L'increscioso caso dei pantaloni di pelle (a mezzanotte)

di tabata e lisachan
Il telefono squilla, ed io ho tutto il tempo per rimpiangere i bei tempi andati in cui tutta la gente che frequentavo abitualmente si odiava o non poteva vedersi per motivi vari ed eventuali, prima di rotolare sulla pancia – e su J.J. steso accanto a me, naturalmente – ed artigliare il cellulare abbandonato sul comodino accanto alla sveglia. Sveglia che, peraltro, indica le ore sette del mattino. Nessun cantante ha mai da fare alle sette del mattino. I cantanti dormono ancora profondamente, alle sette del mattino, e così fanno i loro manager, naturalmente. Prego che non sia Bill, prego che sia mia madre che mi chiama per annunciarmi qualcosa di incredibilmente grave, prego sia Tom che mi cerca nel panico perché dal suo losco passato di sedicenne imbizzarrito è venuta fuori una groupie con un figlio di tre anni in cerca di un assegno di mantenimento, prego che sia qualcosa, insomma, che dia un senso a questo mio svegliarmi all’alba mentre sotto di me un uomo con addominali perfettamente scolpiti anche nella placidità del sonno inspira ed espira profondamente, sistemandosi appena per permettermi di restargli appoggiato addosso mentre prendo il cellulare fra le mani e ne scruto il display illuminato con aria perplessa.
Prego intensamente per tutto ciò, e invece, ovviamente, è solo Bill.
Mi abbatto già esausto su quella paradisiaca superficie che è la meravigliosa pancia di J.J., e lui comincia immediatamente ad accarezzarmi la nuca. Non capisco se dorma ancora o meno, ma comunque non m’importa, quest’uomo è palesemente il modo in cui il karma cerca di riequilibrarsi ridandomi gioia dopo avermi riempito di dolore fino ad ora, e quindi egli, se vuole, può continuare a dormire mentre mi accarezza come fossi un gatto. Dio lo benedica.
- Pronto? – biascico con aria palesemente poco compiaciuta, sperando che Bill capisca l’antifona e strilli “ho sbagliato momento, penso fuggirò in Papuasia per i prossimi tre mesi!”. Naturalmente, però, è di Bill che stiamo parlando, perciò lui strilla comunque, ma naturalmente per dirmi tutt’altro.
- Dada! – cinguetta felice, - Come ti senti oggi?
- Assonnato, Bill. – rispondo, - Come ogni giorno a quest’ora. Si può sapere cosa ci fai già in piedi? Il tuo tappeto rosso non si srotolerà prima di un altro paio d’ore almeno, all’incirca.
- Anis non ne voleva proprio sapere di lasciarmi in pace, stamattina. – borbotta lui, falsamente corrucciato, mentre io realizzo che ha usato l’espressione stamattina e che ciò implica una mattina più mattiniera di questa, che a me pare già mattiniera a sufficienza. Bushido, io e te dovremo parlare a lungo, quando mi sarò rimesso completamente in forze. – Ha cominciato subito a tocchicciarmi appena gli ho portato la colazione, e allora—
- Non voglio sapere i particolari, Bill. – sospiro stancamente, - Sono cose che ho avuto modo di apprendere con dovizia di particolari negli anni, il ripasso conservalo per quando avrai dei figli gay a cui somministrarlo.
Lui borbotta confusamente qualcosa che assomiglia molto ad una protesta perché non lo lascio esprimere nel modo che lui trova più consono, ma fa presto a riacquistare il buonumore quando insisto a chiedergli cosa voglia da me in questo preciso istante. Lo sento trillare come un campanellino scosso dal vento e battere entusiasticamente le mani come il mentecatto treenne che diventa quando crede di avere avuto un’idea meravigliosa, ed alzo gli occhi al cielo perché so già che invece non sarà proprio niente di eccezionale.
- Senti, senti, - mi dice infatti, con aria vagamente cospiratoria, - ho avuto un’idea meravigliosa.
- Sento, sento. – gli faccio eco io, abbattendomi sul fianco di J.J. Al momento, le sue dita fra i miei capelli sono l’unica cosa che mi tenga lontano dalla pazzia.
- Ho pensato, sono passati già un paio di giorni da quando sei stato dimesso, no? – chiede con gioia. Io inarco un sopracciglio.
- No, Bill. – rispondo, - Sono stato dimesso ieri. Meno di dodici ore fa, in realtà.
- Dettagli. – mi liquida lui, del tutto disinteressato alla precisazione che io invece ritengo essere di una certa importanza, - È passato comunque abbastanza tempo da non dover temere che, per esempio, mangiando un piatto di sciorba tu possa aprirti e spargere budella nel mio salotto, no?
- Bill. – mugolo con dolore reale, passandomi una mano sugli occhi, - Un piatto di sciorba mi ucciderebbe anche se fossi perfettamente in salute. E poi c’è la carne, io non la mangio la carne, ma che te lo ripeto a fare? Mi conosci da un millennio e se non ti è ancora entrato in testo dubito che lo farà mai.
- Sì, infatti sarebbe senza carne, mi pare ovvio. – ribatte lui, quasi oltraggiato dalla mia palese mancanza di fiducia nei suoi confronti. – Senza carne va bene?
- La carne è il minore dei problemi della sciorba, Bill. – gli faccio presente, - In quella roba, fra fagioli, ceci, triplo concentrato di pomodoro e peperoncino, c’è tanto di quel potenziale omicida che non riesco a credere che cucinare e servire una pietanza simile, pur nel privato, possa essere una pratica legale in un paese civile quale la Germania è.
Lui resta in silenzio per qualche secondo, ponderando la questione, e poi sbuffa.
- Non importa, ne mangerai di meno. – conclude quindi.
- Bill! – lo rimprovero io, sconvolto, e lui sbuffa ancora.
- Non voglio andare da Karima per dirle di cambiare menu! Ha già preparato tutto! Non c’è abbastanza tempo per chiederle di cucinare altra roba! – butta lì, come se queste fossero cose che nella mia testa dovessero avere un senso. Non ce l’hanno, però, è evidente. Non c’è abbastanza tempo perché? Che appuntamento è stato preso al posto mio mentre io mi rilassavo fra le possenti braccia di J.J.? Ho quasi paura a chiederlo. Ma devo.
- Bill. – dico piano, inspirando ed espirando profondamente, - Di cosa diamine stai parlando?
Bill si interrompe ancora, riflessivo.
- Ho invitato tutti! – dice quindi, ostinandosi a non dirmi quale sia invece il fulcro della questione, limitandosi a lasciarlo scivolare fra le parole.
- Bill. – lo chiamo con disappunto. Lui mi ignora.
- Ho pensato fosse una cosa carina! – insiste.
- Bill! – insisto anch’io.
- Non arrabbiarti! – piagnucola lui, - Ho organizzato una cenetta qui a casa di Anis, in tuo onore, s’intende, e ormai è tutto organizzato, vi aspettiamo tutti per le sette e mezza, quindi più o meno fra altre dodici ore esatte, quando sarai stato dimesso da ventiquattro ore piene, e volevo avvertirti! Mi sembra che la scelta di tempo sia stata sufficientemente buona, tu che dici? – chiede quindi. Faccio per protestare che no, ma mi rendo conto che non sta parlando con me, perché Bushido gli risponde con una risata incredibilmente divertita, e allora io capisco.
- Bill. – lo chiamo per l’ennesima volta, atono, - Passami tuo marito.
- Ma Dadaaa. – sbuffa lui, mugolando risentito. Io non dico una parola e spero che lo sguardo disapprovante che sto lanciando alla parete bianca di fronte a me travalichi i limiti spaziotemporali che lo separano da Bill e gli appaia come in sogno. Forse questo non succede davvero, ma un paio di secondi dopo sento una risata familiare alla cornetta e so che sono stato telefonicamente introdotto di fronte al signore e padrone di tutti i popoli e specialmente di questo sparuto gruppo di persone che siamo e che non hanno ancora deciso di prendere tutti il primo aereo per i quattro angoli più distanti del globo al solo scopo di liberarci dal suo giogo oppressore.
- Bushido. – dico severamente, - È stata una tua idea?
- La cena no. – risponde lui, con tutta la sincerità di questo mondo, - Chiamarti alle sette del mattino sì.
- Ma sei un cretino o cosa?! – strillo io, agitandomi e piantando un gomito nella parete addominale di J.J., che sarà perfetto ma in fin dei conti è fatto di carne e sangue anche lui, e nel momento in cui il mio gomito si piazza fra le sue povere viscere strabuzza gli occhi, sputa un considerevole sbuffo di fiato e si piega in due, obbligandomi a rotolare fino ai piedi del materasso mentre ancora mi dimeno come un esagitato. – Ma ce l’hai un minimo di rispetto per l’altrui persona?! E, cosa ancora più importante, ma non hai proprio un cazzo da fare nella vita, tu?! Hai un ragazzo, adesso, vivaddio ti è stato restituito pressoché intatto perché palesemente anche il karma ti è asservito senza un motivo ben preciso, e tu cosa fai? Perdi il tuo tempo chiamando me, o facendomi chiamare dal suddetto ragazzo, invece di approfittare del suo giovane corpo fremente di desiderio al tuo fianco! Sei una vergogna per la tua razza, ritirerò il tuo patentino di omosessualità immediatamente, appena verrò a casa tua.
Bushido, naturalmente, ride per tutto il tempo, dalla prima all’ultima parola. J.J. striscia sul materasso rantolando e poi si alza in piedi, annunciandomi che si farà una doccia e poi andrà a lavorare, lui che un lavoro serio ce l’ha. Io mugolo “nooo, non te ne andare”, e J.J. ride, e Bushido ride pure lui, e riesco perfino a sentire la risata di Bill, un po’ più distante, perché lui è come i neonati, che quando ti vedono ridere ridono pure loro per imitazione. Siccome immagino cosa dev’essere vedere Bushido ridere mentre il suo viso è incorniciato dai suoi lunghi e morbidi capelli corvini e tutto il mondo ritrova la pace sul suono della sua voce, non fatico a credere che Bill stia ridendo come un mentecatto perfino in questo momento, ma il risultato finale è solo che tutti ridono, e ridono di me, e io li odio. Mi rannicchio ai piedi del letto e sbuffo platealmente, sono molto arrabbiato e Dio, mi sento così bene che alla fine scoppio a ridere a mia volta, nella soddisfazione di tutti, mentre dal bagno cominciano a venire i suoni tintinnanti dell’acqua lungo le pareti della doccia e Bushido schiocca un discreto bacio di trionfo sulla guancia di Bill. Sospiro profondamente. Sono felice davvero.
- Jost. – mi chiama Bushido, la sua voce è allegra ma è venata da quel pizzico di serietà che utilizza sempre quando sta per dirti qualcosa di veramente importante, perciò mi metto sull’attenti e drizzo le orecchie, per ascoltarlo al meglio. – È una cosa di cui abbiamo tutti molto bisogno. – mi dice con franchezza. Io penso a loro due, penso a quegli altri due e alla loro inaspettata quanto inopportuna entrata a pieno titolo nel mondo delle coppie omosessuali dello showbiz tedesco ed annuisco.
- D’accordo. – confermo a voce, visto che nessuno qui può vedermi, - A stasera.

Tutti noi qui abbiamo bisogno di una cena in famiglia, e ciò è molto vero. È vero soprattutto perché fino a un mese fa, non volendo considerare il ritorno di fiamma fra i gemelli, l’unica coppia che avesse ancora senso definire tale era quella composta da Tom e Cassandra, mentre tutti noialtri andavamo in giro ramenghi, privi di un amore e di uno scopo per cui valesse la pena vivere.
Ebbene tutto questo è cambiato nel giro di tre giorni quando, dopo un mese di convivenza a casa di Bushido – a mio parere inutile e paragonabile solo ad un lungo e melenso preliminare platonico – la coppia reale s’è ritrovata rifulgendo splendore e spargendo nell’aria tedesca un miliardo di minuscole particelle subatomiche cariche di energia omosessuale positiva. Tale energia ha permesso a me e J.J. di continuare a vederci anche se lui non doveva più passarmi creme cicatrizzanti sulla pancia, e non solo, ha portato alla luce anche delle tragiche vibrazioni nella forza, e queste vibrazioni nella forza hanno prodotto una relazione fra Fler e Chakuza. Per molto tempo, tutti noi abbiamo aspettato che anche Eko Fresh ci presentasse il proprio ragazzo, cosa che almeno ci avrebbe rassicurato sulla follia generale, ma ciò non è mai accaduto, per cui ci siamo dovuti arrendere al fatto che fra Fler e Chakuza non c’era proprio niente di folle, e che quindi questa gente ci doveva quantomeno delle spiegazioni.
Insomma, viene fuori che in realtà ad accostare le parole Fler, Chakuza e gay si ottengono un mucchio di ricerche correlate stile Google, di alcuni risultati delle quali Bill era perfino a conoscenza!, che portano alla luce numerosi dettagli come il fatto che in realtà Fler e Chakuza avevano già una storia un millennio di anni fa, poi s’erano lasciati, poi s’erano ripresi, e via così lasciandosi e riprendendosi a fasi alterne a seconda che Bushido fosse vivo o morto, che Bill fosse o meno disponibile e che gli astri fossero o meno allineati. Nella storia, a un certo punto, s’è inserito un ragazzino minorenne biondo di cui so poco e intendo continuare a sapere poco. Le uniche informazioni in mio possesso sono il suo nome – Daniel – la sua età e il dettaglio per cui mentre Bushido era in tour a farsi uccellare da Bill e Chakuza, lui invece era a Berlino e si occupava di Fler, rimasto solo a leccarsi le ferite, facendosi in un certo senso uccellare anche lui, ma in modo diverso.
Ora, vi lascio immaginare quale possa essere stata la reazione di Bushido a tutto questo: io e lui eravamo in pratica gli unici in qualche modo coinvolti a non sapere un beneamato piffero di tutti questi intrecci sentimentali, ma mentre per me si trattava in fondo solo di una serie di informazioni di cui prendere atto, per lui è stata una tragedia; era un uomo felice, stava vivendo una nuova primavera, e in un colpo solo scopre non solo che Chakuza gli ha manomesso entrambi i fidanzati, ma che uno dei due, mentre lui era lontano, l’ha tradito con un imberbe del ghetto. Onta e disonore. È rimasto immusonito per settimane.
In pratica, nel giro di un periodo di tempo troppo breve e palesemente insufficiente a metabolizzare il tutto come sarebbe stato giusto, ci siamo ritrovati a passare dall’essere un gruppo di persone eterogeneo con variabili di omosessualità sparsa, a diventare una cooperativa gay a tutti gli effetti, di quelle che hanno tesserini, liste elettorali e tasse d’iscrizione. Non so se rendo l’idea. Non è che ci serva una cena, ce ne servono trecento per entrare nell’ordine di idee, ed altre trecento almeno per abituarci al tutto.
Perciò, è non dico con piacere, ma con coraggioso spirito di sacrificio che mi presento a casa di Bushido all’orario convenuto, portando J.J. con me. Tra l’altro, lui è stato meraviglioso: avrebbe tranquillamente potuto dirmi che lui con questa mandria di scoppiati non ha niente a che fare, che non è nemmeno il mio medico, cosa peraltro vera, e che solo una combinazione di eventi e l’anzianità del dottor Neuer l’hanno portato a doversi prendere cura di me e poi a diventare il mio ragazzo, e che per tale motivo potevo venire qui da solo e ci saremmo visti al limite in nottata o al massimo l’indomani mattina, e invece s’è dimostrato molto disponibile, e brillando di luce propria s’è offerto di staccare prima da lavoro per passare da casa mia e venire qui insieme, invece di presentarci separatamente. Dopo questo, gli ho chiesto di sposarmi, ma lui ha riso e mi ha scompigliato i capelli come se fossi un tredicenne. Qui nessuno capisce che il mio desiderio di metter su famiglia con un Adone buono come un santo è tremendamente reale e forte.
Comunque, a cena ci sono tutti. Ci sono Tom e Cassandra, Fler e Chakuza, Eko e Kay One – non nel senso di coppia, fortunatamente, solo nel senso degli unici due uomini spaiati presenti a tavola, anche se in realtà Kay One la ragazza ce l’ha e tutti sappiamo che esiste perché è Mandy delle Monrose, ma non ce l’ha mai presentata e suppongo sia perché lei davvero con questa follia non vuole avere niente a che fare – io e J.J. e naturalmente i padroni di casa. Del minorenne del ghetto non c’è traccia, probabilmente perché Fler l’ha lasciato e lui non deve averla presa molto bene, come qualunque minorenne del ghetto o meno, e anche Karima non c’è, ha la serata libera, e questo dà a Bill l’occasione di fingersi una massaia e portare a tavola pietanze come fossero frutto del suo duro lavoro, cosa che tutti quanti sappiamo non essere vera, anche se nessuno, vedendolo così felice e soddisfatto di sé, ha cuore di farglielo notare.
La conversazione inizialmente è stagnante. Non ci ritroviamo così tutti assieme da… forse non è mai successo di ritrovarsi così tutti assieme, per dire la verità, per cui i primi minuti siamo tutti molto freddi e ingessati. Facciamo i complimenti (immeritati) a Bill per la sciorba, che nonostante non abbia neanche un pezzettino di carne in sé è pesante come un macigno, parliamo del lavoro, di quanto sia dura ultimamente per le case discografiche investire alla cieca visto il clima di recessione generale, parliamo perfino del tempo e del fatto che quest’anno abbia cominciato a fare freddo prima del solito, e poi, quando siamo qui sull’orlo della tragedia che pensiamo già con disperazione di parlare della morte del polpo Paul giusto per darci qualcos’altro da dire, Eko comincia a delirare qualcosa di sostanzialmente incomprensibile su quanto sia buffo stare a tavola tutti insieme e quanto tutto questo lo faccia sentire in una puntata di Verbotene Liebe “ma più gay, cioè, ancora più gay”, e questo fa la magia.
Non è che succeda qualcosa di particolare, semplicemente ci mettiamo tutti a ridere e sentiamo che queste risate non sono false, non suonano strane, anzi, c’è una certa chimica che le avvolge, le fa risuonare nel modo giusto in questa stanza ed alle nostre orecchie, e quando smettiamo di ridere ci guardiamo e c’è una nuova consapevolezza che ci pervade tutti. È una vocina sottile e ancora un po’ timorosa che ci spiega che adesso è troppo presto per fare passi da giganti, per dire “è già tutto a posto”, ma al contempo ci rassicura sul fatto che ci stiamo muovendo nella direzione giusta, e non sarà stasera, e probabilmente neanche durante la prossima cena che faremo, ma se continueremo di questo passo prima o poi ritornerà tutto a posto davvero, e questi fili monchi che pendono potremo riallacciarli correttamente, e i nodi saranno stretti abbastanza da non sciogliersi più.
È con questa voce carezzevole che ancora mi riecheggia nelle orecchie che, un paio d’ore più tardi, mi appresto a salutare tutti ed andare via. Una decina di minuti fa, Bill ha fatto una marea di scene, s’è stiracchiato, ha sbadigliato ampiamente almeno trenta volte e poi, con voce fintamente impastata dal sonno, ha annunciato di essere molto stanco e di volere andare a dormire. Un modo molto tenero per dirci che la rimpatriata gli era piaciuta ma ora voleva restare solo con Bushido, per cui se avessimo potuto levarci di torno senza fare grandi storie lui l’avrebbe apprezzato moltissimo.
Unanime, un coro di “sì, effettivamente s’è fatto un po’ tardi” s’è sollevato da tutti gli astanti, e questo nonostante fossero appena le dieci e mezza. Il potere della persuasione, dei cui mistici segreti Bill è sempre stato gran custode e conoscitore. Quindi Bill s’è alzato da tavola, ha salutato tutti come quei bambini che vanno a letto presto e lasciano i grandi a discutere delle loro faccende e s’è defilato al piano di sopra. Noi ci siamo lanciati tutti una serie di occhiate vagamente confuse e vagamente divertite, e poi abbiamo cominciato a defluire verso l’uscita.
Io e J.J. ci allontaniamo per primi, anche perché la sciorba comincia a fare effetto e io sento di essere pronto alla morte. Lo faccio presente a J.J. che si offre di restare con me stanotte, cosa che io apprezzo enormemente. Di ciò che segue la mia dipartita verso casa non posso parlare, perché non c’ero, ma alla luce di ciò che se ne racconterà favoleggiando nei giorni successivi, penso che passerò il resto della mia vita a rimpiangerlo. E se si tiene presente che questa cena e questa serata sono stati i punti fermi su cui abbiamo poggiato il primo mattone per la ricostruzione di ciò che eravamo… be’, è abbastanza evidente che il futuro non poteva che presentarsi come parecchio complicato già in partenza.

*


Due giorni fa, al KaDeWe, ho visto un paio di pantaloni meravigliosi, di pelle, attillati in maniera indecente, praticamente due guanti. Non è che fossi uscito di casa con l'idea di fare spese – anche perché non sono proprio in condizione di spendere più di quanto guadagno, che poi è niente visto che non abbiamo ancora un'etichetta – ma loro erano lì in vetrina che mi imploravano di comprarli e io non ho avuto cuore di passare oltre e lasciarli al loro destino. Sono costati un occhio della testa ma, visto che li ho comprati soprattutto per usarli con Anis, li considero una specie di piccolo investimento. Serviranno per riaccendere il fuoco della passione; anche se in realtà non è che si sia mai spento, anzi, tra tutte le cose possibili, forse si è addirittura propagato, dal momento che Anis non mi lascia in pace un minuto e ho sempre le sue mani addosso, molto più di quanto le avessi prima. Il fatto è che Anis si annoia in fretta, quindi se voglio che questa situazione si perpetui nei mesi a venire, devo lavorare di fantasia.
Adesso io mi infilerò questi pantaloni di pelle e magari quella maglietta che Anis finge non sia da donna solo perché lo fa impazzire il modo in cui mi esce una spalla dallo scollo a barca, e poi scenderò al piano di sotto dove lui potrà possedermi selvaggiamente sulla prima superficie disponibile, dopo avermi strappato i vestiti di dosso a morsi. Metaforicamente parlando, s'intende.
Quest'idea di vestirmi in un certo modo solo per farmi spogliare il più velocemente possibile e battere così ogni nostro precedente record di preliminari, la covo già da un po', da molto prima di comprare i pantaloni in realtà. E' che durante il giorno Karima è sempre in casa e quando arriviamo alla sera e lei finalmente si ritira nella sua cuccia in cantina – o dovunque dorma, non lo so, in una catapecchia in giardino forse – alla fine mi passa di mente e con Anis finiamo a fare sesso a letto, che è sempre una cosa meravigliosa, ma non quella che volevo fare io.
Questa è la serata perfetta per portare a termine il mio piano geniale perché è il giorno libero di Karima, il che significa che una volta salutati i nostri amici e chiusa a doppia mandata la porta d'entrata, questa casa gigantesca sarà solo mia e di Anis, con tutti i benefici del caso. Se penso che stamattina quella strega malefica voleva mandare tutto all'aria rinunciando alla sua partita settimanale di canasta con le amiche e restare qui a cucinare e servire per un reggimento quell'unica volta che nessuno le aveva chiesto di farlo, mi sale di nuovo la rabbia.
Mi sono svegliato presto, forse qualche minuto dopo le sette, e non potete capire il disappunto di scendere le scale, attraversare il corridoio, infilarsi in cucina con l'idea di mettere insieme una colazione decente per poi organizzare l'intera giornata e trovarci lei, con la sua divisa color grigio topo che rimesta dentro un paiolo gigante. Soprattutto quando mi ero addormentato la sera prima con la convinzione che non l'avrei più rivista per almeno ventiquattro ore.
Nessuno dovrebbe mai svegliarsi in questo modo, la sola presenza di quella donna disturbava l'intera estetica della villa illuminata dal sole, di Anis che ancora dormiva nudo tra le lenzuola di seta del nostro letto imperiale, ma soprattutto la mia, visto che io odio fare colazione circondato dall'olezzo di mille cipolle. Interrogata, per altro, lei ha avuto il coraggio di dirmi che qualcuno doveva pur preparare la sciorba per la cena di stasera visto che né io né tantomeno il signor Ferchichi sappiamo farlo. Ora, questo è tragicamente vero, ma ciò non significa che lei non potesse preparare questa cosa raccapricciante ieri e lasciarla in una pentola dentro al frigorifero perché noi potessimo usarla come ci pareva, e perfino buttarla se poi a guardarla ci avesse fatto ribrezzo e avessimo voluto farci una pizza.
E invece no. Lei ha risposto che la sciorba non si può preparare il giorno prima, che non può mica stare in frigo che sennò si sciupa e un sacco di altre cose che però non ho ascoltato perché mentre lei le diceva io ho prendevo la colazione mia e di Anis e tornavo in camera, dove mi sono ampiamente lamentato dell'intera faccenda.
Anis, però, queste cose non le prende mai sul serio perché trova Karima adorabile, il che non mi sorprende poi molto perché quella fa la strega soltanto con me e quando poi io lo chiamo per dimostrarglielo, lei diventa uno zucchero e fa tutto quello che le dico senza protestare. Così alla fine Anis non crede mai a quello che gli riferisco e dice che sono esagerato e che non è vero niente.
Lo ha detto anche stamattina mentre si mangiava da solo tutte le brioche che avevo portato senza lasciarmene neanche una. Ovviamente mi sono lamentato anche di quello e gli ho fatto notare che in questa casa non mi si tratta da principessa nemmeno un pochino, ma da lì in poi non ricordo bene come sia andata; so solo che Anis si è messo a ridere e mi ha spogliato di nuovo, così abbiamo finito per fare l'amore e io mi sono dimenticato tutto quello che volevo da lui, almeno fino a quando non abbiamo finito e lui ha ceduto dicendo che le avrebbe parlato.
Alla fine si sono messi d'accordo perché Karima si prendesse solo mezza giornata libera e facesse l'altra mezza domani mattina, il che mi torna ancora più comodo perché adesso lei non c'è e non ci sarà nemmeno quando domani ci sveglieremo, così se vogliamo possiamo pure addormentarci sul tappeto del salotto e lei non potrà svegliarci tirando le tende e dicendo che è tardi e dobbiamo alzarci o, ancora peggio, con la solita storia che siamo due uomini e non sta bene e il cielo ci fulminerà riducendoci in cenere.
Comunque infilarsi questi pantaloni non è facilissimo. Nel camerino del negozio ho fatto delle scene molto ridicole, saltellando per riuscire a tirarli su senza dover necessariamente chiamare qualcuno a darmi una mano e anche adesso non è che mi riesca meglio, nemmeno se mi distendo sul letto e allungo le gambe. Spero che ad Anis non venga l'idea di salire a cercarmi perché potrei dire addio all'atmosfera, e poi comunque sono ancora mezzo nudo, cosa che rovinerebbe un po' tutta l'idea dello scendere e farlo come animali su uno a caso tra i mobili del soggiorno, magari anche senza spogliarsi – anzi, di sicuro senza spogliarsi visto che una volta che sarò riuscito ad infilarmi questi pantaloni né io né Anis saremo mai in grado di togliermeli del tutto in un tempo ragionevole a mantenere una certa libido.
Ci metto quasi dieci minuti, ma alla fine i pantaloni cedono un po', e le mie gambe ci finiscono dentro alla perfezione, la pelle non fa nemmeno una piega. Quando mi guardo allo specchio, penso che mi salterei addosso da solo se non mi piacessero gli uomini più virili di me; il che mi ricorda che Bushido è al piano di sotto e mi viene da ridere all'impazienza che mi fa saltellare e mi arriccia le dita dei piedi.
Non mi sentivo così bene da non so nemmeno quando. Non ho solo voglia di stare con lui, ho proprio voglia di giocare e mi sembra giusto ricominciare a farlo stasera, dopo questa cena che ha fatto tornare le cose più o meno com'erano prima.
Altri cinque minuti per sistemare lo scollo della maglia in maniera strategica e sono pronto. Tendo l'orecchio al piano di sotto ma non sento più il chiacchiericcio degli ospiti che hanno evidentemente colto il mio velato invito a levarsi di torno e se ne sono tornati a casa loro mentre io mi cambiavo; così scendo le scale con un mezzo sorriso stampato sulle labbra e non aspetto di arrivare in fondo alla rampa, mi basta scorgere il profilo di Anis vicino alla porta per annunciargli la mia presenza. “Amore, dammi un parere, come mi stanno questi pantaloni?” La butto lì così, come se fosse una questione di poco conto e naturalmente mi aspetto una reazione entusiasta che possa dare il via ad un dialogo più o meno azzardato da concludersi nella maniera più classica, il che a ben guardare sembra l'inizio di uno di quei terribili porno di serie zeta che ogni tanto guardano tutti insieme nemmeno fossero tredicenni con una casa libera a disposizione e quindi la possibilità di masturbarsi mentre mamma non c'è.
Comunque quello che sembra non importa affatto, perché qualunque cosa fosse viene eclissato da ciò che poi effettivamente succede, ossia che la risposta entusiasta mi arriva da due voci diverse e per un attimo il tempo si ferma, la Terra smette di girare e rimane sospesa nel buio gelido dell'universo, in attesa che la forza di inerzia si esaurisca e la lasci andare alla deriva chissà dove.
Bushido mi guarda e risponde “Sei bellissimo” ma sono le note più basse della voce di Chakuza che dice la stessa identica cosa nello stesso identico istante a far calare il gelo nella stanza.
All'improvviso mi sento a disagio e penso che questa sia stata una pessima idea, o almeno lo è stata non guardare se c'era effettivamente qualcuno nella stanza insieme ad Anis.
Il silenzio pesantissimo che ci avvolge ha appena distrutto qualunque tipo di serenità avessimo raggiunto nelle ultime due ore.
Mi sento a disagio e vorrei correre di sopra a cambiarmi, o farmi inghiottire qui dove sono dalla rampa di scale, ma Peter è mortificato e Anis lo guarda così male che ho paura stia per saltargli alla gola. Così resto e provo a sistemare le cose, anche se non ho mai prevenuto un omicidio violento prima d'ora e sono quasi sicuro che mormorare “Ragazzi...” con voce incerta non sia la maniera giusta di farlo.
Nessuno si volta nella mia direzione, come se io e i miei pantaloni di pelle fossimo scomparsi subito dopo il disastro che abbiamo generato.
E' Fler che fa ripartire il tempo e la porta che sbatte, uscendo furioso da questa casa, fa girare di nuovo la Terra, che forse non andrà più alla deriva ma di certo ha un grosso problema.

*


Io stamattina non mi ero affatto svegliato con l'intenzione di essere la farfalla che sbattendo le ali in Europa provoca uragani in Cina. Innanzitutto perché mai nella mia vita ho desiderato essere una farfalla, e poi perché mi ero appena ripreso dalla fatica di riparare i danni del mio ultimo uragano e tutto volevo tranne che scatenarne altri, che fossero dall'altra parte del mondo oppure nel salotto di casa dell'uomo che meno li avrebbe apprezzati.
Quella di oggi, in realtà, si era rivelata una giornata molto piacevole e niente aveva lasciato presagire che sarebbe finita in tragedia. Fler ha dormito da me ieri sera, come la sera prima e tutte quelle precedenti – in realtà ha quasi tutta la sua roba da me quindi forse già viviamo insieme da settimane, solo che non ne abbiamo mai seriamente parlato, quindi è come se fosse ancora un ospite – così stamattina abbiamo fatto colazione insieme e poi siamo passati alla EGJ a provare qualcosa, giusto per vedere se ci riusciva ancora.
Gli uffici non sono ancora del tutto attivi ma il grande capo vuole riaprili a breve e, da quanto ho capito di quello che Fler non mi dice con le sue risposte vaghe e imbarazzate, credo che Bushido abbia in mente di far entrare anche lui a far parte della nostra grande famiglia, il che immagino porterà ad una guerra fratricida con l'Aggro Berlin durante la quale Sido e il tunisino si sfideranno a colpi di pistola per decidere chi dei due debba tenere Fler e chi invece dovrà pagare gli alimenti e potrà vederlo soltanto un fine settimana ogni quindici giorni.
Ad ogni modo, stamattina in studio non ci abbiamo trovato nessuno, perché questa crew è in realtà composta da lavativi che per più di un anno e mezzo non hanno fatto assolutamente niente e continueranno a farlo finché l'intera produzione non ricomincerà a pieno regime, ossia quando il grande capo non andrà a prenderli a casa uno per uno e li trascinerà in ufficio dove, in realtà, nessuno farà nulla lo stesso, ma l'importante è che il gruppo sia di nuovo compatto. Io e Fler ci siamo appropriati di una cabina di registrazione e mentre io gli mandavo le basi e missavo, lui ha fatto un po' di freestyle così come veniva, e non è andata affatto male.
E' strano lavorare sulla voce di Fler, perché sono abituato a sentirla e ne conosco ogni singola sfumatura ma non mi era mai capitato di metterci sopra le mani, prima d'ora. Ha una bella voce, molto simile a quella di Bushido ma più alta, e un rappato molto più pulito e lineare del suo. Me ne accorgo soltanto ora che posso lavorarci sopra perché lo avevo ascoltato solo nelle canzoni che ha fatto con l'Aggro Berlin, che sono un vero e proprio scempio; non sono stati in grado di valorizzarlo per niente, sporcando le tracce invece di semplificare le basi per dare più spazio al suo modo di cantare.
Quello su cui abbiamo lavorato stamattina è un accenno di canzone che Fler attacca ormai da una settimana quand'è sotto la doccia. All'inizio nemmeno se n'era accorto, io ero lì che mi lavavo i denti e lui cominciava a prendersela col sistema, il governo e la Berlino borghese che lascia i ragazzi liberi di ammazzarsi in strada per un etto di eroina purché lo facciano lontano dalle case per bene.
L'ho ascoltato in silenzio per giorni, cercando la base giusta da mettergli sotto, e poi quando mi è sembrato di avere qualcosa, gliel'ho proposto e lui l'ha trovata una buona idea. Il ritornello è già piuttosto chiaro, quindi dobbiamo solo limare tutto il resto e cambiare un paio di rime perché funzionano solo con lo scroscio diseguale della mia doccia dell'anteguerra a coprirne la metà, un suono che mi rifiuto di inserire, nonostante l'insistenza di Fler, visto che rovinerebbe l'idea ben precisa che ho per questa canzone. Tra le altre cose io credo che ci vorrebbe una doppia voce, ma non una come la mia, qualcosa di molto più alto e caldo; una donna, probabilmente.
Stamattina sono uscito dallo studio molto soddisfatto del risultato, anche se in realtà per il momento abbiamo solo pasticciato; potrebbe essere un'ottima idea per ridare vita a quest'etichetta, ma per metterla davvero in cantiere devo parlarne con Bushido, più che altro perché la base è mia ma la canzone è di Fler e dobbiamo capire dove realizzarla. Naturalmente potrei chiedere a Patrick di produrla con la Beatlefield, ma questo scatenerebbe le ire di Bushido.
Io avrei avanzato volentieri l'ipotesi alla cena di stasera, ma Patrick mi ha chiesto per favore di non litigarci di proposito, quindi se non l'ho fatto è stato solo per lui.
Alla fine, durante questa bella rimpatriata – che è stata una palese idea di Bushido al quale, più di ogni altra cosa, piace stare seduto a capo tavola e guardare con aria soddisfatta un numeroso gruppo di persone fingendo di avere il comando assoluto – non c'è stato modo di tirare fuori l'argomento, anche perché le spirali di follia generatesi qualche settimana fa negli occhi di Bushido alla notizia che io sto con Fler non si sono ancora spente e quindi Patrick ha fatto di tutto per non farmi aprire bocca in quel senso.
Per quanto l'illuminato sovrano mi guardasse male, comunque, aveva ben poco da protestare e difatti è stato zitto. Non credo che lo farà adesso, però, e se devo essere sincero non me la sento nemmeno di dargli torto.
Siamo io, lui, Fler e Bill congelati nell'ultimo istante trascorso da quando Bill ci ha chiesto come stava con quei pantaloni praticamente disegnati addosso e io gli ho risposto che era bellissimo.
Cazzo! E' la prima cosa che penso non appena mi rendo conto di quello che ho detto. Avete presente quando dite qualcosa e nell'attimo stesso in cui la dite già sapete che è una stronzata ma ormai non potete più fare niente per evitarlo? Io questa sensazione non la provo così spesso, perché in genere non mi accorgo che quello che sto dicendo è una stronzata, sono anzi piuttosto sicuro di non stare facendo niente di male. Stavolta, però, ci arrivo anch'io e ci arrivo subito, nel momento stesso in cui quel “Sei bellissimo” mi esce di bocca, solo che esce così naturale e sovrappensiero che quando sarebbe l'ora di rimangiarselo lui è già lì che svolazza nell'aria dove tutti possono vederlo e sentirlo.
A mia discolpa posso dire che ero appunto impegnato ad informare Bushido che io e Fler, stamattina, stavamo lavorando ad un canzone e che se voleva poteva darci un'occhiata. Il mio cervello era talmente concentrato su questo che si è dimenticato di aggiornare la data e con essa il fatto che Bill non poteva stare parlando con me, visto che a quanto pare abbiamo rotto mentre ero in Austria.
Ad ogni modo la reazione di Bushido mi è completamente indifferente, sento il suo sguardo infuocato che mi perfora il cranio ma in sostanza lo ignoro perché in questo momento l'unica cosa che davvero mi preme è arginare la rabbia di Fler, che in piedi alle mie spalle si è acceso come una torcia umana e probabilmente esploderà nel giro di qualche secondo. Non faccio in tempo a girarmi per cercare di arginare il disastro che mi sono lasciato scappare di bocca che di lui non c'è già più traccia e la porta della villa ancora vibra per la forza con cui l'ha sbattuta.
Gli corro dietro e intanto cerco di mettere insieme le parole giuste per scusarmi e spiegargli la situazione, anche se forse dovrei semplicemente scusarmi e basta perché non credo voglia sentirmi giustificare un bel niente. Si è trattato di una risposta automatica e non stavo pensando a Bill fino al momento in cui effettivamente non ho alzato lo sguardo e l'ho visto sulle scale, ma Patrick non sarà affatto disposto a sopportare anche questa dopo l'incidente al ristorante polacco.
Mi aspetto di dover chiamare un taxi perché avrà preso la macchina e se ne sarà andato, e invece lo trovo ancora in giardino che prende a calci la cancellata ricoperta di siepi. Ci mette tanta di quella violenza che ogni tanto il cespuglio di gelsomino sbuffa una nuvola di petali.
Quando si accorge che sono lì, mi guarda così male che perdo ogni speranza.
Se c'è mai stata una volta in cui ho già perso in partenza, con lui, allora è sicuramente questa.

*


Chakuza ha due problemi fondamentali.
Il primo è che è una persona inopportuna, il secondo è che non si rende conto di esserlo; e anche se lo fa il suo ritardo è così oltraggioso che non lo si può giustificare in ogni caso. E' una di quelle persone capaci di farti gli auguri ad un funerale e le condoglianze ad un matrimonio, e in entrambi i casi accorgersene quando ormai è tornato a casa e si è messo il pigiama.
Così adesso si presenta qui davanti a me e la prima cosa che riesce a dirmi è che se continuo di questo passo probabilmente finirà per non rimanere più niente di questa dannata siepe di gelsomino.
Chi se ne frega del gelsomino, cazzo. E allora si rende conto e si scusa, in ritardo naturalmente.
“Non me ne faccio niente delle tue scuse,” gli dico.
Mi chiedo se sia consapevole del motivo per cui dovrebbe essere qui in questo momento, o se ha agito secondo il buon senso di qualcun altro.
“So che sei incazzato...”
“Io non sono incazzato Chakuza, io sono furioso,” preciso.
Lui si schiarisce la gola e guarda per terra, credo forse alla ricerca degli altri sei nani nascosti nell'erba per suggerirgli quello che deve dire. “D'accordo, so che sei furioso e hai tutti i motivi per esserlo, ma posso giurarti che non mi sono reso conto di quello che stavo dicendo.”
“Questa non è una novità, Chaku. Tu non hai mai la minima idea di quello che ti esce di bocca. Se questo fosse il mio problema, fra di noi sarebbe finita molti secoli fa e io, starei sicuramente molto meglio.”
Mi viene in mente che starei con Nicole, o starei con Daniel. Sarei con qualcuno che non si sarebbe mai sognato di volgere lo sguardo adorante verso il suo ex fidanzato e dirgli che è bellissimo quando è inguainato in un paio di pantaloni che sono così attillati che tanto varrebbe fosse nudo.
“Se non è quello che ho detto, allora...”
“Allora cosa?”
“Allora qual è il problema?” mormora incerto.
Io smetto di devastare il giardino di Bushido a calci e mi fermo ad osservarlo, ma nemmeno mi stupisco che sia qui di fronte a me e non abbia la minima idea di quello che ha fatto perché io lo sapevo che era così, quindi sarei stupido anche a sorprendermi. “Non sono le cazzate che dici il problema, perché quelle sono un flusso continuo ventiquattr'ore al giorno per tutti i giorni della settimana e non c'è modo di arginarle perché sono fatte della stessa merda di cui è foderato il tuo cervello! Il problema è tutto quello che c'è dietro.”
“Ma non c'è niente dietro!” Protesta lui che non ha mai capito che nelle discussioni in cui ha palesemente torto – cioè la quasi totalità di quelle in cui finisce – lui non ha nessun diritto di protestare. Mai.
“Certo come no.”
“Pat, dico sul serio.”
Sono felice che il suo catorcio sia di nuovo dal meccanico – d'altronde l'ho ridipinta e le ho messo un nuovo portellone, ma non è che potessi trasformarla in una macchina vera – così siamo venuti con la mia auto e posso decidere che ce ne andiamo ora. Anzi, posso anche decidere di lasciarlo a piedi, così può rimanere qui a fare la corte alla sua stupida principessa. Magari se aspetta un po' riesce a prenderla al volo quando Bushido la butterà fuori dalla finestra.
Lui invece mi segue allungando il passo e alla fine lo lascio salire, perché tanto alla fine devo andare a casa sua, quindi finirei per ritrovarmelo comunque tra i piedi. “Non stavo affatto pensando a Bill,” mi dice, chiudendo la portiera e regolando la cintura del sedile del passeggero perché non gli seghi la gola. Ogni volta che chiudo la macchina, quella li riporta automaticamente all'altezza iniziale, così le poche volte che si fa scarrozzare in giro, deve sempre rimetterci mano per non venirne strangolato.
“No, tu pensavi agli unicorni rosa che attraversano correndo gli arcobaleni del tuo cervello” commento lanciandogli un'occhiata impietosita mentre metto in moto. “Ed è ad uno di essi che hai detto che era bellissimo, casualmente nello stesso istante in cui Bill scendeva le scale.”
“Stavo parlando con Bushido, è stata una risposta automatica.”
“Vuoi peggiorare la situazione?”
“No, sto solo cercando di spiegarti come sono andate le cose,” insiste. “Ero distratto, lui ha detto quella cosa e ho risposto.”
“Quello che lui ha detto è: come mi stanno questi pantaloni, amore,” gli ricordo. “E mi pare chiaro che ti senti ancora compreso nella definizione.”
“Non mi sento affatto compreso nella definizione.”
Rido. “Oh ma ti piacerebbe tanto, vero?”
Chakuza tace perché sappiano entrambi che ho ragione, quindi è meglio se non replica dicendo che ormai Bill è acqua passata perché non è vero. Se quel ragazzino si svegliasse un giorno con la voglia di prenderlo a calci nelle gengive, Chakuza lo lascerebbe fare e gli chiederebbe pure di usare la punta rinforzata. Fa tanto l'uomo furioso, e poi si scioglie non appena la principessa lo guarda un po' più del necessario. E anche Bill avrebbe bisogno di una bella strigliata, ogni tanto, perché è vero che ora non vede che Bushido, ma se si risparmiasse di abbassare lo sguardo con le guance rosse quando Chakuza è in giro, risparmierebbe a tutti un sacco di acidità di stomaco.
Tutto il resto del viaggio lo facciamo in silenzio. O meglio, lui prova a dire qualcos'altro ma tanto sono solo cazzate per cui gli dico di stare zitto e almeno stavolta mi fa la cortesia di starmi a sentire.
Come se questa serata non fosse già stata abbastanza, torniamo a casa per scoprire che il tecnico che abbiamo chiamato nemmeno una settimana fa, in realtà non ha riparato un cazzo perché la caldaia è di nuovo rotta e nell'appartamento ci saranno due gradi e mezzo. In realtà non dovrebbe fare così freddo, perché non è ancora stagione, ma visto che viviamo in un perenne stato di sfiga nera, era anche piuttosto ovvio che la caldaia andasse a rompersi nell'unico anno in cui a settembre fa freddo come se fossimo in pieno inverno. Senza contare che questa casa ha i muri così sottili che basta un soffio di vento e c'è bisogno della sciarpa anche solo per passare un paio d'ore davanti alla TV in salotto.
Proviamo ad aprire al massimo i termosifoni ma non succede niente perché il problema è in cantina, come al solito. “Vado a dare un'occhiata,” dico prendendo la torcia. “Tu intanto cerca delle coperte pesanti, perché non credo che ci sia molto da fare. E guarda nel ripostiglio, dovrebbe esserci ancora quella ridicola stufa elettrica che abbiamo usato a Capodanno.”
Vado nel locale caldaie più per non averlo sotto gli occhi che per risolvere la situazione, anche perché sono quasi sicuro che non ci sia assolutamente niente da fare. Il tecnico ha detto che si trattava di un qualche pezzo – naturalmente costosissimo – da riparare e, dopo aver emesso una fattura che al confronto le estorsioni di Arafat sono plausibili richieste di pagamento per un servizio offerto, se n'è andato fischiettando e lasciando la caldaia esattamente com'era prima. La luce in questa specie di cantina non funziona mai e non c'è da sorprendersi visto che l'unica fonte di illuminazione è una lampadina da 25W appesa ad un filo che uno dei vecchi condomini deve aver tirato trent'anni fa, alla faccia dei sistemi di sicurezza dell'impianto elettrico. E' fulminata, naturalmente. E Meno male che il quadro elettrico è saltato di recente e Chakuza ha chiamato anche l'elettricista, sennò chissà che buio.
Quando apro la porta, che ovviamente cigola, la lampadina si mette ad oscillare macabra e io vedo l'ombra muoversi sul pavimento, nel cono di luce che ho creato entrando. Sembra la scena di un film dell'orrore. Adesso scendo per queste scalette anguste e chissà che cazzo ci trovo là sotto.
Accendo la torcia ed illumino un po' intorno, come se questo potesse salvarmi nel caso qualche esperimento genetico fosse davvero sfuggito da un laboratorio qui vicino e si fosse introdotto in questo palazzo fatiscente passando attraverso le fogne.
La caldaia che corrisponde all'appartamento di Chakuza è naturalmente quella più lontana dall'entrata e incastrata in un rientro nel muro che per raggiungerla devo fare i chilometri e lasciarmene alle spalle altrettanti di buio. Questa stanza non mi era sembrata così inquietante l'ultima volta che sono stato qui, forse perché ero troppo impegnato a tenere a bada Chakuza e le sue mani.
Quando alla fine arrivo alla caldaia, scopro che era esattamente come pensavo, ossia quella se ne sta lì e mi dice che non c'è pressione e io non so cosa farci. Provo a tirargli un paio di colpi con la torcia, ma quella rimane della sua idea e non funziona. Giusto per essere sicuri controllo anche un paio delle altre e sono tutte morte come quella del Chaku, quindi direi che è un problema dell'intero palazzo.
Torno all'appartamento recando pessime notizie, e trovo Chakuza che cerca di rimettere nel ripostiglio tutto il ciarpame che dev'essere esploso fuori quando ha aperto la porta. Là dentro c'è stipata talmente tanta roba sotto pressione che è sempre un pericolo passarci davanti, perché potrebbe esplodere. Almeno ha trovato la stufa e una pila di coperte.
“Non c'è pressione,” annuncio rientrando in casa, e vedo la sua testa che si affaccia subito dal corridoio. “Ma non è la tua caldaia. Tutto l'impianto è andato.”
“Fantastico,” commenta. Lotta con il mostro di cianfrusaglie che vive nel suo ripostiglio, ma alla fine vince lui e riesce a chiudere la porta. “Almeno la stufa funziona.”
“Bene. Vuoi quella o le coperte?”
“In che senso?” Chiede puntualmente lui.
“Non ho alcuna intenzione di dormire con te,” rispondo. “Quindi prendo il divano. Stufa o coperte?”
Lui trasfigura, come ogni volta che per qualche motivo succede qualcosa del genere. Se io sono qui in questa casa, la possibilità che non passi la notte nel suo letto non è nemmeno contemplata; quando ciò avviene, occupa istantaneamente il secondo posto nella sua scala delle tragedie. Visto che rimane con la bocca aperta un tempo sufficiente a farmi credere che sia morto in piedi, decido io. “Okay, tu prendi la stufa, io tengo le coperte,” dico, recuperandone un paio e sistemandole sul divano.
Solo allora lui si libera dall'incantesimo che lo aveva trasformato in pietra e mi segue, disfacendo il letto dove io lo faccio. “No, tu non dormi sul divano.”
“Invece è esattamente quello che farò,” ribadisco.
Sistemo il cuscino e lui lo toglie. “Tu non puoi dormire sul divano,” si corregge.
“Posso eccome, Chakuza.”
“Questa è casa mia e io non voglio che tu dorma sul divano,” sbotta lui, strappandomi dalle mani una coperta e gettandola via con stizza. Mi ricorda un po' quei ragazzini che prestano il loro pallone per giocare a calcio e poi se lo riprendono non appena iniziano a perdere.
“Ho capito,” annuisco e mi giro per rimettermi il cappotto.
Lui sospira, maledicendosi a voce abbastanza alta perché lo senta perfettamente anch'io. “No, Fler! Fler, aspetta! Non era questo che volevo dire. Mi è uscita male,” mormora, mentre mi segue verso l'ingresso.
“La cosa non mi sorprende affatto.”
“Non voglio che tu dorma in salotto perché sono io che ho fatto casino, quindi al massimo è il sottoscritto che deve dormire sul divano,” dice tutto d'un fiato, prima che io riesca ad aprire la porta. “Anche se preferirei che dormissimo entrambi nel letto.”
Io rimango fermo con la mano sulla maniglia qualche minuto e poi mi giro molto lentamente. “Peter...” mormoro frustrato. Giuro che a volte mi drena.
“Ho aperto bocca a sproposito, d'accordo. Allora fammi scusare. Se dormi sul divano è l'inizio della fine. Il passo successivo sarà riprenderti lo spazzolino da denti e la tazza per la colazione. Alla fine della settimana avrai già fatto le valige e sarai tornato da tua madre.”
“Peter, stai delirando!” Esclamo sconvolto.
“E allora fammi smettere di delirare e dormi nel letto!” Protesta lui, sgranando gli occhi.
Io scoppio a ridere, perché davvero non so che cos'altro fare.
Sono qui sulla porta e sto per andarmene senza sapere nemmeno se tornerò e lui si fa quasi prendere da una crisi isterica, cominciando a parlare di spazzolini da denti. E' una situazione surreale, eppure direi che dovrei esserci abituato.
“Per favore?” Tenta lui, in ritardo, come al solito.
Sospiro e mi tolgo il cappotto per la terza volta stasera. “D'accordo, Peter, ma sia ben chiaro che il fatto che io accetti di dormire nel letto con te non significa assolutamente che ti toccherà qualcosa stasera, anche perché sono ancora incazzato.”
“Naturalmente,” annuisce lui, tutto convinto.
Dieci minuti dopo siamo distesi a fissare il soffitto e io so che lui sta cercando nella sua testa le parole da dirmi, lo so perché non parla da un sacco di tempo e non tenta nemmeno di allungare le mani, il che può significare soltanto due cose, che dorme – ma dal respiro direi di no – o è molto concentrato.
“Ti esploderà il cervello con tutto questo pensare,” dico alla fine, perché voglio sapere se posso dormire oppure se devo aspettare che mi dica qualcosa.
“Non voglio sbagliare a parlare, stavolta,” si giustifica.
Sospiro, piegando una mano dietro la testa. “Sono quasi sicuro che lo farai lo stesso ma, andiamo, provaci. Ti sto ascoltando.”
Lui prende bene fiato, prima di rispondere. “Lo so che sentirmi rispondere in quel modo non è stato piacevole, ma ti giuro che non l'ho fatto apposta e che, se potessi, tornerei indietro e me lo rimangerei. Non posso farlo, però.”
“Va' avanti.”
Fa un sospiro di quelli fatti bene, che preannunciano cose che voglio sentire anche se non mi piacciono affatto. “Ho ancora difficoltà a dimenticare Bill,” ammette infatti “questo è vero e già lo sai, ma quella risposta non aveva nessuno significato. Mi è uscita di bocca come poteva uscirmi di bocca 'ancora cinque minuti' quando mia madre mi svegliava la mattina. Non è niente.”
Io rimango in silenzio e continuo a fissare il soffitto solo ed esclusivamente per farlo preoccupare ancora un po'. In realtà la rabbia mi è passata da un pezzo, più o meno quando ha cominciato ad agitarsi come se avessi minacciato di cambiare continente, ma voglio godermi un po' questo momento in cui, miracolosamente, sono una priorità.
“Fler?”
“Hmn.”
“Mi dispiace.”
Sorrido e mentre lo faccio, lui già mi scivola addosso, segno che mi stava osservando in attesa di una reazione. Dovrei dirgli di smettere perché non se lo merita, ma me lo merito io.
Quindi lo lascio fare.

Mattine come questa sono quelle che preferisco. Quelle in cui posso prendermi il mio tempo per aprire gli occhi, stiracchiarmi, stendere le gambe nel tepore immobile delle coperte e sgranchirmi tutto, piano piano, senza fretta. Mattine piacevolmente vuote, rilassate, tranquille. Di quelle che pensi di poter sentire sotto le mani, morbide. Mattine pigre come sbadigli, in cui il pensiero di non avere niente da fare ti culla un po’, e tu lo lasci fare perché sul serio, quante volte capita di potersi svegliare dicendosi che oggi potresti stare anche tutto il giorno a letto e non sarebbe un dramma perché tanto non sei atteso da nessuna parte, non devi incontrare nessuno e non c’è nessun beat ancora da limare che ti aspetta in sala incisioni per essere perfezionato e diventare una base.
Spesso, per non dire ogni volta, proprio perché una condizione simile è molto rara, in realtà non è vera. È una bugia che la tua mente ti sta raccontando. Tu sei lì al calduccio che ti fai i fatti tuoi e progetti vite intere sotto le coperte, chiedendoti se potrà esistere un modo per collegare con un filo e un paio di tubi, o magari una catena di montaggio elementare, il tuo letto, la cucina e il cesso, per avere tutto ciò che ti serve senza doverti praticamente muovere, e la tua testa avalla questi tuoi pensieri bisbigliando “ma sì, credici pure, progetta quanto vuoi, tanto oggi non c’è niente da fare!”, quando in realtà non potrebbe esistere niente di più lontano dalla verità. Però tu in quel momento non te ne accorgi.
La cosa vale anche per me, ma naturalmente in quel momento lì, come ho detto, non ci penso. E sono molto felice.
Quando apro gli occhi, c’è luce in tutta la stanza. Chakuza non chiude quasi mai le tapparelle, ma è raro che io riesca a vedere la luce del sole invadere completamente l’ambiente, perché quando mi sveglio in genere è troppo presto per assistere ad uno spettacolo simile. Le cose da fare, appunto, ci sono sempre. Quando ti svegli ogni mattina alle sette, sia perché devi andare agli studi o sia perché non è il caso di prendertela troppo comoda, visto che non sei a casa tua, al più puoi vedere le prime luci pallidissime che rischiarano l’ambiente, quando non è inverno e quindi di tiri su ancora col buio, ma stavolta invece c’è luce ovunque, si stende in lunghe strisce oblique per tutte le pareti, prendendone la forma, seguendone le linee.
Sollevo un braccio e il sole batte contro la mia pelle. Sulla parete si forma una macchia d’ombra, la guardo, sorrido e tiro giù il braccio, lasciandolo ricadere sul materasso per ridare alle strisce di luce la loro ordinata continuità.
Chakuza, qui accanto a me, all’improvviso si mette a ridere. Non mi ero accorto che fosse sveglio.
- Che stai facendo? – mi chiede. Io scrollo le spalle ed affondo fra i cuscini, ma non rispondo. Mi limito a sorridergli. Anche stanotte mi sono fermato a dormire qui come se fosse una cosa normale. Dopo aver scopato, esausti com’eravamo ci siamo lasciati ricadere sul materasso con un grugnito di approvazione. Chakuza s’è liberato del mio braccio che, in qualche modo, gli era planato sulla faccia nel movimento, e poi s’è voltato per dormire. Stessa cosa ho fatto io. E lui non mi ha chiesto conferme – niente domande del tipo “resti?”, che fino a qualche tempo fa un sacco frequenti, fra noi, anche se naturalmente parlo di un “qualche tempo fa” lontanissimo nel tempo – ha preso la mia presenza per un dato di fatto e io in realtà gliene sono stato grato, perché talvolta ricordarsi di mantenere un certo distacco e pensare di doversi alzare in piedi e fare almeno finta di cercare i vestiti per rimetterseli addosso a ritornare a casa prima che lui mi fermi chiedendomi di rimanere è talmente fastidioso – e ridicolo – da sfiorare l’assurdo.
Ieri sera, dunque, sono rimasto, e ora mi sento vagamente in difetto. Voglio dire, so che è assurdo, so che non dovrei, e tra l’altro è davvero ridicolo che due anni fa fossi già riuscito a superarlo, questo problema che adesso sembra tornato a farsi avanti, però davvero. Non è neanche il dormire con una persona che mi scombussola, con Danny l’ho fatto continuamente per mesi – Danny, santo cielo, devo proprio smettere di pensare a Danny, anche se negli ultimi giorni ha ricominciato a farsi sentire e io non sono granché sicuro di riuscire a gestirlo come dovrei, cioè allontanandolo di nuovo – è proprio lo stare con Chakuza, stare con lui come si sta in coppia che ogni tanto mi… non lo so. Mi turba troppo. È semplicemente strano, come sono strane quelle cose buffe che sembrano non avere spiegazione, come ad esempio quei trucchi di scena con cui i maghi ti fanno credere di aver segato in due il corpo della loro procace assistenza. Tu sai che dietro c’è una spiegazione perfettamente razionale, ma per quanto ci pensi non riesci a trovarla, quindi finisci per rimanere a fissare il tutto con aria ebete, come un bambino che non ha ancora visto nulla del mondo, e per quanto stupido ti sembri accetti quella cosa impossibile come possibile pure senza spiegartela, perché tanto, ti dici, non ci arrivi, è così e basta. E per me ora è uguale, io mi sento strano, sono convinto che ci sia una spiegazione razionale dietro, ma non la capisco. Che posso farci?
Talvolta, seriamente, credo di aver solo bisogno di sentirmi dire che sono normale, che sono ancora io, lo stesso che ero a quattordici, a diciotto, a venti, a venticinque anni. La cosa non è più tanto scontata com’era un tempo.
Nel mentre continuiamo a restare in silenzio, che non è una cosa brutta, in realtà, perché non è un silenzio di quelli imbarazzati. Non è che ci guardiamo negli occhi con aria confusa chiedendoci che cosa diamine stiamo facendo in questo letto così vicini, anche perché peraltro lo sappiamo benissimo cos’è che stiamo facendo in questo letto così vicini. Io guardo un po’ fuori, e c’è un bel sole. Dagli alberi che costeggiano la strada giunge il canto degli uccellini di città – questi esserini piccoli, fragili e spenti, che cantano solo alla mattina perché per tutto il resto del tempo la loro voce sarebbe inutile, sommersa dal traffico e dai rumori dei passanti – e io penso due cose contemporaneamente. Una è che sono ancora convinto di non avere niente da fare oggi, e vorrei che questa convinzione potesse durare ancora un po’, ma non è facile che sia così se penso alle ore che passano, al traffico che ci sarà e a quello che scorre fuori da quella finestra, motivo per il quale smetto di guardarla e torno a fissare la luce sulla parete. L’altra è che, malgrado io non abbia ancora ben chiaro quasi niente della giornata di oggi, quello che invece riguarda la giornata di ieri riesco a richiamarlo alla memoria senza la minima fatica.
Decido che è il momento di parlare, e dato che sto pensando a ieri tanto vale battere il ferro finché è caldo.
- Certo che non ho mai capito cosa ci trovi tu in Bill. – butto fuori d’un fiato, ma abbastanza tranquillamente da sperare di non preoccupare Chakuza. Non è che voglia farlo sentire attaccato o che, è solo che sono profondamente convinto che uno dei motivi per cui da questa cosa non ci si muove risiede nel fatto che Chakuza non ne parla. Mai. È il suo più grande tabù, non c’è modo di scucirgli informazioni al riguardo, e io se devo dire la verità non ci ho nemmeno provato granché, voglio dire, sono masochista ma non così tanto, ma è evidente che devo risolvere questo problema, se non voglio che scene come quella di ieri continuino a ripetersi all’infinito, anche quando noi quattro cavalieri dell’Apocalisse saremo vecchi decrepiti e Chakuza, Bushido ed io staremo seduti sulle nostre sedie a dondolo nel porticato della casa al mare che palesemente divideremo, e Bill uscirà chiedendoci se sta bene con la nuova dentiera. Ecco, vorrei evitare che allora Chakuza si permettesse ancora di rispondergli che sta benissimo all’unisono con Anis, perciò rimbocchiamoci le maniche e risolviamola adesso, finché siamo ancora in tempo.
Ovviamente, Chakuza si preoccupa lo stesso, perché nominare Bill di fronte a lui è un po’ come prendere una pistola e darla in mano al primo passante capiti a tiro: magari è un tipo freddo e tranquillo e la posa senza fare danni; magari invece è uno nervoso e isterico e fa partire un colpo, però. Quando nomini Bill non sai mai se Chakuza stia abbastanza bene da tenere ferma la mano, o se comincerà a tremare e sparerà a qualcuno.
- Niente. – risponde infatti, sulla difensiva, aggrottando le sopracciglia nell’unica espressione al mondo che fa sembrare cattivi i suoi lineamenti rotondi, l’espressione brevettata dei video musicali.
Io inarco un sopracciglio.
- Ci sei andato a letto per simpatia? – gli chiedo, con una mezza risata, e non posso davvero credere che stia cercando di rifilarmi la storia del non-è-stato-davvero-così-importante. Nel senso, ok, Chaku, capisco dove vuoi arrivare, sei molto carino a preoccuparti per me e a non volermi dire cose che potenzialmente credi che sarebbero in grado di farmi male, ma… no. Cioè, c’ero anch’io mentre accadeva, ricordi? Via.
- È carino. – insiste lui, socchiudendo gli occhi e grattandosi la fronte, naturalmente sordo alle mie mute protesta, - Fine.
Sospiro. È mai possibile che con quest’uomo non ci sia mai modo di avere una conversazione normale?
- È… strambo. – dico io, - E dolce. Secondo me è tutto qui. È come avere una sorellina. Almeno per me. – preciso, perché mi pare evidente che per lui non era così, anche se ora sta cercando di fare di tutto per darmi a bere il contrario.
La mano che grattava la fronte di Chakuza si abbatte contro il suo viso e poi scende a coprirgli gli occhi, mentre lui si lascia andare ad un sospiro affranto. A Chakuza non piace granché parlare, lo so, non è bravo a spiegarsi – non sempre, almeno. Anche lui ha i suoi momenti, comunque – io, invece, mi ci diverto da morire. Mettere in difficoltà il prossimo, irritarlo anche fino a fargli perdere il lume della ragione, è sempre stato un gioco divertente. Quando sei piccolo e cresci in un ambiente come il mio, la prima cosa che capisci è che ti devi fare grosso e muscoloso, perché devi costantemente avere a che fare con tipi che saranno sempre più grossi e più muscolosi di te, motivo per il quale devi cercare quantomeno di avvicinarti al loro standard per poter pensare di uscire vivo da una rissa. In attesa di quello, però, quando sei ancora un ragazzetto pelle e ossa senza un pelo e con gli occhi troppo grandi su una faccia troppo magra, devi sopperire ciarlando, e sperando che chi ti incontra sia stupido abbastanza da permetterti di rincoglionirlo quel tanto che basta da sfuggirgli dalle mani. Se hai la velocità delle gambe dalla tua, quella della lingua può completare il quadro che può riuscire a salvarti il culo anche in situazioni disperate. Il più delle volte è stato così che mi sono salvato io, nel periodo in cui cercavo di fare di tutto per portare a termine i miei compiti da solo, senza Anis in giro, per impressionare Arafat.
Chakuza, e lo dico con tutto l’affetto del mondo, credetemi, è abbastanza scemo da concedermi svaghi di questo tipo. Dico, non vuoi parlare seriamente di Bill per esorcizzarlo? D’accordo, va bene per me, ma allora lasciati torturare.
- Ma ti senti quando parli? - si lamenta, la voce un po’ attutita dalla mano ancora pressata con forza sul volto, - Come una sorellina? Mi sento male.
E certo che ti senti male, Chaku. Questo dimostra che tu non l’hai mai visto come una sorellina, tanto per cominciare, e anche che tutti quei bei discorsi di prima sul fatto che è solo carino ed è per questo che ci sei andato a letto per una vita e mezzo non erano altro che fesserie. Ma va be’.
Resto in silenzio per un intervallo di tempo che non sembra solo enorme, lo è. Chakuza ha bisogno di riprendersi, palesemente, e io gliene dà modo, perché non mi va di troncare la conversazione. Scherziamo? Mi sono divertito e vendicato ancora troppo poco, non esiste indisporlo al punto da costringerlo ad alzarsi in piedi e fuggire lontano. Voglio rosolarlo a fuoco lento.
- E a letto com’è? – chiedo quindi dopo un po’, senza muovermi di un millimetro.
- Fler! – sbotta lui, sconvolto, girandosi impercettibilmente a guardarmi.
- Be’, che c’è? – insisto io, scrollando le spalle e mantenendo una calma apparente tale che non capisco com’è che i membri dell’Academy non fanno irruzione dalla finestra appesi a delle funi per consegnarmi un Oscar estemporaneo per meriti acquisiti sul campo, - Sono curioso! Avrà delle qualità non da tutti, se è riuscito a rincoglionirvi senza speranza tutti e due.
Chakuza non risponde. Allunga una mano ad afferrare il cuscino in più che sta in mezzo fra i nostri guanciali e se lo schiaccia sul viso con un lamento disperato. In realtà in questi momenti così io mi diverto sempre tantissimo. Era una cosa che capitava spesso quando abbiamo cominciato a vederci più spesso, intendo, dopo l’incidente del tappeto e tutto. Ho usato una quantità spaventosa di armi, contro Chakuza, non solo la lingua. E non solo nel senso di usarla per parlare. E so che questi sono i momenti in cui Chakuza è sempre un po’ sul punto di mandarmi via, perché lo spalla che, in mezzo a tutti i poteri che lui ha su di me, ce ne sia uno che solo io posso vantare su di lui, ed è quello di riuscire a metterlo in imbarazzo. Lui, un uomo che non s’imbarazza praticamente mai. Quindi sì, lo so che in questo momento, come in tanti altri, si copre il volto e sta zitto solo perché vorrebbe potermi mandare via. In realtà mi esalta che non lo faccia mai.
Rido e mi giro sullo stomaco, sistemandomi a pancia in giù sul materasso ed allungando un braccio per togliere il cuscino di mezzo.
- Allora? – insisto curioso, - Dimmi!
- Non lo so! – si lamenta lui, cercando di coprirsi di nuovo con le mani.
- Sì che lo sai! – ride ancora io, - Anzi, dal fatto che non lo dici, immagino che debba essere parecchio bravo. Questo almeno spiega la follia di ieri sera.
- Possiamo smettere di avere questa conversazione? – implora debolmente Chakuza, sull’orlo di una crisi isterica. Io rido ancora, e naturalmente non gli do retta.
- Quante volte al giorno lo facevate? – chiedo, avvicinandomi un po’ per guardarlo in viso.
- Fler… - mugola lui, arreso.
- Una? – insisto io.
- Ma non hai niente da fare, stamattina? – piagnucola Chakuza. Qualche campanello dovrebbe suonare nella testa di entrambi, in questo momento, ma non suona. Io sono ancora perfettamente immerso nell’aura di beatitudine che mi accompagna dal risveglio, peraltro, convintissimo che il mondo non avrà mai più bisogno di me e che perciò posso anche mettere radici su questo materasso per tutto il tempo che mi resta da vivere, e nessuno avrà mai di che lamentarsene.
- No. – rispondo infatti, e sto mentendo, ma ancora non lo so. Che non se ne accorga neanche Chakuza, però, è abbastanza grave. – Due? – ritorno a insistere, - Tre, magari?
Chakuza non dice nulla, si limita a sospirare.
- Tre volte al giorno?! – sbotto sconvolto, e sento aprirmisi sulle labbra un sorriso incredulo ma anche parzialmente divertito. – Wow! Devi dirmi tutto. Cioè, seriamente, mai visto Bill in quelle vesti lì. Adesso sono curioso sul serio.
- Sei una piaga, Fler! – sbotta lui, scuotendo con decisione il capo, - Che devo fare per farti stare zitto?!
Io ridacchio, sistemandomi fra le lenzuola e piantando i gomiti sul materasso.
- Non so, che ne dici di rispondere? – suggerisco, - Quando sono soddisfatto, smetto.
Lui si volta a lanciarmi un’occhiata truce.
- Giuralo. – intima freddamente.
- Ma sì, sì, giuro. – concedo io, con un breve cenno del capo. – Allora?
Chakuza si prende il proprio tempo per sospirare ancora e sistemarsi meglio contro il cuscino. Solleva la schiena ed il lenzuolo che lo copre scivola giù lungo il suo corpo, arrotolandoglisi pigramente in grembo. Seguo il movimento del tessuto forse con un po’ troppa insistenza, ma mi riprendo subito, anche perché se si accorge che lo sto fissando troverà sicuramente modo di usare il dettaglio contro di me, e allora addio tortura.
- Cos’è che vuoi sapere? – si rassegna a chiedere, già palesemente esasperato prima ancora di cominciare a parlare.
- Be’, la prima volta, tanto per cominciare. – annuisco io, incrociando le braccia sul materasso, - Com’è stato?
Chakuza mi getta addosso un’occhiata dubbiosa.
- Non ti prenderà una delle tue solite paranoie, quando ti risponderò, giusto?
Rido ancora. Chakuza, ti prego, ma sei convinto di che? Guarda che lo sto portando avanti io il gioco in questo momento. Certo che ti sfuggono certi passaggi fondamentali che io veramente, boh, non so, alle volte, guardandoti, come sia possibile che tu esista. O sia sopravvissuto a te stesso.
- Ma va’. – rispondo rassicurante, - Avanti, sono solo curioso.
Chakuza sospira ancora ed aspetta qualche altro secondo. E in quei secondi riesco a vedere una sorta di soddisfazione mal dissimulata farsi strada nei suoi occhi e poi nella piega delle sue labbra, che si fa meno tirata e severa. La naturalezza con cui quest’espressione viene fuori è tale che, anche se dovrei arrabbiarmi un po’ – un bel po’ – nonostante l’abbia rassicurato sul contrario, non riesco. Sembra tutto così innocente che davvero non mi pare il caso.
Quando Chakuza parla, subito dopo, lo fa come si stesse tirando fuori dal petto un peso insostenibile.
- È stato grandioso. – annuncia seriamente, annuendo pure, come per dare forza alla cosa.
Mi viene da ridere in modi che nessuno che non sia me può comprendere. Cioè, guardatelo, tutto serio e compito, come se stesse dando un giudizio di merito di quelli che si danno durante le gare sollevando il cartellino col numero. No, ma io seriamente con quest’uomo non ce la posso fare, la sua pazzia è tale che pure nei momenti di normalità mi surclassa. E io tanto sano non sono di certo.
Comunque, riesco a trattenere le risate ed imito la sua espressione seriosa, annuendo a mia volta.
- Grandioso in che senso? – chiedo, - È stato come con una femmina o la faccia è tutta un bluff? – ridacchio. Mi fa bene prenderlo un po’ in giro, di tanto in tanto, il ragazzino. Davanti a lui non si può, che poi gli si riempiono gli occhi di lacrimoni perché non capisce mai se stai scherzando o sei serio, ma con Chakuza che non ci capisce niente, neanche che fra le altre cose sto prendendo per il culo anche lui, è molto più semplice.
- Ma non c’entra niente con le femmine, è tutta un’altra roba. – precisa infatti, agitando la mano come a voler dissolvere quell’ipotesi assurda, totalmente dimentico del fatto che pure io lo so perfettamente bene che con le femmine non c’entra niente. Dio, quant’è facile. – Cioè, di base è lo stesso, - mi illustra. Chaku, grazie, senza di te non l’avrei mai saputo, - ma ci ho perso la testa perché non me lo aspettavo, capisci, che la pressione fosse così forte. Insomma, Bushido nudo per voglia o per forza l’abbiamo visto un po’ tutti, - aggiunge, lanciandomi un’occhiata che nella sua testa è carica di allusioni. Ah, Chaku. Ti prego. – e conoscendo le dimensioni e sapendo quanto tempo erano stati insieme non me l’aspettavo per niente.
Annuisco ancora. Io non so se seriamente si rende conto del discorso totalmente allucinante che sta facendo, ma comunque starlo a sentire è uno spasso. Peraltro mi sovviene che la sua prima volta con un maschio è stata con me, che di sicuro non avevo il traforo del Monte Bianco nel culo, perciò mi viene da pensare che, se Chakuza quella notte fosse stato lucido abbastanza da accorgersi delle cose, probabilmente da quel momento in poi avrebbe decantato il mio sedere come la cosa più meravigliosa mai concepita da qualsiasi essere umano o divino che abbia mai calcato l’orbe terracqueo. Poi naturalmente c’è da dire che, se Chakuza quella notte fosse stato lucido abbastanza da accorgersi delle cose, difficilmente mi avrebbe piegato a novanta sul tappeto del suo salotto, per cui niente. Ho avuto la prima volta, ma non mi prenderò mai i complimenti dello chef. La vita a volte è ingiusta.
- È davvero così stretto? – chiedo con entusiasmo, - Dovrò provarci, qualche volta.
Chakuza si irrigidisce tutto come un pezzo di legno, e si allontana impercettibilmente. Oh, Dio. Lui doveva essere al bagno quando la mamma distribuiva i cervelli.
- C’è altro che volevi sapere? – butta lì frettoloso, spasimando per cambiare discorso.
- Non andare in paranoia, - lo prendo in giro, - non mi avvicinerei mai alla nostra illustre principessa. – aggiungo in un ghigno, al quale lui risponde con un’occhiataccia offesa. Fra le tante regole che vigono in questa casa, oltre alla prima che è quella di non nominare il nome di Bushido invano, c’è anche quella per cui è vietato perfino accennare alla sua esistenza e alle conseguenze che ha sul mondo circostante, almeno fino a quando non è impossibile fare altrimenti. Il fatto che io possa chiamare Bill “principessa” è palesemente una di queste conseguenze e, in ogni caso, adoro non rispettare nessuna delle regole che Chakuza crede di potermi imporre. Ha. – Comunque, - riprendo, - voglio sapere quante volte l’avete fatto quella notte. E se è venuto. E come l’hai fatto venire. E se è venuto tutte le volte. – mi fermo, faccio mentalmente il conto, poi torno a guardarlo, - E quante volte sei venuto tu, anche!
Chakuza lascia andare un mugolio irritato e confuso.
- E cosa vuoi, un resoconto dattiloscritto…? – biascica, - Comunque due. – risponde alla fine, cercando di ricordare tutte le domande, - E sì. Con la mano. Ancora sì. E… due. No, - precisa poi, - tre. – ammette con un certo imbarazzo.
A questo punto, il buon dio che protegge gli sfigati mi perdonerà, non ce la faccio più: rido e mi abbatto di faccia contro il materasso, affondando il viso sul cuscino per evitare di svegliare tutto il vicinato.
- Sei venuto tre volte?! – strillo incredulo, battendo un pugno fra le coperte, - Dev’essere stato bello davvero! E bravo Chaku!
Lui risponde con un borbottio indefinito, incrociando le braccia sul petto ed affondando col collo fra le spalle, fissando dritto la parete di fronte, come esistesse solo quella. Io cerco di riprendermi, per quanto non sia semplice, e torno a mettermi dritto. Ci metto un po’, a formulare la domanda successiva, perché è un tipo di domanda che conosco molto bene: quella che in genere ci porta lungo la china scivolosa di una mezza litigata che finisce per affogare invariabilmente nello stesso identico posto – fra le lenzuola. Oppure andandocene alternativamente di casa, ma più spesso fra le lenzuola, sì.
- E… - chiedo alla fine, - è stato così bello solo con lui?
Chakuza lascia andare un sospiro la cui traduzione letterale è “lo sapevo”. E io mi rimetto a ridere. Però più piano.
- Qui ti volevo… - commenta, scuotendo lentamente il capo, - No, non lo è stato solo con lui. – ammette infine, voltandosi a guardarmi, - Tu sei tutta un’altra cosa, però. Non ci sono paragoni da fare.
Rido ancora, e so che gli ho detto di non preoccuparsi, che l’avrei presa bene e tutto, ma un po’ mi piace sentirmi rassicurare così, anche su cose così idiote. E comunque gli riesce molto meglio quando dice la verità.
- Non fare il figo, adesso… - sbuffo divertito, - E comunque non volevo sapere se sono meglio di lui o no… solo se sono bravo anche io. – mi fermo per intercettare lo sguardo incredulo e vagamente ilare di Chakuza, ma blocco sul nascere qualsiasi battuta aggrottando le sopracciglia e tornando ad incrociare le braccia. Sia mai che ora mi faccia perculare da lui dopo essermelo rigirato sul palmo della mano per l’ultima mezz’ora. – E non guardarmi così. – borbotto, - Uno poi se le chiede, certe cose, se non è un cagasotto. Puoi rispondere, voglio saperlo. Ne va del mio onore di uomo.
Chakuza ride lievemente e mi guarda, ed a me per un secondo sembra di poter vedere solo i suoi occhi, sottili e verdi da far paura. Come riesca a sconfiggermi con un’occhiata nonostante tutto quello che gli ho fatto passare stamattina, proprio non lo so. È uno dei misteri che mi tengono attaccato a lui, suppongo.
- Hai detto che non hai niente da fare stamattina, giusto? – mi chiede, apparentemente senza nessun motivo. Qui non dovrebbe squillare un campanello, ma l’intero campanile di una chiesa. Solo che non ce n’è, nelle vicinanze, per cui continuiamo a illuderci rotolandoci idealmente nella deliziosa sensazione di ozio prolungato in cui ci siamo immersi senza pensare.
- No. – ribadisco, e visto che ormai sono quasi le nove la mia menzogna è talmente enorme che potrebbe quasi fare il giro e diventare una verità, - Ma che c’entra?
Chakuza si solleva e l’attimo dopo mi è addosso, ogni centimetro di pelle perfettamente aderente alla mia, il petto forte contro la schiena, il bacino già duro di desiderio contro il sedere, le gambe a cercare spazio fra le mie.
- Ottimo. – commenta solamente, chinandosi a baciarmi la schiena, seguendo il disegno della colonna vertebrale.
Io rido – ho i brividi fin nello stomaco – e faccio per scappargli da sotto le mani.
- Sei scorretto… - biascico, cercando di afferrare il cuscino per tirarlo via e scavarmi di prepotenza una via di fuga.
Chakuza allunga le braccia a coprire le mie e mi si spinge un po’ contro, in una domanda silenziosa.
- Mh-mh. – annuisce, - Anche tu, a fare certe domande. – e mi sospira sul collo, mentre io mi mordo un labbro.
- Mmmh… - mugolo, socchiudendo controvoglia gli occhi, - È vero, lo ammetto. Però… - m’interrompo un attimo, lanciando a Chakuza un’occhiata incerta oltre la spalla, e qui non ho davvero idea di cosa volessi aggiungere, perché appunto nel momento in cui mi volto a guardarlo del tutto accidentalmente i miei occhi finiscono sulla radiosveglia poggiata sul comodino e, tutto insieme, mi rendo conto di che ore sono, di che giorno e oggi e anche del fatto che la mia mente mi ha preso per il culo fino ad ora esattamente come fino a due secondi fa stavo facendo io con Chakuza, ed anche esattamente come lui avrebbe cominciato a fare in senso meno metaforico da qui in avanti se non l’avessi fermato. – Cazzo! – sbotto, agitandomi sotto di lui, - Cazzo, cazzo, cazzo, Chakuza!
- …sì, ne ho uno che si sente molto tirato in causa, al momento. – risponde lui, inarcando un sopracciglio ma scostandomisi di dosso quando vede che non accenno a placarmi. – Ma che ti prende? – domanda incerto, steso su un fianco, mentre io scatto in piedi e comincio a cercare i miei vestiti.
- L’Ersguterjunge! – sbotto io, infilando le mutande e i calzini al volo, saltellando prima su un piede e poi sull’altro, - La presentazione! Cazzo, devo andare a firmare il contratto! Siamo già in ritardo! Cazzo, cazzo, cazzo!
La luce della consapevolezza si fa strada negli occhi ancora un po’ annebbiati di Chakuza, e il secondo dopo lo vedo alzarsi dal letto come una furia, afferrando al volo il primo paio di mutande che incontra e correndo in bagno.
- Bushido mi ammazzerà. – annuncia lapidario, pallido come un cencio.
A me scappa di nuovo da ridere, e continuo a farlo anche se penso che è vero, ma che mi sa che se perdiamo altro tempo ammazzerà con gioia entrambi.

*


Ieri notte, io e Bill siamo andati a letto presto. Dopo che Chakuza è corso dietro a Fler nel tentativo di recuperare l’irrecuperabile, lasciandomi lì sullo zerbino a chiedermi nelle mani di chi stavo lasciando uno dei pochissimi esseri umani per la cui felicità darei volentieri la vita, non è che ci rimanesse molto altro da fare. Ci siamo guardati negli occhi per un lungo, infinito istante e poi Bill è arrossito tutto all’improvviso, come se solo in quel momento si stesse rendendo conto del casino che, palesemente senza volerlo, peraltro, aveva combinato. Si è voltato repentinamente e, visto che era ancora a metà delle scale, ha cominciato a correre per tornarsene in camera, senza lasciarsi sfuggire neanche un suono. Io ho sospirato pietosamente, lanciando uno sguardo supplice al cielo stellato fuori dalla villa prima di rassegnarmi a chiudere la porta e seguirlo in camera.
- Bill? – l’ho chiamato piano, schiudendo la porta e sbirciando all’interno. L’ho trovato già senza maglietta, tutto preso ad armeggiare coi pantaloni, - Bill, è tutto ok?
Lui s’è voltato a guardarmi con un paio d’occhi che sembrava l’avessi insultato invece di chiedergli come stesse.
- Come, scusa? – mi ha chiesto, basito, strattonando i pantaloni qua e là nel palese tentativo di strapparseli di dosso.
- Ti ho chiesto se è tutto ok. – ho sospirato ancora io, entrando nella stanza e chiudendomi la porta alle spalle. Ancora una volta, lui m’ha guardato con incredulità evidente.
- Ma che domanda è?! – ha sbottato quindi, tirando i pantaloni ancora un po’ e non ottenendo neanche una piccola vittoria all’interno della grande guerra che stava conducendo contro di loro, - Dovrei chiederlo io a te!
- E invece, guarda un po’, te lo sto chiedendo io. – gli ho sorriso, sedendomi ai piedi del letto. – Vieni qui, dai. – l’ho chiamato, schiudendo appena le gambe per fargli posto, - Ti do una mano con quelli, o finirai per distruggerli.
Lui ha abbassato lo sguardo, ma s’è avvicinato comunque, restando in piedi di fronte a me.
- Non me ne frega niente. – ha borbottato con aria colpevole, mentre sfilavo il bottone dalla sua asola e lasciavo scivolare la zip verso il basso, - Meglio se si rompono. Non li voglio più mettere.
- Bill, saranno costati un patrimonio. – ho riso, tirandoli delicatamente lungo le sue cosce bianche e magre, - E oltretutto sembra che te li abbiano disegnati addosso. Ti stanno molto bene.
- Ma cosa vuoi che me ne freghi dei soldi e di come mi stanno! – ha sbottato ancora lui, appoggiandosi alle mie spalle mentre lo invitavo a sollevare una gamba e poi l’altra per sfilarglieli del tutto. – Combino solo casini anche quando voglio fare cose belle. – ha mugolato quindi, stringendo la presa attorno alla mia maglietta, - Giuro che non volevo che andasse a finire così.
Ho sollevato lo sguardo, incontrando i suoi occhi scuri e brillanti pur nella luce fioca dell’abat-jour.
- Lo so. – ho risposto annuendo, - Non sentirti in colpa.
Lui ha sollevato una mano, accarezzandomi lentamente una guancia.
- È piuttosto difficile non sentirmi in colpa con te. – ha detto quindi, mordicchiandosi l’interno di una guancia. Io ho aggrottato le sopracciglia.
- Non voglio che sia così. – ho detto severamente, e lui ha sorriso un po’, piegando appena un angolo della bocca.
- Lo sai che non puoi farci niente? – ha ribattuto con dolcezza, - Fra le tante cose che puoi fare… - ha sussurrato sfiorandomi le labbra con due dita, - e sistemare… - le sue dita si sono fermate appena sotto il mio labbro inferiore, - e riaggiustare, - ha sospirato profondamente, - la possibilità di togliermi il senso di colpa dal petto quando ti ferisco non rientra nella lista.
Ho sospirato e scosso il capo, stringendogli la vita con le mani. Lui ha poggiato le braccia sulle mie, sfiorandomi appena il collo con la punta delle dita.
- Non mi hai ferito. – l’ho rassicurato.
- Non l’ho fatto intenzionalmente, forse, - ha protestato lui, - ma—
- No. – ho scosso il capo io, - Non mi hai ferito. Bill, - ho sospirato profondamente, - durante tutto l’anno scorso, sono successe molte cose. – lui ha trattenuto il fiato, serrando le labbra, - E tante di queste cose sono state spiacevoli, per usare un eufemismo. E come lo sono state per me, lo sono state per te. Non credere – sono tornato a sollevare lo sguardo, piantando gli occhi nei suoi, - non credere neanche per un minuto che io possa mai perdere di vista questo dettaglio fondamentale. È stata dura per tutti e due. Io non sono una vittima. Non lo sei neanche tu. Abbiamo fatto un casino infernale e ne abbiamo entrambi pagato le conseguenze, ma siamo qui, adesso. E tu – ho riso un po’, inarcando un sopracciglio con presunzione, - credi davvero che, dopo l’anno scorso, un paio di pantaloni che combinano un mezzo disastro possano ferirmi? Io sono d’acciaio, piccolo. – ho detto, accogliendo sulla pelle la sua risata un po’ triste ma soprattutto sollevata quando mi si è seduto in grembo, circondandomi le spalle con le braccia, - Niente mi scalfisce.
Bill ha pianto un po’, accucciato fra le mie braccia. L’ho sentito piangere molte volte, da quando lo conosco, ma questo è stato un pianto tutto diverso rispetto agli altri pianti che s’è fatto da quando sono entrato nella sua vita, e credetemi quando vi dico che stiamo parlando di numerosi pianti. S’è trattato di un pianto dolce, sommesso, sollevato. Venato da un pizzico di felicità che mi ha stretto il cuore. Giuro che non mi sono mai sentito bene come in questo periodo, in cui io e Bill ci stiamo affrontando con onestà, sciogliendoci poco a poco, ritrovandoci poco a poco, imparando a conoscerci di nuovo, con tutte le cose che sono cambiate in noi e che inevitabilmente non potremo più riavere, ma anche con tutte quelle altre cose che invece sono rimaste uguali, o comunque molto simili, rispetto a quelle che avevamo un tempo. È come riscoprirlo da capo. Ma è sempre lui. Credevo fosse impossibile tenere fra le mani qualcosa di così antico e così nuovo allo stesso tempo, eppure Bill per me lo è.
Per cui, sì, abbracciati com’eravamo poi siamo andati a dormire, perché seriamente, fare altro per quella sera non era proprio plausibile. E poi c’era anche da pensare a stamattina, naturalmente.
Stamattina ci siamo svegliati non prestissimo, ma di buon’ora, entrambi molto emozionati. Ho una idea abbastanza precisa di quello che è successo qui fra Bill e Fler mentre io non c’ero. Ne ho un’idea abbastanza precisa non soltanto perché Bill e Fler mi hanno più o meno raccontato tutti i fatti, ma anche perché conosco entrambi a memoria ed avrei potuto dirvi con largo anticipo come avrebbero reagito e come si sarebbero comportati l’uno con l’altro nel caso si fossero conosciuti, anche senza dover sapere niente delle situazioni che li avevano spinti a incontrarsi. Non fatico per niente a capire che Bill è felice per quello che sta per avvenire esattamente quanto me. Ed infatti il suo viso sembra splendere di luce propria ora che siamo qui nel mio ufficio all’Ersguterjunge, e attendiamo.
Eko, seduto sul divanetto in fondo alla stanza, si guarda intorno con aria incerta, come se lui in quel momento c’entrasse poco. Kay riempie il mondo di entusiasmo blaterando a caso su quanto sia una figata questa decisione, e su quanto è evidente che ci stiamo vendicando proprio bene su quegli stronzi dell’Aggro Berlin, quantomeno a livello commerciale.
- Vuoi mettere – mi dice, - la quantità di dischi venduti che si porta dietro Fler, rispetto a quelli che si porta dietro Nyze? Cioè, dai, palesemente ci stiamo guadagnando noi.
Io borbotto un assenso indefinito, lanciando un’occhiata nervosa all’orologio. Fler e Chakuza, naturalmente, sono in ritardo. Potrei approfittare di questo tempo concessomi per spiegare a Kay che prendere Fler sotto contratto all’Ersguterjunge ha ben poco a che fare con la guerra fra noi e l’Aggro, e ha ben poco a che fare anche con la quantità di dischi venduti in più che porteremo a casa a fine anno. È solo che lo rivoglio con me, li rivoglio tutti con me, e non intendo lasciarmene sfuggire uno che sia uno. Fler è solo il primo passo. Sto pensando a qualcos’altro. Ma prima devo parlarne con Jost, ed è ovvio che non posso farlo finché lui sarà ancora troppo impegnato a fingersi invalido per poter trascorrere le sue giornate a letto con Schüster. Ma non ha senso parlarne ora. Verrà il tempo.
E quello a mia disposizione adesso finisce nel momento in cui Fler e Chakuza fanno il loro ingresso nel mio ufficio, scompigliati e trafelati, scusandosi con tutti a destra e a manca. È abbastanza ovvio cosa abbiano avuto di così urgente da fare per non riuscire a presentarsi qui in orario. È ovvio non soltanto nel modo in cui si comportano o nel modo in cui sono conciati, ma nel modo in cui si sfiorano casualmente, si guardano, si sorridono, si parlano.
È inevitabile, per me, essere un po’ geloso. Stranamente, nei confronti di entrambi. Ma non m’importa più quando Fler si fa avanti e sorride, brandendo una penna.
- Dove devo firmare? – chiede.
- Sì, diamoci una mossa. – borbotta Chakuza, - Abbiamo tutti di meglio da fare.
Bill si lascia sfuggire una risatina divertita. Ed io faccio lo stesso, porgendo a Fler il suo contratto ed indicandogli il punto esatto in cui deve mettere la firma.

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