: uno, il berlinese dagli occhi di ghiaccio non è il mio tipo. E due, credo che questo sarebbe l’unico vero motivo per cui Bushido non mi rivolgerebbe mai più la parola.
Ad ogni modo, se, nonostante questo, Patrick Losensky è comunque una maledizione, è colpa di Tom. Tom lo venera in maniera quasi imbarazzante. Se si attacca a parlare di musica, lui non vede né sente nient’altro. Fler. L’Aggro Berlin. L’Aggro Berlin e Fler. Credo che quella che era nata come una semplice adorazione da ragazzino sia diventata una specie di ripicca per suo fratello, o qualcosa di simile. Bill se la faceva con l’Ersguterjunge? Bene, allora lui ascoltava solo l’Aggro, che ci sarebbe stato da fargli notare, ai tempi, che a Bill di chi ascoltasse non gliene importava un tubo. Tantopiù che la connessione tra Bill e il rap finiva làddove iniziava Anis, quindi insomma…
Ad ogni modo, quando poi Patrick è migrato dalle nostre parti, ed è diventato amico di Bill, Tom era già così preso che non poteva rinnegare niente. Anzi, si è fatto prendere ancora di più. Quindi adesso siamo qui perché Fler gli ha promesso – dio solo sa perché – di recuperargli non so quale mixtape che ancora non fa bella mostra di sé nell’altarino a lui dedicato a casa di Tom. E io che gli sto dietro, anche.
“Oh, si certo,” Chakuza annuisce. “Fler me lo ha detto. E’ venuto qui a riversarlo su cd. Era una roba dell’anteguerra, mi aspettavo che venisse a suonarmelo in sala di registrazione col mandolino, non lo so.”
Rido. Quasi me lo immagino Patrick col mandolino.
“Credo che quella cassetta l’abbiano sentita soltanto lui e Bushido, il giorno in cui hanno registrato le canzoni. Poi qualcuno, fortunatamente, ha impedito loro di pubblicarle.”
“Sei un uomo tremendo.”
Lui solleva entrambe le sopracciglia un paio di volte, velocemente. “Me lo dicono in tante,” poi ridacchia. Gli si alzano gli zigomi e gli occhi diventano piccoli, e io mi chiedo da quando ho preso l’abitudine a guardare tutti questi dettagli. Poi capisco che è sempre la solita storia. Quando perdi qualcosa, tutto ciò che resta te lo tieni stretto. Questa gente è il mio mondo, quindi voglio saperlo a memoria. Qualcosa del genere. Magari non conoscerò così bene Chakuza da farmi dire da lui cose che in realtà ho già ben capito da sola, però lo conosco, so come si muove. So che era il braccio destro di Anis, e non c’è altro da sapere, in realtà, su di lui. Poi, nell’attimo esatto in cui penso questo, Stickle urla dall’altra stanza – che presumo sia quella dove si trova anche Tom. Boh.
“Chaku, al telefono!”
“Chi è?”
Stickle ride. “La principessa.”
Chaku a quel punto ci mette meno di niente a tradirsi. Cioè, io oggettivamente, in quel preciso momento della mia vita, non lo so che Chakuza e Bill stanno insieme. Non lo so perché non l’hanno detto e perché, da quando Peter è stato ferito, io li vedo molto meno. Per dire, non passavo dalla Beatlefield da mesi e il tempo che Chakzua passa all’Ersguterjunge gli serve a tentare di convincere gli altri a non cercare un nuovo tunisino che conquisti la Germania, per cui, insomma, non ho avuto molte occasioni di sentirlo o vederlo con Bill.
Ce l’ho ora il tempo, però. E se unisco le immagini mentali che ho di lui prima di TRL e del modo in cui parlava e toccava Bill quando stava male, allora qualcosa mi suona nel cervello.
“Ehi,” quando risponde al telefono, si distende tutto e mette su un sorriso da triglia che è tale e quale quello di Tom poi. Alzo gli occhi al cielo e penso che dev’essere una questione di cromosomi. Lui sta parlando al telefono fisso, ha preso la chiamata da qui, quindi non si può alzare e certo non può chiedere a me di levarmi di torno. Quindi la telefonata la sento tutta. Bill ha la voce squillante, il suo pigolare lamentoso e annoiato da principessa senza niente da fare un po’ arriva anche a me. Bill ce l’ha questa cosa, di fare davvero la principessa a volte. E’ che è circondato da uomini che lo hanno viziato tantissimo, quindi lui se ne approfitta, come farebbe ogni donna, per altro.
E questo uomo qui, in particolare, lo ha sempre viziato in maniera indecente, anche quando non era affatto in odore di tresca.
Chakuza resta sul generico, comunque. Risponde per monosillabi e per ‘stai tranquillo’ e ‘decidi tu’. Ma gli brillano gli occhi tipo. Quando riattacca si schiarisce la voce e cerca di ritrovare un contegno, ma è discretamente difficile se stai camminando a dieci metri dal pavimento.
Io non posso seriamente dirgli quello che penso, perché non sono affari miei e poi potrei sbagliarmi – certo, come no! – però sarebbe bello prenderlo un po’ in giro. Penso che se lo sapesse Anis, lo farebbe a pezzi. Geloso com’era delle sue cose, non permetteva a nessuno di toccarle neanche quando le aveva lasciate andare. Prendete me, per dire. Il primo ragazzo dopo di lui, lo ha minacciato pesantemente. Ho dovuto picchiarlo perché la piantasse di fare il gradasso. Quindi se mi immagino un universo parallelo in cui Bushido ha lasciato Bill e lui si è messo con Chakuza, mi immagino anche Bushido che lo ammazza di botte senza motivo.
E in quel momento non lo so che lo saprà, e che lo pesterà, anche. Non lo so che il mio nome, alla fine, mi si adatta alla perfezione. Il massimo che posso immaginarmi è che Anis sia seduto su una nuvola a mangiare kebab insieme a Dio e che osservi tutto dall’alto. Me lo vedo che vorrebbe scendere e che il sant’uomo lo recupera per il colletto della tunica bianca prima che si butti di sotto senza paracadute.
Voglio dire, è sempre più probabile questo che non Anis che un giorno torna da Miami con venti centimetri di riccioli scuri e dice ‘Scherzo! Non sono morto!’.
Che poi è quello che ha fatto, in realtà.
L’uscita di Bravo con le sue foto sfocate in copertina, le mie urla e Tom che mi dice che è vero – ancora più stranito di me, perché lo ha sentito dalle labbra di suo fratello – però, ve lo risparmio. E’ stata una settimana tremenda, comunque. Provate a rendervi conto che la persona più importante della vostra vita non è morta. Dovete prima capire che quello che vi viene detto è reale. Poi dovete concepire che la persona in questione è fisicamente presente nel mondo. Non è facile, perché l’ultimo anno lo avete passato a farvi una ragione dell’esatto contrario.
Quindi niente, quel giorno, e mancano pochissime – davvero pochissime – ore al ritorno di Anis, io a Chakuza non dico niente. Mi limito a lanciargli un’occhiata allusiva che lui coglie alla prima, perché diventa viola ma poi basta. Tom mi raggiunge, parlando ancora con Fler che lo ascolta solo perché, probabilmente, le sue orecchie si sono autonomamente scollegate dal cervello mezz’ora fa e quindi ce ne andiamo.
Rivedere Anis è stato complicato. Voglio dire, dopo che l’ho schiaffeggiato per la cazzata che aveva fatto, il cuore mi è tipo esploso in petto. Poterlo toccare, accarezzare, poter trovare irritanti le sue battute, era tutto troppo bello. Quando passi mesi a sperare che entri da una porta e non lo fa, quando poi torna e non doveva – non poteva, cazzo! – beh è bellissimo e basta. Solo che quell’uomo è fuori posto, ora. Tutto quello che ho detto fino a questo momento era vero dentro i parametri della sua vita precedente, quando pendevano tutti dalle sue labbra perché le sue labbra c’erano e ti ci potevi appendere.
Nel momento esatto in cui si è finto morto e noi tutti abbiamo creduto che fosse disteso con quella bella faccia da schiaffi sotto due metri di terra, dovevamo trovarci un’altra testa da seguire o non seguirne affatto. Ed è quello che è successo.
Io lo so che Anis questo ragionamento non lo ha fatto. Cioè magari si, in qualche remoto angolo del suo cervello questa discussione con sé stesso è avvenuta ma lui non l’ha veramente ascoltata. La decisione di morire l’ha presa su due piedi e le motivazioni che ci stanno dietro posso anche capirle – forse, non lo so. Io mi sono sforzata in questi giorni di non sentirmi abbandonata e presa per il culo – ma avrebbe dovuto rendersi conto proprio perché perdeva tutto, che tornare non doveva essere un’opzione.
Quando mi si presenta a casa, stasera, è esattamente questo che vorrei dirgli ma non posso perché ad un uomo non puoi dirla una cosa così e allora niente. Lascio che si stenda sul divano e finga di stare bene anche quando è chiaro che non sta bene per niente. Tom mi ha detto cos’è successo.
“Immagino che tu lo sappia,” mi fa lui, mentre prende la bottiglia di birra che gli offro per il collo. Annuisco, ma non dico niente. “Sapevi tutto anche prima?”
“No. Anis-“
Lui sorride. “Non ho bisogno di questa parte del discorso. Ci ha già pensato Patrick,” getta la testa all’indietro per bere un sorso. Lo fa con un certo trasporto, è una scrollata di spalle come a dirmi che non gli importa. “Conosco Bill, conosco Chakuza…”
E adesso non sa cosa fare.
“Ci vorrà un po’ di tempo,” mormoro. E spero che capisca che mi riferisco a lui e non a Bill.
Anis non risponde, continua a bere e a guardare un punto indefinito del mio soffitto dipinto di viola. “Con cosa l’hai dipinta quella parete, con lo sparaneve?” Mi dice.
“L’ho fatto da sola,” mi giustifico, e non so nemmeno perché. E’ casa mia, lo dipingo come voglio il soffitto. E non è stato affatto facile stare lì in piedi sulla scala col secchio in mano. Sono molto orgogliosa di me stessa per esserci riuscita, nonostante la doccia di vernice.
“Si vede, “ commenta lui con aria disgustata. “Guarda le macchie che ci sono. Dovevi tirarlo a gesso prima. Sei sempre la solita casinista. Questo fine settimana vengo qui e lo sistemiamo.”
“Magari io questo fine settimana ho anche degli altri impegni.”
Lui mi guarda e capisco che non devo avere niente da fare questo fine settimana o non so dove lo ritrovo lunedì. Bushido è uno che si sa regolare finché ha qualcosa per cui vale la pena farlo, ma quando non ha più niente, è capace di distruggersi. “Va bene, puoi venire qui sabato mattina.”
“Il rullo ce l’hai?”
Annuisco. “E’ giù in cantina. Credo sia rimasta anche un po’ di vernice.”
Lui beve e annuisce, guardando davanti a sé.
Poi si volta e sul suo viso non c’è assolutamente niente, è l’espressione che più temo su di lui. Il momento in cui gli si spengono gli occhi è quando è difficile riprenderlo. “Ti dà fastidio se dormo qui?”
Scuoto la testa. “Ho ancora un po’ di cose tue,” mi stringo nelle spalle. “Puoi cambiarti con quelle, poi.”
Lui fa un mezzo sorriso sghembo. “Magari cominciamo domani,” mormora. “Con il soffitto, dico.”
“Magari sì.”
So che ieri ha dormito da Fler, perché non era a casa sua e non era nemmeno a casa di sua madre. “Ti prendo una coperta,” mi alzo.
So che da qui non riuscirò a mandarlo via.

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