There's room for one more sun

di tabata
Il muro contro cui sbatto la schiena è bianco candido, non che lo veda al buio come siamo, ma lo so che è riverniciato di fresco; ci abbiamo pensato io e lui un mese fa e voglio ben sperare che non sia già pieno di impronte. In realtà lo hanno verniciato gli imbianchini che abbiamo dovuto chiamare dopo che la prima mano era venuta tutta a chiazze; che io non fossi portato per usare un rullo era abbastanza chiaro, pensavo che lo fosse almeno lui, però.
Mi si schiaccia addosso con tutto il corpo e io mugolo, un po’ perché so che gli piace, un po’ perché sono giorni che lo sogno ogni notte e ogni notte mi fa qualcosa di diverso. Il muro non è che l’inizio, e non è nemmeno la fantasia più originale.
E’ stata una serata molto difficile, ci hanno costretti ad aspettare e io odio farlo, soprattutto se mi sono già messo in testa di fare qualcosa. Quel qualcosa, nello specifico, siamo io e lui che finalmente riusciamo a fare l’amore dopo tre settimane che provo a farlo volare alternativamente a Parigi, Lisbona, Roma e lui che mi risponde che non c’è proprio verso di muoversi.
Io scendo all’aeroporto alle cinque del pomeriggio con l’idea di andare diretto a casa sua e Kay One mi chiama, insistendo per avermi a cena. Non voglio andare e non vuole nemmeno lui, eppure ci ritroviamo entrambi lì, seduti così distanti che pure strusciargli un piede tra le gambe è impossibile. Segue uno strazio di quattro ore, dove non facciamo altro che guardarci di sfuggita, e alzarci a turno da tavola per andare nei posti più strani e seguirci a vicenda. Siamo riusciti a toccarci appena e questo non mi basta . Sono più di venti giorni che non lo vedo, ho bisogno di sentirmelo addosso, e intorno e dentro. E ho bisogno anche delle coccole che vengono dopo, ma a questo penserò quando non avrò più un vestito addosso e saremo entrambi sul letto. Dio, un letto…
Reclino la testa all’indietro contro il muro, le sue mani mi scivolano addosso sotto la maglietta e stringono i fianchi. Sembra ieri che non sapeva come toccarmi.
Mi morde il collo e ci passa sopra la lingua, mi strappa un gemito così forte che quasi mi vergogno. Adoro quando lo fa – quando mi morde con il rischio che mi lasci il segno – e adoro che sappia quanto lo adoro. E’ l’idea che conosca tutti i miei bottoni ad eccitarmi, oltre al fatto che li preme nel giusto ordine ormai. Mi spingo in avanti, contro la sua erezione che mi struscia contro una gamba praticamente da quando siamo scesi di macchina e lui mi ha schiacciato contro il corrimano di tutte le rampe di scale fino al suo appartamento.
Non c’è un ascensore, in questo palazzo o lo avremmo fatto lì, avrei preteso che lo facessimo dentro le prime quattro mura chiuse disponibili, non ce la faccio più; e invece in questo palazzo le prime quattro mura utili sono quelle dell’appartamento di Chakuza che, neanche a farlo apposta, è grande poco più di un ascensore.
“Peter…” gli ansimo in un orecchio e lo sento che rabbrividisce, non so se sia la mia mano nei suoi pantaloni o la mia voce ma finisce che ringhia e mi fa fare tutto il corridoio appoggiato ai mobili che si trova sotto mano. Sono così abituato al suo trascinarmi in giro che calcolo la strada che stiamo facendo senza problemi: credenza, poltrona, divano. Inciampo nella moquette del corridoio ma mi stringe alla vita e non cado. Non cado mai, se mi regge lui.
Ci appoggiamo di nuovo al muro e lo sento che traffica con la mia cintura. Lo sento che impreca. “Cazzo, sempre questi affari…” mugola ma è indeciso, perciò mi infila la lingua in bocca subito dopo. E’ un bacio storto ma è eccitante comunque perché è la sua bocca e perché gli ho dato una mano a sganciare la fibbia quindi adesso ho i pantaloni quasi alle ginocchia, sono libero, e lo sento bene. Emetto un “oh!” nemmeno tanto calcolato quando mi attira verso di sé e posso aggrapparmi alle sue spalle per uscire dai pantaloni. Quasi non mi dà il tempo di finire che ha già ripreso a trascinarmi. Quando cado di schiena sul letto, ho ancora una gamba dei jeans che mi pende da un piede; la tira via lui con violenza un attimo prima di stendersi sopra di me.
M’infila un ginocchio tra le cosce ma non ha veramente bisogno di dirmelo: allargo le gambe e gli faccio spazio. Quando i nostri bacini s’incontrano vedo bianco e reclino di nuovo la testa all’indietro, gli do modo di adagiarsi sulla mia pancia e poi di spingersi in basso. Mugoliamo insieme stavolta e il basso ringhio che emette mi smuove qualcosa dentro. Lo voglio ora.
Gli tiro via la maglietta; il cappellino che finisce fuori dal letto è una doverosa conseguenza delle mie azioni. Il corpo di Peter non è longilineo né agile nell’accezione a cui sono abituato io. Piuttosto, la sua figura è solida e compatta, comunica forza.
Ed è forte quando mi stringe, anche se lo fa sempre con delicatezza. Ogni volta che mi tocca, anche in momenti come questo dove nel suo cervello – come nel mio – non c’è una sola idea coerente, i suoi movimenti non sono mai bruschi né violenti. Chakuza non è mai ruvido con me.
In questa assenza di ruvidezza ci ho fatto il nido alla fine. Mi sono adattato alla forma delle sue braccia mentre lui si abituava agli spigoli del mio corpo, e lo abbiamo fatto insieme.
Lascio scivolare le dita sui suoi addominali fino a trovare di nuovo la strada per i suoi pantaloni che sono enormi – al solito – e slacciati, perché da qualche parte tra l’atrio e la porta avevo anche iniziato a spogliarlo. Ringhia di nuovo e si spinge contro le mie mani, sorrido perché mi piace che si perda, e sorrido perché mi perdo io quando mi bacia di nuovo e sulla sua lingua ci sento tutto il bisogno che ha di me.
Ci metto poco a togliere tutta la stoffa che resta, e la sua pelle contro la mia è calda e piacevole. Ci muoviamo piano, finendo per incastrarci alla perfezione, come se fosse la cosa più normale del mondo – e lo è, per me. Ho il suo viso nel collo, le sue labbra così vicine all’orecchio che ogni volta che respira mi manda i brividi lungo la spina dorsale. Strofino il naso contro la sua guancia, cerco la sua bocca e lui mi concede un altro bacio lungo e umido che è il suo modo di chiedermi se sono pronto. Lo chiede sempre, in qualche modo. Non prende mai senza il mio permesso. E’ diverso, tutto diverso…
Non ho voglia di parlare, così lo guardo negli occhi – anche i suoi sono pesanti e quasi chiusi, ansima ed è così preso da noi che lo amo. Annuisco, deglutendo.
Cerca le nostre cose nel cassetto e mi piace dire che sono nostre perché sono lì da poco e ho ancora le farfalle nello stomaco se ci penso. E’ una parte di me che entra e colonizza questa casa. Sono oggetti che servono a lui quando è con me. E il solo pensiero che c’è un noi negli oggetti in quel cassetto mi fa stare bene quando sono lontano.
Gli tolgo il preservativo dalle mani, voglio farlo io. Scendo e stringo piano, mentre mi strofina il naso sul collo sibilando un “Bill” che vuol dire un milione di cose diverse ma soprattutto vuol dire che è meglio se mi sbrigo. Mi godo l’espressione soddisfatta che ha sul viso mentre lo accarezzo, quindi mi sistemo sotto di lui e lo vedo che mi osserva – come fa sempre – per cogliere ogni minima reazione. Le sue dita non sono più scomode da tempo, i suoi movimenti si sono fatti fluidi, così adesso mi aggrappo a lui e lo chiamo. “Ora, Peter…” lo prego. Non si fida mai, quando lo dico, però stavolta obbedisce. Si sistema su di me e si spinge dentro, lentamente, in un modo che mi toglie il fiato perché è una tortura, ma è bellissimo. Mi stringo a lui, al suo corpo, alle sue spalle massicce che mi coprono tutto. Resta fermo solo un istante, giusto il tempo di essere certo che vada bene anche a me, quindi inizia a muoversi; piano all’inizio, poi i suoi movimenti si fanno più serrati. Cerco di venirgli incontro e ogni volta che rientra, ogni volta che sfiora quel punto esatto che ha imparato a riconoscere ansimo più forte. “Toccami,” lo mormoro soltanto, appena contro l’orecchio, e lui scende ad accarezzarmi.
Gli mordo una spalla, piano, le sue spinte ci muovono entrambi, così punto i piedi sul letto e un po’ m’inarco sotto le sue mani che mi stringono alla vita. Quando mi chiama di nuovo so che c’è vicino, riconosco il tremolio nell’unica vocale che compone il mio nome. Serro i muscoli intorno a lui, serro le ginocchia intorno alla sua vita magra e non penso a niente che non siano i nostri corpi sul letto di casa sua, qui e adesso. Lo chiamo e mugolo, e non mi rendo conto che sto cercando sul suo collo un tatuaggio che non c’è mai stato. Vengo tra le sue dita un attimo prima che lo faccia lui con un ringhio dei suoi, soffocato contro la mia spalla.
Rimaniamo così, uno tra le braccia dell’altro, finché i nostri respiri non rallentano e io posso tornare a pensare con chiarezza. Esce piano, mi guarda ancora e gli sorrido stanco.
Sono esausto, davvero. Finora mi ha tenuto in piedi la voglia di lui ma sono settimane che dormo sei ore per notte e prendo aerei che mi scombinano i bioritmi, adesso che l’adrenalina e la voglia e il sesso sono passati, ho solo bisogno di dormire un po’.
Si stende accanto a me e mi sistema i capelli dietro un orecchio. “Dimmi che non te ne torni a casa a dormire, stanotte... ho sistemato qui.” Mormora e so che si riferisce alla casa che è sempre un macello e io mi lamento di continuo. L’ultima volta gli ho detto che non sarei più rimasto se il pavimento non era libero dalle cianfrusaglie.
Restare significa un sacco di complicazioni domattina ma io non ho la forza di alzarmi e poi mi manca dormire con le sue braccia intorno. In fondo sono in vacanza, anche se per poco, e posso godermi un po’ il mio ragazzo. Annuisco e sorrido quando lo vedo sorridere; mi sento un po’ in colpa con lui perché per farlo felice non devo fare quasi niente. Mi sembra di non dargli abbastanza e questa cosa a volte mi dispiace.
Si sposta un po’ sul fianco, in modo da creare per me uno spazio in cui rannicchiarmi. Rotolo verso di lui e lascio che mi acchiappi al volo, sistemandomi esattamente dove devo stare. Ridiamo mentre mi abbraccia. “Inventiamo una scusa per Tomi?”
Peter gonfia un po’ le guance e sbuffa pensieroso. Mi piace quando ha quest’espressione assorta ma buffa allo stesso tempo. Strofino il naso contro il suo e lui mi accarezza la testa, posandomi un bacio tenero sulle labbra. “Abbiamo guardato un film e sei crollato addormentato sul divano,” dice alla fine.
Sorrido furbo e gli sfioro ancora le labbra. “Sul divano, eh?”
“Sì, divano…” Cerca un altro bacio che gli concedo.
“Hmm-mm...capisco. E tu sei un uomo d'onore quindi Tom può fidarsi,” commento, guardando la sua espressione un po’ compiaciuta.
“Esattamente,” annuisce convinto. “Sa che non farei mai niente di disdicevole.”
“E quello che abbiamo appena fatto non è disdicevole signor Pangerl?”
Chakuza fa per stringermi ma sento una fitta alla schiena, all’altezza delle spalle e faccio una smorfia che lo blocca lì dov’è. “Che c’è?”
Mi volto un po’, cercando di capire e poi ricordo il muro all’entrata. “Guarda qua Chaku, mi verrà il livido,” fingo di lamentarmi, torcendomi come un’anguilla tra le sue braccia. “Ma devi sempre essere così violento?” Va leggermente nel panico e ammetto che un po’ mi diverto.
“Sempre?” Chiede, sgranando gli occhi.
“Beh a volte,” mugugno, storcendo un po’ il naso..
Chaku allunga un braccio a massaggiarmi la schiena. “Mi dispiace, fa ancora male?”
Mi sciolgo in modo indecente. “No,” ammetto. Quindi mi faccio baciare ancora.
Un attimo dopo, quel poco di energia che mi resta svanisce e mi addormento.

*


Il messaggio di Tom mi sveglia che sono le undici e mezzo del mattino. Questo significa essenzialmente due cose: la prima è che ho dormito ben dodici ore, il che è un record visti gli ultimi mesi; la seconda è che mio fratello sarà molto arrabbiato. Avrei dovuto avvertirlo prima. Il messaggio, infatti, non ha faccine ed è molto secco. Dove cazzo sei?
Tom è sempre stato ragionevolmente paranoico nei miei confronti, questo perché sono sempre stato io quello un po’ meno sveglio quando si trattava del mondo là fuori. Da quando ho rischiato di prendermi una coltellata nello stomaco, la sua follia protettiva non è andata migliorando. Non ho voglia di chiamarlo, però, se lo chiamo mi farà una paternale alla quale finirei per rispondere qualcosa che non devo. Così gli scrivo anche io. Da Chaku. Ieri sera guardavamo un film e mi sono addormentato sul suo divano. Scusa.
Tom ha sicuramente il cellulare in mano, così risponde due secondi dopo. E “Chakuza” non ce l’ha un telefono?
Le virgolette sono chiaro segno che crede che casa di Peter sia una scusa; il che è buffo perché la scusa in quella frase sono esattamente il film e il divano. Mi dispiace davvero, Tomi. La prossima volta ti avviso, promesso. Ci sentiamo dopo.
Non risponde e appoggio il telefono sul comodino, sbadigliando. “Come l’ha presa?” Chiede Chakuza, sulla porta della stanza. Sta sbattendo le uova in una terrina e io mi chiedo perché lo trovo tanto sexy con una frusta da cucina in mano.
Sbatto gli occhi e mi stiracchio, in ginocchio sul letto. “Crede che tu sia una scusa,” rispondo.
“E dove saresti, secondo lui?”
“Non lo so, a casa del primo che ho trovato per strada, suppongo.” Mi stringo nelle spalle e gli disfo tutto il letto per avvolgermi nel lenzuolo. “Mi faccio una doccia,” annuncio poi, passandogli di fianco e lasciandogli un bacio sulle labbra.
Lo sento vagheggiare sul fatto che la colazione è quasi pronta ma dubito di arrivare in tempo dal momento che non posso farmi una doccia più breve della mezz’ora. Dovrebbe saperlo, comunque, quindi non mi preoccupo che il mio cibo si freddi.
Io e Chakuza stiamo insieme da nove mesi tondi, festeggiati la settimana scorsa mentre eravamo uno a Berlino e l’altro a Mosca. L’ho tenuto un’ora al telefono a parlare di stupidaggini solo perché per me era un giorno importante e non mi andava giù che non potessimo stare insieme.
In realtà di stare insieme non se ne parla quasi mai perché nessuno sa niente e trovare un momento e un luogo per noi è diventato incredibilmente difficile, a meno che non vogliamo passare tutto il nostro tempo chiusi nel mio appartamento o nel suo; che poi è quello che facciamo, perché non ci sono molte soluzioni.
Il bagno di Peter è un ambiente strettissimo nel quale faccio sempre una gran fatica a muovermi. In più non ho con me le mie cose che sono rimaste nella valigia in macchina, quindi mi toccherà lavarmi col suo bagnoschiuma. Lo shampoo lo ha comprato apposta per me.
Un po’ mi infastidisce questa cosa che non posso lasciare niente da lui. E m’infastidisce perché significa che in tutto questo tempo ancora non ho trovato la giustificazione da dare a me stesso e al resto del mondo per quello che stiamo vivendo.
La doccia è miracolosamente pulita e l’acqua è calda, segno che ha riparato il boiler. Questa casa cade a pezzi e se non ci sono io a fargli notare che quello che non funziona va rimesso a posto, Peter lascerebbe andare tutto com’è. E’ un disastro.
Mi appoggio al box e sospiro. Tutto quello che è successo nell’ultimo anno non entrerebbe in una storia sola. A volte mi sembra di aver vissuto più di una vita perché non è possibile che in così poco tempo io abbia sofferto una morte e un tentato omicidio; che io abbia ucciso, anche, e che ora sia nudo nel bagno di Chakuza. Che facciamo l’amore, io e lui, quando pensavo che una cosa del genere non l’avrei più fatta con nessun altro.
La storia con Chakuza è stata un delirio. E’ un delirio, in effetti, se si pensa che dopo mesi siamo ancora qui a fingere con gli altri che fra di noi ci sia solo molto affetto e che Peter sia rimasto legato a me dopo tutto quello che è successo. O che io sia rimasto legato a lui, meglio; perché qui tutti pensano che sono io quello che non riesce a staccarsi dal brutto mondo cattivo in cui sono finito. In parte è così ma fra tutti quelli che mi hanno odiato c’era anche chi, come Chakuza – o Fler, o Kay - , è diventato mio amico e un po’ gli sarebbe dispiaciuto perdermi solo perché io avevo perso il motivo che me li aveva fatti conoscere in primo luogo.
Io e Chakuza, in realtà, ci eravamo rassegnati. Dopo quel primo bacio a casa sua, e io che scappo in preda ai sensi di colpa e mi costringo a non vederlo più per paura di ricascarci, pensavamo entrambi che fosse finita. Ho passato settimane a casa di Tomi con la convinzione di aver rovinato per sempre un'amicizia bellissima. E sono rimasto con questa convinzione fino ad un mese dopo la morte di Saad.
Quando Chakuza e Fler vennero a prendermi, quella notte, io Peter non riuscivo neanche a guardarlo in faccia. Mi mancava, volevo dirglielo, volevo perfino gettargli le braccia al collo ma non potevo perché non avevo idea di cosa sarebbe successo. L'idea di baciarlo di nuovo mi eccitava eppure sapevo che non era giusto perché Anis era ancora prepotentemente lì. Prepotente come al solito. Prepotente come non ha mai smesso di essere. Anche adesso che Chakuza è il mio ragazzo, che lo amo, che inizio ad immaginare un futuro che ci comprenda davvero entrambi. Anche adesso Anis è qui e ogni tanto immagino il suo sguardo su di me e non ho mai il coraggio di osservarlo abbastanza a lungo per scoprire se è benevolo o deluso.
Ricordo che quella notte abbiamo corso un sacco. Fler e Chakuza avevano trovato Saad non so come - dopo mi hanno detto che hanno frugato a Templehof e, siccome non ho altri dettagli, io me li immagino muoversi nei bassifondi come nei vecchi film noir. Fler ci faceva strada urlando. Correva più veloce di noi due e non si girava mai indietro. Ci urlava - correte, muovetevi! - ma non lo perdeva mai di vista.
Di quella notte ricordo solo cose vaghe perché è successo tutto troppo in fretta. So che un attimo prima lo stavamo inseguendo e un attimo dopo gli ho sparato. Cosa c'è stato nel mezzo non saprei dire, ma Chakuza era lì e so che non ci siamo mai veramente guardati.
E' stato dopo quella notte che sono crollato.
Quando Anis è morto ho provato un dolore tanto forte che mi è stato impossibile ignorarlo. Non ero vuoto, non potevo accasciarmi su me stesso e smettere di esistere come avrei voluto perché stavo male, e quel dolore in un modo o nell'altro mi teneva in piedi. Poi hanno tentato di uccidermi e hanno ferito Peter, allora al dolore si è aggiunta la rabbia. E poi la vendetta verso Saad. Se per mesi ti tiene in piedi soltanto la voglia di restituire tutto il male che ti è stato fatto nella stessa quantità, quando poi ci riesci, è lì che ti svuoti. E io ho fatto esattamente questo, mi sono afflosciato su me stesso come un sacco vuoto, senza più niente da fare. Niente da provare.
Mi sono chiuso a riccio, e da solo, perché da una parte Tomi non avrebbe affatto capito, e dall'altra vedere Chakuza non era neanche un'ipotesi. In quella situazione, Fler è stato quasi un miracolo. A ripensarci adesso non so cosa sarebbe successo se non ci fosse stato lui che ogni tanto mi trascinava a prendere una cioccolata e mi faceva parlare. E di certo è stato sempre lui a rimettere in moto le cose tra me e Chakuza, ne sono quasi certo perché è partito tutto una settimana dopo che eravamo fuori al bar e che non mi era riuscito di tenermi dentro niente.

*


E' febbraio, e io e Fler siamo seduti ad uno dei tavolini esterni del Café Zapata, che ormai è diventato il nostro bar. Lui non propone mai di andare da un'altra parte e io mi guardo bene dal farlo. Questo posto aveva un significato preciso quando l'ho scelto la prima volta, ma ne ha uno ben più preciso adesso. E' una linea di confine tra il mio mondo e il suo che - da quando Saad è morto, da quando io e Chakuza ci siamo baciati e poi allontanati - sono tornati ad essere due entità ben distinte. Il punto è che non faccio più parte del ghetto di Anis, ma sono così cambiato che non posso più neanche tornare nel mio. Ci sono persone che mi mancano, c'è tutto un intricato annodarsi di sensazioni che non spariranno semplicemente voltando le spalle ad una vita che ho vissuto per così tanto tempo. Forse non ho mai fatto parte della crew, ma la crew ha fatto parte di me e senza di loro mi sembra di non essere più niente. Sono fuori posto in ogni luogo.
"Finirò per dover impegnare la macchina," commenta Fler, dopo aver pagato per il suo gelato e per la mia cioccolata.
Sorrido, lo dice sempre.. "Sei tu che ti ostini a voler offrire," ribatto, tirando su un po' di panna con il cucchiaino. "Potremmo fare una volta per uno."
"Non se ne parla," brontola lui, rimettendo il portafoglio nella tasca posteriore dei pantaloni. Per Fler è una questione di orgoglio maschile, credo. Non mi fa mai pagare. Al che dovrei offendermi, ma non lo faccio perché lo conosco e so che le sue rotelline da gangster - seppure più oliate della media - perdono un giro quando la donna del capo si offre di pagare.
"Allora, che mi racconti?" Butta lì così e si guarda intorno, socchiudendo un po' gli occhi azzurrissimi. Sembra che non gliene importi niente della mia presenza dall'altra parte del tavolo, in realtà sta prendendo atto dei dintorni. E' quella che io chiamo la sua deformazione professionale. Si siede, finge di guardarsi intorno, e intanto controlla che in giro non ci sia gente strana. La settimana scorsa ha preteso pure che ci alzassimo e cambiassimo tavolo perché c'era qualcosa che non gli tornava.
Rido. "Vuoi calmarti? Nessuno tenterà di uccidermi."
"Eh?"
Mi allungo sul tavolo a togliergli gli occhiali da sole che lo fanno sembrare tanto cattivo quando invece è la persona meno violenta e più dolce che io conosca. "Le mie guardie del corpo sono dall'altra parte della strada e sono sufficienti," gli dico, con un sorriso. "Non sono più un disonore per la vostra categoria. Ora la mia più grande minaccia è solo un gruppo di fan con un pennarello in mano."
"Non si sa mai," mugugna, arrossendo. Cincischia un po' col suo gelato e quindi solleva di nuovo la testa. "Non hai risposto alla domanda."
Smetto di sorridere. Avrei preferito non parlare, in realtà. "Niente di particolare," rispondo, stringendomi nelle spalle. "Siamo un po' indietro con le canzoni del nuovo album e David è un po' isterico ma Tomi mi sta aiutando con un paio di idee e dovremmo avere tutto pronto in tempo per l'arrangiamento."
Lui annuisce. "Nessuna collaborazione?"
"Non ne ho volute."
Grazie al cielo Fler mi capisce al volo e non chiede altro. Non ho voglia di dirlo ad alta voce. La Universal aveva proposto almeno cinque artisti diversi ma ho detto no ogni volta. Adesso come adesso ho il potere sufficiente per permettermi di battere i piedi in questo modo, perfino David non ha detto una parola. I ragazzi sono stati fantastici e hanno capito.
Prima che Anis morisse, si parlava di una collaborazione tra lui e i Tokio Hotel. La Universal era entusiasta all'idea di sfruttare l'onda del pettegolezzo sulla nostra relazione per aumentare le vendite. L'idea c'era già, dovevamo solo definire i dettagli.
Dopo quello che è successo, non esiste che io collabori con qualcun altro per questo disco. Per i prossimi, forse, ma non per questo. Doveva esserci lui e, dal momento che non c'è, faremo a meno di chiunque altro.
Questo sarebbe il primo vero album che facciamo uscire da un po' di tempo a questa parte; il best of di quasi sei mesi fa non conta. Lo abbiamo messo insieme in meno di una settimana, aggiungendoci due canzoni che avevo buttato giù nei tempi morti dell'ultimo tour e che avevano ancora bisogno di un lavoro serio. David ci ha strimpellato su due note e ha cambiato qualche strofa, tanto per dare alla casa discografica qualcosa da vendere. "E tu?" Chiedo, nel tentativo di cambiare discorso.
Fler ha finito il gelato molto in fretta. "Sono ai lavori forzati," e ride. "Sido ha ancora le palle girate per questa storia che ho smesso di sputare veleno. Se non gli metto su un disco nuovo che possa insabbiare tutta la faccenda quello mi smonta pezzo per pezzo e mi rivende al mercato nero. Frequentare voialtri non porta altro che casini."
"Ne vale la pena," gli faccio la linguaccia.
"Devo ancora deciderlo, questo." Mi frega una cucchiaiata di panna e lo colpisco piano sulle dita con il mio cucchiaino. "Ma quanto ci metti a mangiare? Datti una mossa."
"Abbiamo fretta?"
"E' che a guardarti mentre mangi mi viene sonno," protesta.
Mi mordo un labbro e abbasso lo sguardo perché tutto questo mi ha fatto tornare in mente un altro momento e un'altra persona. Quando cenavo a casa di Chakuza davanti alla tv ci mettevo un'ora a finire la mia metà di pizza e lui mi prendeva in giro allo stesso. modo. "Ehi?" Mi chiama. "Tutto bene?"
Scuoto la testa. "Non è niente, mi ero solo incantato."
Mi guarda, anzi mi fa una radiografia completa, e poi sospira e scuote la testa. "Dovresti distrarti," mi dice.
"Sono qui."
"Ma sono sempre io," replica. "O ti chiudi in sala di registrazione o esci con me. Dovresti fare qualcos'altro. Qualsiasi cosa."
Infilo il cucchiaino nella tazza ormai quasi vuota e giro lo zucchero sul fondo, senza guardare Fler. "Non mi va."
"Potresti uscire con tuo fratello," propone. "David ve la darà una serata libera se la chiedete no?"
Faccio una smorfia ma continuo a non guardarlo. "Non è questo, Fler," mugugno incerto. E' una cosa sulla quale penso da giorni e non so se gliela voglio dire o meno.
"E allora cos'è?"
"Non lo so," sbuffo alla fine. "E' solo che Tom non... non lo so, non è la stessa cosa. Lui ce la mette tutta, e mi vuole bene ma non capisce. Anzi sembra quasi sollevato."
Tomi è il fratello migliore del mondo e oltretutto non riesce proprio a mentirmi, così glielo leggo in faccia che per lui la fine di questa storia è stata una benedizione. E lo capisco, davvero, per lui è così perché mi vuole bene e voleva che io smettessi di soffrire. Quello che non capisce è che la morte di Saad non mi ha tolto un peso, mi ha tolto un motivo per andare avanti e adesso non so più cosa farmene di me stesso.
A dire il vero non riesce a capire neanche certi miei ragionamenti, o il motivo per cui sono tanto legato a Fler, del quale - per altro - ignora totalmente il ruolo. Non segue la dinamica che ha portato la testa calda dell'Aggro Berlin a rimanere amico mio anche dopo che la vendetta di Bushido è stata compiuta. Non ci arriva, e io non riesco a spiegarglielo. Un po' è lui che non vuole veramente saperne e un po' sono io che vorrei essere circondato solo da persone che non hanno bisogno che io spieghi loro anche cose come questa. "Fler?" Chiedo all'improvviso, mentre lui ormai si è rassegnato a giocherellare con il fondo acquoso del suo bicchiere.
"Hmn?"
"Come sta?"
Con Fler non devo specificare. Capisce. E' proprio di questo che ho bisogno, di comprensione automatica. Ricordo che abbiamo avuto questa stessa discussione poco prima della notte di Saad. Questa domanda va contro le regole - le mie, quelle che mi sono imposto - e lo so che non dovrei fargliela perché poi mi verrà voglia di telefonargli e poi magari di vederlo ma non posso.
"Bene."
Dice solo questo. Bene. E io mi sorprendo di quello che sto pensando, perché non ho idea di che risposta mi aspettassi. Mi immaginavo forse Peter riverso su una sedia in preda allo sconforto? E' normale che stia bene. Dovrei essere contento. Dovrei anche accontentarmi di quell'unica risposta, e invece chiedo: "Lo hai visto di recente?"
Si muove a disagio sulla sedia. "Bill..."
"Lo so, hai ragione," annuisco e mi pulisco le labbra col tovagliolo.
Sento Fler sospirare. "Gli manchi anche tu."

Non passa nemmeno una settimana da quell'uscita che Chakuza si presenta a casa mia, quindi è indubbio che ce l'abbia mandato Fler. Quando lo vedo nel citofono vorrei strangolare Patrick. "Sì?"
"Bill, sono Chakuza." Lo avrei riconosciuto dal modo in cui ha detto il mio nome, anche senza che si presentasse e senza la telecamera. Lo stomaco mi si contorce tutto e non riesco a spiccicare una parola. "Posso salire?"
Gli apro senza rispondergli e quando si aprono le porte dell'ascensore sono sulla porta ad aspettare di vederlo spuntare. "Ciao," mormoro. Lui si ferma sulla soglia ma non entra finché non lo invito a farlo. Sono impacciato e non so come comportarmi: non lo vedo da settimane e l'unica giustificazione che ho per questo è che ho paura che ad averlo vicino potrei fare cose che non devo.
Chakuza indossa il cappellino ma anche il cappuccio della sua felpa grigia e gli occhiali da sole. Vorrei che li togliesse. "Scusa se piombo qui senza avvertire ma ho come l'impressione che se ti avessi chiamato non mi avresti fatto venire."
Abbozzo un sorriso. "Probabile."
Quindi rimaniamo in silenzio entrambi e questo momento di imbarazzo mi ricorda in tutto e per tutto quello che abbiamo avuto la notte di Saad. E' questo il problema tra me e lui, non ci siamo mai chiariti. Io ho chiuso la questione promettendogli di chiamarlo e non l'ho mai fatto. La parentesi di Saad era solo quello, appunto. Una parentesi. Non abbiamo avuto modo di...
"Senti.."
"Ascolta..."
Ci interrompiamo entrambi e siamo la scena perfetta di un film romantico. Peccato che se io di spalle posso passare per Julia Roberts, il Chaku non è di certo Hugh Grant. Alla fine Peter sospira. "Perché non ricominciamo da capo?"
Lo guardo senza capire.
Lui si toglie il cappuccio e gli occhiali, così lo sguardo lo vedo e un po' mi sciolgo. Mi manca. "Prima stavamo bene, no?" Dice e mi guarda. E quando mi guarda mi ricordo perché è sempre stato facile con lui: ha uno sguardo dolcissimo. Fa finta di essere un duro solo quando gli devono fare le foto promozionali. Non può fare il duro Chaku, non lo è. "Usciamo, ci prendiamo qualcosa da mangiare. Solo questo."
"Chaku, io non credo che sia il caso."
Penso che ci rimarrà male e invece non demorde. "Ho un'offerta che non puoi rifiutare, Principessa," dice, e si impettisce tutto. A me esplode il cuore, ma fa niente. "Gucci ha aperto un nuovo showroom-"
"Non posso presentarmi da Gucci senza scatenare-"
Chakuza solleva un dito e mi zittisce. "Dicevo, Gucci ha aperto un nuovo showroom che la premiata ditta Chakuza e Fler si è premurata di far chiudere al pubblico per te." Sgrano gli occhi e lui prosegue, afferrando il mio cappotto dall'attaccapanni e facendo per mettermelo. "Quindi adesso ti vesti, prendi la borsa e andiamo. Dopo se fai il bravo passiamo anche da McDonald."
M'infila il cappotto e non me ne accorgo nemmeno. Ho addosso un paio di jeans vecchissimi e una maglietta ancora più vecchia che ho probabilmente macchiato di gelato due ore fa. "Peter non posso uscire così, sono impresentabile!" Strillo. "Non mi sono nemmeno pettinato!"
Chakuza non mi ascolta, e mi spinge verso la porta. "Vai benissimo così," dice. "E se sono in vena ti porto anche al cinema. Ora forza, fuori di qui."
Un attimo dopo sono in piedi sulla porta di casa mia e gli sto anche passando le mie chiavi perché chiuda. Intanto, già che ci sono, mi do una sistemata, anche se nemmeno io posso fare miracoli conciato in questo modo.

Penso che sarà un pomeriggio tremendo, che saremo in imbarazzo anche solo per due piani in ascensore e invece mi sbaglio. E invece Chakuza è fantastico e io mi ero dimenticato quanto era bello stare con lui preso com'ero dalla paura di aver rovinato ogni cosa fermandolo quella sera. Mi trascina da Gucci ma da quel momento in poi sono io che trascino lui in giro da uno scaffale all'altro e lo tengo le ore fuori dai camerini uscendo e rientrando ogni volta con un vestito diverso. Chakuza mantiene il sorriso fino alla fine, non crolla un attimo e Dio solo sa se non avevo davvero bisogno di questo: del nulla assoluto. Dello shopping e di lui che mi guarda, storce il naso incerto e dice: "Tu sei proprio sicuro di volerli, eh?" quando esco con addosso un paio di pantaloni che sono molto da me ma molto poco da lui. E allora li mollo perché di fronte a tutti i modelli precedenti non ha spiccicato parola e faticava a guardarmi.
Quando lasciamo il negozio sono sicuro di due cose: la prima è che devo finire quell'album perché in banca non mi è rimasto un centesimo. La seconda è che dovrò fare i conti con David quando una delle commesse dirà a qualche giornale che sono andato a fare spese con Chakuza dell'Ersguterjunge.
Alla fine sembra che io sia stato molto bravo perché Peter mi porta sia al McDonalds che al cinema, mi lascia anche scegliere il film e io decido che l'ho martirizzato abbastanza per una giornata sola, quindi andiamo a vedere un film d'azione ma non troppo. Così lui può fare un po' l'uomo delle caverne ed esaltarsi per ogni cosa che fa BUM e io mi godo quel poco di storia d'amore che mi concedono tra una sparatoria e l'altra. Non m'interessa, sto troppo bene per annoiarmi. Passo quasi tutto il tempo a mangiare popcorn e a commentare quasi ogni scena, dando fastidio a chi mi circonda - forse anche un po' al Chaku. Ogni tanto lo sgamo che gira la testa e mi guarda e io faccio finta di non vederlo.
Alla fine, quando mi riaccompagna a casa, è passata mezzanotte e io mi rendo conto che non stavo così bene da mesi, e che non stavo così bene perché non stavo con lui. Questo deve pur voler dire qualcosa, penso, mentre mi aiuta a portare fuori dall'ascensore tutte le mie buste.
Ci fermiamo davanti alla mia porta di casa. Appoggia l'ultimo sacchetto sullo zerbino e mi guarda, infilandosi le mani in tasca e dondolando un po' sui talloni: è salito solo perché ho fatto troppe spese questo pomeriggio.
"Grazie per la bella giornata," dico e mi sistemo una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
"Grazie a te. Era da troppo tempo che non te lo vedevo fare."
"Cosa?" Scherzo. "Fare shopping?"
"Sorridere."
Abbasso lo sguardo e arrossisco. "Non ci sono stati molti motivi per farlo in questo periodo."
"Ce ne saranno, d'ora in poi."
Quello che dice mi fa sollevare di nuovo lo sguardo e quando incontro i suoi occhi non ci sono buoni propositi che tengano, né i suoi di farmi solo passare un bel pomeriggio, né i miei di considerarlo solo un amico. Il cuore mi batte troppo forte, non batte così per Fler.
Si china piano, mi dà il tempo di capire cosa vuole fare e di fermarlo se non voglio ma ho già chiuso gli occhi. Mi bacia appena, le sue labbra sulle mie sono leggerissime ma per qualche motivo questo adesso mi basta. E forse non era Chakuza ad essere un errore, ma la misura con la quale ci eravamo trovati. Troppo e troppo in fretta.
Mi scosto piano, riluttante ad allontanarmi dalle sue labbra calde e leggermente umide. "...Vuoi provarci sul serio, Peter? Davvero?"
Lo guardo e un po' ho paura, perché quello che gli ho chiesto è una cosa importante. Non so neanche che cosa vorrei mi rispondesse. So che non mi farebbe mai del male, eppure è già successo che ce ne facessimo a vicenda senza volerlo.
Lui però mi guarda e annuisce. "Faremo le cose con calma," mormora. "Piano. Andrà tutto bene."

Usciamo di nuovo, e ancora. Una volta dopo l'altra, settimana dopo settimana, io mi accorgo che una relazione, in effetti, ce l'abbiamo già. Stiamo insieme, e stiamo bene, anche se Chakuza si ferma ogni volta sul pianerottolo, mi bacia e torna a casa. Quando lo seguo con lo sguardo mentre entra nell'ascensore non sembra dispiaciuto, non sembra neanche che si sforzi di sopportare e l'atmosfera la sento cambiare, come se fosse una cosa fisica.
Quindi i suoi baci e i miei, anche, si fanno più profondi e più affamati finché il bacio della buonanotte non si trasforma in lui che mi spalma sul legno della porta di casa mia e mi fa cadere le chiavi di mano. Mugolo e me lo stringo addosso, passandogli le braccia intorno al collo. Mi piacciono i baci di Peter, sono lenti e dolci. Sono suoi, e non posso confonderli con altri baci, come a volte mi capita invece con le carezze, e quel modo che ha di stringermi un braccio intorno alla vita. Con queste cose, sì, a volte mi confondo ma quando mi bacia non posso farlo. Chiudo gli occhi ed è lui e so che lo è. Le sue labbra hanno un sapore preciso.
"Devo andare," mi soffia addosso quando, involontariamente o meno, mi inarco contro di lui e forse lo tocco un po' troppo. Mi dà un altro bacio che ci tiene incollati per venti secondi prima di riuscire a fare un passo indietro. "Buonanotte," deglutisce.
Io sto ancora prendendo fiato che lui è già diretto all'ascensore. Un po' mi viene da ridere perché ci manca poco che si metta a correre. Le porte si stanno aprendo quando mi decido a chiamarlo. "Chaku?" Mi mordo un labbro mentre una parte del mio cervello mi chiede cosa cavolo sto facendo...
"Si?"
"Ti và di entrare?"
Le porte fanno in tempo a richiudersi che Chakuza è ancora lì fermo immobile che mi guarda. Qualcuno chiama perfino l'ascensore ad un altro piano. Rido un po'. "E' un sì?"
Non mi risponde. Mi raggiunge che l'ascensore è tornato, ma io sto già aprendo la porta.

*


Il mio appartamento è fin troppo grande per una persona sola.
Quando sono andato a vederlo la prima volta, c'era mio fratello con me e continuava a ripetermi che non avrei saputo che farmene di tutte quelle stanze. In realtà penso che fosse il suo estremo quanto infantile tentativo di impedirmi di comprarla. Non mi poteva dire di non farlo – non mi poteva dire neanche che gli sarei mancato, infatti non l’ha fatto, perché voleva apparire più uomo del mio uomo, al tempo - quindi faceva l’esperto di case e cercava di farmi desistere, così che rimanessi a vivere con lui e, suppongo, potessimo continuare a litigare sul mio diritto o meno di portarmi a casa il fidanzato.
L’acquisto, ad ogni modo, si è reso necessario alla fine di una nottata piuttosto rumorosa, dopo la quale Tom non ha più potuto negare che una casa mia mi servisse e basta.
Quando apro la porta, Chakuza è ancora immobile di fronte all’ascensore. Non ho bisogno di voltarmi per vederlo, il nervosismo elettrico che emana quasi lo sento sulla pelle. Entro per primo e lascio la porta aperta: gli ho chiesto di entrare, non ha risposto. Suppongo che lui che varca la mia porta sia un sì, lui che rientra nell’ascensore sia un no. Un no bello grosso, direi. Mentre mi tolgo il cappotto lasciandolo scivolare dalle spalle mi rendo conto che non so come la prenderei se non entrasse. Sarebbe come dirmi che non gli interessa. Io ho aspettato per un motivo, lui che motivo avrebbe? Credo che se rientra nell’ascensore non gli rivolgerò mai più la parola.
Sorrido quando lo sento chiudere la porta. Forse dovrei chiedergli se vuole bere qualcosa, o se vuole mettersi comodo – in un mese che mi riaccompagna non è mai entrato in casa mia dopo il calare del sole, nemmeno fosse un vampiro - magari dovrei prenderla così, con calma. Solo che non mi va di sedermi sul divano e bere qualcosa, voglio che ci baciamo come abbiamo fatto un attimo fa.
Mi volto e lo trovo che mi guarda – e mi piace come lo fa, mi piace il fatto che continui a guardarmi perché non riesce ad aprire bocca per dirmi niente. Così mi avvicino e lo bacio, tanto per fargli capire che non l’ho invitato a varcare la soglia per rimanere all’ingresso. Che può toccare, se vuole.
L’ho spaventato – mi sono spaventato, la paura è stata anche e soprattutto mia – talmente tanto quel maledetto pomeriggio di non so quanti mesi fa che adesso non fa più una mossa se non è praticamente certo che sia quello che voglio anche io. Ha degli inizi poco spontanei Chakuza, ma non è decisamente colpa sua.
Gli prendo il viso tra le mani e mi stringo contro il suo petto. Peter, guarda che dico davvero. E mi viene da sorridere quando finalmente si scioglie un po’ e le sue mani mi prendono saldamente per i fianchi quasi all’istante. Le sue prese sono tutt’altro che tenere quando alla fine si decide. Mugolo quando mi apre la bocca e la sua lingua scivola sulla mia riprendendo da dove avevamo interrotto qualche attimo fa.
Muovo le mani alla cieca trovando il suo cappotto e glielo tiro via da quelle spalle enormi che si ritrova. Il solo pensiero di vederle senza la maglietta, in questo preciso momento, mi manda un brivido giù per la schiena e accelera i miei movimenti. Gli faccio scollare le mani dai miei fianchi solo per spogliarlo di quel tre quarti di panno che insiste a chiamare cappotto, e lui mi asseconda di fretta, per riprendere ad accarezzarmi un attimo dopo che la stoffa è caduta a terra, fra lo schiocco delle nostre bocche che si allontanano solo il tempo necessario a riprendere fiato.
Non so se sono io ad arretrare oppure lui a spingermi, fatto sta che ci muoviamo e lo stiamo facendo verso la mia camera da letto. Quindi forse sono io che guido, Peter si limita a starmi attaccato e a seguirmi perché a lasciarmi andare proprio non ci pensa più.
Sbattiamo contro il muro del corridoio che fa un po' angolo. Vorrei riprendere a camminare ma lui m'inchioda lì dove sono e invece di protestare finisco per mugolare, perché mi dà un bacio che mi toglie il fiato e mi lascia a cercare le sue labbra una volta che appoggia la fronte alla mia e mi guarda come credo non mi abbia mai guardato prima.
"Peter..." ansimo e cerco di baciarlo. Lui mi asseconda ma continua a guardarmi, con gli occhi verdissimi e concentrati.
"Sei sicuro?" Chiede. Non c'è cattiveria nella sua voce; anzi, le parole un po' tremano e capisco che ha fatto uno sforzo enorme per fermarsi e farmi quella domanda.
Non ho davvero la testa per ripensare adesso a tutti i motivi che mi hanno convinto a volerlo stanotte, però ci sono. Lo so. Ho delle ottime ragioni. Una di queste è che io a Peter voglio bene e lui ne vuole a me. Considerando che il vuoto che ho nel cuore niente e nessuno potrà mai riempirlo di nuovo, questo è il massimo a cui posso aspirare. Peter ha già tutto l'amore che ormai sono in grado di dare. Tutto quanto. Più di così non posso. Anzi, più di così posso solo concedergli quello che manca. E voglio che lo abbia stasera.
L'altro motivo, se mai ne servisse un altro, è che non è una concessione. Non ho scelto Peter perché era semplice buttarsi tra le sue braccia ma perché l'ho sempre voluto. Se ho aspettato così tanto è stato perché volevo essere pronto per lui, e non pronto e basta.
Così quando mi guarda negli occhi in attesa di una risposta, ricambio lo sguardo e sorrido. "Questa volta sì," mormoro.
Lui rimane serio e mi scruta, poi alla fine fa un cenno – uno piccolissimo, lo vedo solo perché siamo così vicini che respiriamo nello stesso, minuscolo spazio d’aria e io voglio solo che riprenda a baciarmi perché è bravo e perché quando lo fa mi ricordo di com’è iniziata questa serata e di come mi sono sentito quando mi ha schiacciato contro la porta. Voglio sentirmi ancora così.
Quando riprende a baciarmi, il sospiro di sollievo non lo trattengo, lascio che mi esca dalle labbra e che si sciolga sulle sue che sono morbidissime e hanno un sapore che ormai conosco bene.
Scivoliamo lungo il muro e mi porta lui, stavolta, ne sono sicuro perché io gli sto aggrappato al collo e a malapena cammino, e mugolo e mi perdo un sacco. Chakuza è bravo a farmi perdere, ci riesce benissimo.
La sensazione successiva è il materasso e lui che mi ci distende sopra. Mi lancia, tipo, non lo so. So solo che atterro e un attimo dopo lui è sopra di me e ci incastriamo benissimo, senza neanche un problema. Peter è gentile quando mi tocca ma lo fa con ansia e non so se la sua sia paura oppure eccitazione. O magari entrambe le cose insieme. Nella confusione di averlo addosso e di averlo ovunque, per altro, perché le sue mani sfiorano ogni parte del mio corpo e non riesco ad esalare un gemito che subito me ne strappa un altro, in tutto questo, dico, mi rendo conto che sono nervoso anche io e per me è una cosa nuova. Il sesso non mi ha mai reso nervoso, neanche la prima volta con Anis. E allora capisco che questa nottata significa così tante cose che sarebbe impossibile fare finta che non ci sia niente di cui preoccuparsi. Tipo, ad esempio, che potrebbe andare tutto storto. Tipo che Chakuza fino a due mesi fa andava dietro alle donne, e lo so che adesso ha la lingua nella mia bocca ma baciarmi è una cosa, fare l’amore è un’altra. E insomma, io non lo so.
Le sinapsi del mio cervello, comunque, si scollegano quando le sue dita mi scivolano sui fianchi e poi le sento infilarsi sotto l'elastico dei pantaloni che per una volta non sono di pelle e non hanno cintura. Mi stringe il sedere e io sollevo appena la gamba, stringo le ginocchia intorno alla sua vita strettissima e lascio che affondi il viso nel mio collo perché so che morderà e leccherà. Lo ha già fatto, lo voglio.
Non ci siamo neanche spogliati e sto già ansimando. Sento la sua eccitazione attraverso i vestiti, che mi struscia contro mentre Chakuza non può fare a meno di spingersi in basso, neanche troppo velatamente. Così seguo i suoi movimenti, mentre le sue mani mi vagano addosso senza fermarsi un istante.
Mi bacia e mi morde e mi tocca e non trovo il tempo né lo spazio di respirare.
“Chakuza, piano…” gli sussurro dolcemente. Lui solleva lo sguardo, ha gli occhi velati di voglia. E’ così palese che non ha altro che me nel cervello che mi manda in subbuglio lo stomaco. . “Non vado da nessuna parte. Promesso.”
Gli accarezzo una guancia e lo porto di nuovo giù a baciarmi, piano però. Struscio il naso contro il suo e gli sfioro appena le labbra. Il bacio che ne segue è umido ma lentissimo e sensuale. I suoi fianchi scattano verso il basso, io mugolo sulla sua lingua e vado incontro alle sue spinte ma stringo le ginocchia., voglio che sia lento. Voglio godermela. Voglio scoprirlo piano, Chakuza, e voglio che io per lui sia una sorpresa lenta. Non voglio che ci bruciamo solo perché abbiamo capito di poterlo fare.
Voglio che ci prendiamo tutto quanto il tempo, fino all’ultimo secondo. E se faccio la conta di tutti i miei desideri stanotte, mi rendo conto di essere viziato ma è così che sono. E lui lo sa.
Ansimiamo e i respiri si sono fatti caldissimi. “Troppi vestiti,” sussurro e scorro le mani sotto la sua felpa mentre lui gioca freneticamente con la cintura dei miei pantaloni. Si ferma solo un istante quando gli tolgo la maglia e al contatto delle mie labbra con i suoi pettorali, sento le sue mani farsi più impazienti. Alla fine si libera della cintura e mi stende di nuovo sul materasso per tirarmi via i jeans. Lo fa con la stessa furia con cui mi toccava prima, così quando torna a baciarmi e la sua lingua incontra la mia, per qualche istante non capisco più niente e penso solo che potrei fare qualunque cosa se continuasse a baciarmi così. Questo bacio è umido e caldo e sembra ovunque. E’ ovunque, perché ha una mano tra le mie gambe e mi accarezza e lo fa piano e bene, e per un attimo solo mi sembra impossibile che sia così dannatamente a suo agio anche con me. Sono un maschio, non può saperlo meglio di come lo sa adesso. Mugolo qualcosa che è a metà tra il suo nome e il suo soprannome, mi accorgo che non so come chiamarlo, che mi confondo. Chakuza viene naturale quanto Peter ma sembra così distante, così… di tutti. Mi inarco sotto le sue dita che stringono ed accarezzano, e io finisco per perdere un attimo il controllo della situazione e di lui che sotto controllo non è. Chiaro.
Ho gli occhi chiusi e sono concentrato sul movimento della sua mano che mi fa stringere le ginocchia e mi fa sollevare le gambe. Mi scappa di bocca un mugolio che le sue labbra non accolgono come hanno fatto fin'ora perché sono intente a succhiarmi il collo. Il suo corpo su di me è un peso che non conosco ma al quale posso ben abituarmi, soprattutto quand'è così deliziosamente caldo e forte e teso. Lo chiamo ancora e voglio che mi baci, un po' perché quando lo bacio perde tutta la fretta che ha di toccarmi ovunque e i suoi movimenti si fanno lenti in maniera eccitante, e un po' perché quando voglio qualcosa e la cerco mi piace ottenerla.
Si spinge di nuovo contro di me e smette di accarezzarmi. La mia protesta è liquida e poco convinta, e non penso nemmeno che forse dovrei stupirmi delle due dita che mi preme sulle labbra, e della naturalezza con cui lo fa: sono troppo impegnato ad annegare nella mia soddisfazione personale quando lo sento emettere quel suono delizioso nel momento esatto in cui faccio sparire come niente due falangi. Con la mia lingua che gli scivola intorno gli si chiudono gli occhi e mi impedisce di giocare ancora. Sento la scia umida lungo la gamba e cerco di rilassarmi nel bacio che mi sta dando mentre si fa spazio, lentamente.
Ho una gamba attorcigliata attorno alla sua vita e tutto il corpo premuto contro il suo. Quello che mi piace è che mi tiene stretto e quasi sollevato, non mi lascia e così siamo strettissimi.
Non so quanto tempo passa ma anche chissene frega e mi chiama con un'urgenza che è anche la mia per cui non vedo l'ora di esaudire il suo desiderio, che per altro mi preme addosso in maniera decisamente interessante. Lo sento liberarsi degli ultimi vestiti mentre mi lascia libero di accarezzarlo e riprendo a toccarlo fin dove riesco ad allungare le mani perché il corpo di Chakuza mi piace e mi piace toccarlo da quando l'ho fatto la prima volta, in un modo che di erotico non aveva niente. Gli abbracci di Chakuza me li ricordo fin da prima che significassero qualcosa di più.
Chakuza... Peter - devo ripetere il nome e devo usarlo, perché non ho mai fatto sesso con un personaggio, ma sempre con l'uomo che ci stava dietro. E' importante. - torna da me e mi spinge gentilmente, per invitarmi a stendermi ma non lo faccio. Lo fermo e la sua espressione di terrore è così palese che riderei se quello che sto per fare non fosse tipo la cosa più importante che potrà mai legare me e lui nello stesso momento. Sorrido e gli accarezzo la guancia, baciandolo piano.
Quando mi tolgo l'anello, capisce. Quando mi sfilo il bracciale mi guarda fisso e lo sa che deve guardare, sa che devo guardare anche io e che - forse - non lo so, ci aspettiamo di venir fulminati.
In realtà non lo farei se stanotte non avessi sentito quella scossa al cuore, se non fossi stato certo - nel più assoluto dei modi - che fosse la cosa giusta da fare. Così appoggio sul comodino l'anello e il bracciale, che non mi sono mai tolto in questi mesi e dai quali è il momento di separarmi. Ora posso, non devo fermarmi. Non devo più.
Lui mi osserva e non muove nemmeno un muscolo e io faccio tutto guardando lui dritto negli occhi perché è per lui che lo faccio e per noi e per quello che dovevamo essere fin da quando abbiamo fatto quell'errore assurdo. Quando ho finito di depositare i miei sigilli sul comodino mi si avvicina quasi con timore, e dire che mi aspettavo di averlo addosso. Lo voglio addosso.
Mi distendo tra i cuscini e me lo tiro contro e ne segue quel momento delizioso in cui ci incastriamo benissimo e non c'è niente che non vada. L'unica cosa che faccio quando mi bacia per distrarmi è mugolare. "Peter, ti prego, fai... piano," e lui si ferma e mi guarda - ed è bello che lo faccia perché è carino e tenero e ci tiene. E soprattutto trova abbastanza forza mentale da distrarsi ancora, cosa che palesemente gli sta costando un'ernia credo. "Non sono...è da tanto che..."
Solo che sono in imbarazzo quindi vago un po' ovunque con gli occhi e balbetto e mi sento anche scemo perché non è la prima volta, non sono davvero così principessa e non so nemmeno perché mi sto comportando in questo modo. Forse perché quell'espressione preoccupata e dolce insieme mi piace. E' così tipicamente la sua per me.
"Lo so. Non preoccuparti," mi dice con un bacio sulle labbra. "Faccio piano."
Struscio il naso contro il suo e poi cerco il suo odore nell'incavo del collo e mi rilasso tra le sue dita che hanno ripreso ad accarezzarmi. Quando entra è gentile ma fa male e vorrei che non lo facesse, vorrei che fosse tutto più facile. Poi, però, chiudo le labbra intorno alla sua pelle e penso anche che sia giusto un po' di dolore per me e per lui. Forse ce lo meritiamo. Il dolore - tutto il dolore - dura solo un istante e poi smette. All'improvviso. Smette quando Chakuza torna a guardarmi ed è dentro di me e tutto torna a posto. E mi piace.
L'espressione che ha non la so descrivere ma è bellissima e mi viene da baciarlo. Sorrido quando mi rendo conto che posso baciarlo da qui all'eternità. Quando mi rendo conto che sono felice.
Il bacio che ci scambiamo è lunghissimo e umido. Il mio mugolare coincide con i suoi ringhi e con i nostri movimenti sempre più frenetici e sempre meno coordinati. Mi aggrappo alle sue spalle e lui palesemente vorrebbe stringermi ai fianchi - ogni tanto una mano scivola - ma non lo fa, è carino. Mi accarezza. Mi stringo e mi inarco, le mani di Peter sono fantastiche. Lui è fantastico. Quando dice il mio nome, con quella voce, con quel tono, con quel tutto che è lui qui, stasera, con me, non ce la faccio più. Gli vengo tra le dita e continuo a stringermi per lui, che ora può afferrarmi i fianchi, può stringerli anche un po' con violenza e serrare i denti, totalmente perso nel suo mondo.
Ho il suo viso tra le mani, lo bacio e mi asseconda. Apre gli occhi, due tagli verdi scuri di voglia e mi appoggia la testa alla spalla, tremando forte. Qualche istante più tardi mi abbraccia e io mi rannicchio contro il suo corpo rilassato, avvolto dal profumo di noi due insieme.
Mi addormento senza che diciamo una parola, con lui che mi sistema i capelli dietro l'orecchio dopo aver cancellato dal mio corpo le ultime tracce che mi permettevano di ricordare.

*


Quando esco dalla doccia, lo trovo appoggiato alla porta del bagno, con le braccia incrociate. Fingo di stringermi oltraggiato nel suo accappatoio. "Entri in bagno senza bussare, adesso?" Scherzo.
"E' il mio bagno, fino a prova contraria."
"Ma sono nudo," protesto.
Lui scosta un po' i lembi di spugna e dà un'occhiata divertita. "Non mi sembra ci sia niente di nuovo dall'ultima volta che ho guardato."
"Scemo!" Rido mentre mi abbraccia e gli nascondo il viso nel collo, inspirando il profumo del suo dopo barba.
"Ti vanno le frittelle?"
Annuisco, strusciando i capelli umidi contro la sua guancia. Rimaniamo un po' li così a dondolare, c'è la radio accesa. Sento la musica dalla cucina.
"Ti ho portato su la valigia."
"Mhn.Grazie," lo bacio sulla guancia. "Ma lo sai che non posso rimanere qui, vero?"
Lui sgrana gli occhi verdi e inclina un po' la testa di lato."E perché no?"
"Per una serie di buonissime ragioni, una delle quali inizia per T e finiscono per OM," lo bacio sulle labbra e struscio il naso contro il suo. "Se non torno a casa mi fa a pezzi."
"Potresti passare da casa e poi tornare qui."
Inspiro e appoggio la fronte alla sua."E cosa gli dico?"
Mi spinge contro il muro. "Non lo so, magari ti si è allagata la casa, oppure ti piace il mio quartiere. Magari ti ho convinto ad iscriverti a qualche setta religiosa che ci obbliga a condividere l'appartamento."
Rido mentre mi morde il collo e facciamo freddare le frittelle. "Vedremo," esalo.
Lui mugugna vago e mi spinge lungo il corridoio, mi aggrappo al suo collo e fingo di lamentarmi. "Sai che mi ero fatto la doccia per poi vestirmi e mangiare qualcosa? Magari uscire, anche."
"Dopo usciamo, giuro."
"Oh certo," commento e mi lascio stendere di nuovo sul letto, tirandomelo addosso. "Se non sono a casa per pranzo, te la vedi tu con Tom."
Chakuza annuisce ma le sue mani sono già su di me quindi non parlo più e sorrido quando mi guarda e mi dice che sono bellissimo.
Se avessi saputo cosa sarebbe successo da lì a qualche giorno, avrei sorriso di meno.

Bookmark and Share

lascia un commento!










Nota: Devi visualizzare l'anteprima del tuo commento prima di poterlo inviare.
Note: You have to preview your comment (Anteprima) before sending it (Invia).
 

torna su