I don't wanna miss a thing

di tabata
Quando tutto va storto, diceva mia madre quando ero piccolo, devi pensare alle cose belle.
All'epoca a me sembrava una cosa un po' stupida per ben due motivi: il primo era che non mi sembrava possibile pensare a qualcosa di bello se in quel momento qualcosa non andava – che fosse una sbucciatura al ginocchio o il pensiero che non avevo un padre perché quello aveva mollato mia madre incinta senza una spiegazione. Il secondo era che, per quanto forse mi avrebbe aiutato, trovavo incosciente pensare ad altro quando avevo un problema, perché non è che sarebbe sparito se non ci pensavo, il che vi dà la misura di che tipo di bambino io fossi. Uno di quelli che ragionano un sacco, e stanno anche le ore a fissare il paesaggio mentre rimuginano su ciò che gli è successo durante la giornata o nella vita in generale. Io ero così e i problemi mi piaceva risolverli quando c'erano – o almeno prenderne coscienza – e non infilarli in un cassetto pensando a quanto mi piacesse lo zucchero filato che non mangiavo quasi mai ed era buonissimo.
Poi ho imparato che in certi casi, magari non in tutti ma in certi sì, la teoria di mia madre è vera ed è anche l'unico modo per rimanere a galla quando la merda ti ha ricoperto fin sopra la punta dei capelli e tu hai una gran voglia di morirci dentro soffocato e non puoi.
Questo è uno di quei momenti. Ho appena picchiato Chakuza come non avevo mai picchiato nessuno in vita mia; e non parlo delle ferite inferte – per quello no, al confronto di certe risse in cui mi sono trovato coinvolto, a Peter non ho fatto praticamente niente – ma per la quantità e la natura delle sensazioni che ho provato mentre lo facevo. E' straniante essere consapevoli che una persona si merita i calci e i pugni che le stai tirando ma, allo stesso tempo, provare un affetto così totalizzante da spingerti a curarla dopo che hai finito. Con Bushido, se ci penso, è stata un po' la stessa cosa la notte della sua morte. Io volevo ammazzarlo, lo volevo con tutto me stesso perché era un bastardo, perché mi aveva incasinato la vita più di quanto avrebbe dovuto essergli possibile nonostante quella faccia di merda che si ritrova, eppure una parte di me non pensava che ci sarei mai riuscito o che potessi anche solo provarci. Da una parte pensavo che avrei affondato la lama così a fondo da spezzargli a metà il cuore, e dall'altra volevo soltanto abbracciarlo. Ma in quello scontro mancava qualcosa – non il sentimento, immagino – ma una certa intensità che, Dio solo sa perché, io provo solo per Chakuza. Così l'ho picchiato, e so che se lo meritava – lo sa anche lui, stavolta! – perché è un coglione e avrebbe fatto tanti meno danni se, anche per una sola volta nella sua vita, si fosse fermato un secondo a pensare con il cervello invece che con il cazzo e avesse poi agito di conseguenza. Gli bastava un secondo solo. D'altronde il pensiero coerente non è mai stato il suo punto di forza, e io non sono qui a pretendere questo da lui, ma quello che avrei voluto non era nemmeno la coerenza, quanto un minimo di istinto di sopravvivenza.
Lui Bill l'ha sempre voluto; voluto quasi come se gli fosse dovuto e questo perché, per certi versi, è sempre stato suo e non sono io che dovrei dirvelo, dal momento che sono arrivato molto dopo che si conoscessero, ma l'ho capito tempo un secondo quando li ho visti insieme la prima volta e dopo che gli altri mi hanno raccontato com'era la vita quando Bushido era vivo e a morire non ci pensava minimamente, a quanto pare. Bill è sempre stato guardato con diffidenza da tutti quanti, perché non si capiva cos'era, perché era piccolo e perché, fondamentalmente, è strano forte e bisogna un po' seguirlo per capire di cosa parla o come si sente. Avevano tutti dei problemi, tranne Chakuza; probabilmente perché il cervello di Peter naviga nell'assenza di senso, e Bill in quelle acque ci sguazza bene anche lui. Così questi due si sono trovati fin da subito. E all'inizio non si piacevano nemmeno, io posso pure immaginarlo questo, perché Bill adorava il suo tunisino come un Dio personale e Chakuza era del tutto ignaro della propria apertura sessuale, per cui il meccanismo che in genere lo porta a non capire più un cazzo quando annusa la possibilità – anche vaga – di fare sesso non era ancora scattato. Poi Bushido è morto, e l'improvvisa assenza della sua luminosità accecante ed esagerata ha permesso a Bill di vedere che dietro la statua del Dio tunisino, c'era un nano pelato un po' meno luminoso, forse, ma che aveva per lui praticamente la stessa dedizione. E da lì la scintilla: il bacio, l'allontanamento, il cercarsi ma-anche-no e tutta quella tortura a cui sono stato sottoposto, nella totale ignoranza di Bill ma nella completa consapevolezza di Chakuza. Per questo vi dico che è un coglione.
Se lui semplicemente, ad un certo punto – uno qualsiasi, cazzo! - di questa maledetta storia di gente che si lascia e si riprende, si fosse fatto un esame di coscienza e avesse constatato che la cosa che più di tutte voleva al mondo, sopra ogni cosa, era Bill – perché così è e anche una creatura di intelligenza limitata come lui lo capirebbe se solo si fermasse a pensare –, io non sarei qui appoggiato a questa stramaledetta cazzo di porta, dopo che l'ho pestato e curato, a chiudere le mani a pugno per impedirmi di riaprirla e tirarmelo dentro perché uno di noi due deve chiuderla e siccome lui non ne è capace davvero, devo farlo io.
Così chiudo gli occhi e aspetto pazientemente di sentire i suoi passi lungo le scale; ci mette una vita a muoversi, tipo minuti interi, non so cosa stia facendo ma, conoscendolo, se ne sta lì immobile a cercare di capire da che parte è girato, cosa dovrebbe fare ora e come, perché Peter è così: non capisce mai niente di cosa ci si aspetti da lui, nemmeno dopo che viene pestato a sangue e buttato fuori di casa. D'accordo, ammetto di essere stato vagamente ambiguo per i suoi standard, visto che non l'ho preso di peso e gettato nell'androne del mio palazzo – che sarebbe stato piuttosto esplicito – e dopo averlo pestato, l'ho curato – due azioni che si annullano in qualche modo a vicenda – ma viste le motivazioni che ci stavano dietro, forse dovrebbe aver afferrato la situazione; ciò non significa che lui reagisca automaticamente come farebbe ogni essere umano, ossia eclissandosi per il malessere che prova, ma probabilmente se ne sta lì e fissa il vuoto mentre nel suo cervello due ingranaggi casuali cercano invano di incastrarsi tra loro.
E sorrido perché nella testa ne ho a migliaia di immagini simili di lui che macina pensieri come se non ci fosse un domani senza cavarne niente. Non so perché, fra tutte le possibilità che ho a disposizione, mi torna in mente di quella volta che si ritrovò per le mani il volantino che ci aveva consegnato il dottorino la notte che Chakuza si è girato male e ha fatto la grande cazzata, quella che ha aperto la strada a tutte le altre. Come episodio non è neanche uno di quelli più indicativi dell'assurdità che quest'uomo può rappresentare, ma è uno di quelli più felici e forse è per questo che mi torna in mente; anche se in questo momento ho forse abbastanza motivi per ucciderlo e venire assolto da una giuria di miei pari, io voglio ricordarmi soprattutto perché ho permesso a questa persona di entrare di prepotenza nella mia vita con il suo metro e quaranta scarso e ribaltarmela.
Dunque, se ben ricordo, quel giorno ero stato a farmi un giro in città, perché avevo delle commissioni da fare e, già che c'ero, ne avevo approfittato per fare un salto a Tempelhof e cominciare a fare due chiacchiere con un paio di persone che conoscevo; per la questione di Saad, ovviamente, anche se al tempo era ancora solo la questione di Bushido. Sapevo che, ad un certo punto, avrei avuto bisogno di Chakuza – e Dio solo sa se non temevo quel momento – ma pensavo che fosse meglio coinvolgerlo nelle indagini solo quando non avrei avuto altra alternativa; cosa che poi è stato molto più tardi e abbiamo scoperto quello che io già sapevo e lui si immaginava, e cioè che avrebbe dovuto uscire da quella scuola per cuochi solo per entrare in un ristorante e lì restare per tutto il resto della sua vita.
Ad ogni modo decido che dopo aver fatto tutto ciò che ho da fare, posso presentarmi a sorpresa a casa di Chakuza perché non lo faccio mai e quindi lui non se lo aspetta per niente. Chakuza è uno incasinato a livelli improponibili a livello personale – il cervello soprattutto – ma ha una rigida organizzazione per quanto riguarda tutto il resto, ossia per le cose totalmente inutili. Del tipo che piega le magliette in un certo modo, quando entra in casa deve fare una certa sequenza di azioni e, più importante di tutti, quando vuoi vederlo o vuoi fare qualcosa con lui è meglio se ti prendi la briga di avvertirlo almeno tre o quattro giorni prima con una richiesta in carta bollata perché piombargli in casa come io sto per fare ha su di lui effetti imprevedibili. Ed è proprio per questo che lo faccio: sono di buon umore e ho voglia di rompergli le palle.
Sfortunatamente per me, lui è talmente preso dalla sua follia del giorno che non se la prende quando mi presento bello come il sole sulla porta di casa sua senza prima farmi annunciare da una telefonata. Naturalmente i suoi riflessi sono sempre i soliti per cui mi lascia lì sulla soglia come un coglione per almeno due minuti e mi fissa, con l'occhio da triglia, come se indossassi un costume da coniglio rosa o fossi completamente nudo. Per un istante spero solo che non mi stia vedendo nudo con solo qualche particolare del suddetto costume da coniglio addosso perché sarebbe molto da lui e io non voglio far parte di questa fantasia. Comunque poi salta fuori che dal ciarpame che tiene sparso per tutta quanta la casa secondo un ordine dettato dal caos primordiale dal quale anche lui dev'essere uscito in forma di ameba, è riuscito in qualche modo a recuperare questo volantino di cinquanta pagine che ci è stato consegnato come le tavole della legge sul sacro monte del pronto soccorso. Quando ciò è avvenuto io ero molto impegnato a non farmi saltare via i punti sedendomi male, per cui non ci ho fatto molto caso, ma lo riconosco immediatamente non appena glielo strappo di mano per vederlo meglio, anche perché non si può veramente scordare un volumetto con sopra un paio di tette. Lui naturalmente fa finta di non essere stato impegnato a leggerne ogni riga con grande dedizione fino al minuto prima di aprirmi la porta, anche se poi si è fatto trovare sulla soglia a leggerlo. L'incoerenza, Chaku ce l'ha. Il fatto è che si sente mortalmente in colpa – e fa bene – ma si sente anche mortalmente in imbarazzo – e questo è divertente – all'idea di doversi istruire meglio se vuole rifarlo. E lui vuole rifarlo, su questo nessuno ha dubbi, perciò non ha molta scelta. Per aumentare ulteriormente il suo desiderio di sotterrarsi per essere stato colto in flagrante a studiare per l'esame di omosessualità applicata che sicuramente darà tra poco e del quale io sarò l'esaminatore, decido che posso commentare questo vademecum per checche insieme a lui. Ci sistemiamo contro la penisola, lui dietro e io davanti, come del resto succede sempre, dal momento che Peter Pangerl è ufficialmente a favore del sesso con un uomo, purché sia lui ad infilare l'attrezzatura. Chiamalo scemo.
L'opuscolo ci informa che un uomo può essere tentato da un altro nei parchi o nelle saune – conosco persone che dopo aver letto queste pagine probabilmente vivrebbero murate vive in casa o non andrebbero mai più in palestra convinte che in tali luoghi di perdizione si annidino uomini concupiscenti pronti a rubarsi la loro verginità anale saltando fuori da ogni angolo oscuro – ma soprattutto in misteriose altre occasioni.
Noi, altra occasione; anche se dubito che gli autori di questa guida abbiano preso in considerazione uno stupro con vittima semi-consenziente – sempre che esista come figura – e stupratore semi-involontario. In quel momento, ma anche adesso, e per sempre temo, penso che la gente non mi crederebbe se gli raccontassi cos'è successo; un po' perché Chakuza che stupra qualcuno alto un metro e novanta non sembra fisicamente possibile finché effettivamente non lo fa e un po' perché, anche se fosse, magari uno pensa che qualche tempo dopo siamo finiti io in tribunale e lui in galera, non che siamo qui a fare i cretini immaginando come sarà che divorzieremo litigandoci il cane senza mai, di fatto, esserci sposati nemmeno per finta. Noi non siamo normali.
Sfogliando trovo anche due pagine di un marrone che più schifoso non lo potevano fare, nelle quali ci spiegano come indossare un preservativo, attraverso chiare e semplici illustrazioni. Lui ovviamente sa farlo, voglio dire, il sesso è anche un po' l'unico campo in cui abbia del talento per cui mi sembra il minimo che sappia le basi, ma è impagabile la faccia che fa quando gli chiedo: “Questo lo sai fare, mi auguro, avrai pure scopato nella tua vita, in generale!”
Lui si gonfia tutto come un tacchino alle fiere di paese, come se avesse raggiunto risultati mai visti e quindi riconosciuti a livello interplanetario dalla comunità scientifica internazionale. “Credo di superarti di gran lunga in quantità, Fler.” Non stento a crederlo. Un metro e venti di sesso puro, guarda.
Mi rendo conto di parlare bene e razzolare male, soprattutto se poi permetto all'ottavo nano, qui, di fare di me ciò che vuole; è che in effetti è piacevole. L'unico problema è poi arginare tutto l'egocentrismo di cui dispone e che tracima fuori da ogni orifizio visto il poco spazio in cui è contenuto, se solo si prova a dire che sì, in effetti, è capace di soddisfarti anche in maniera interessante. Per ogni complimento che gli si fa, bisogna buttarlo giù dal piedistallo due o tre volte, giusto per riequilibrare la bilancia cosmica su cui sta seduto col suo bel capoccione luccicante.
“Sei mica l'unico che abbia mai scopato, sai?” Gli faccio notare, perché è evidente che a volte si dimentica di non essere l'unico uomo sulla terra in grado di soddisfare sessualmente altri esseri umani; anche perché, a ben guardare, sarebbe alquanto agghiacciante se lui solo sull'intero pianeta custodisse il segreto dell'orgasmo. Immaginate cosa non sarebbe quest'uomo se davvero avesse questa posizione.
Innanzi tutto si creerebbe subito un culto, penso, e lui se ne starebbe tutto il giorno seduto su un trono molto alto, con il suo cappellino in testa mentre donne nude gli sventolano intorno foglie di palma. E le donne – e gli uomini – farebbero la fila fino ai suoi piedi per avere la dimostrazione pratica del suo potere. Chakuza eliminerebbe alla radice il concetto di atto di fede, elargendo i propri miracoli con atti pratici. Nessuno potrebbe mettere in dubbio la sua esistenza quando se ne andrebbe in giro con l'arnese in mano per farlo provare a tutti. La sola idea – ma anche la sola immagine – mi disturba in maniere che non so spiegare, forse perché nella mia follia per quest'uomo in scala io so che, per assurdo, sarebbe possibile. E quindi mi fa paura. “Guarda che a me mi venivano dietro a centinaia!”
Sbuffa una risata. “Non le hai nemmeno viste cento donne tutte insieme.”
“Perché tu sì?” Commento, quando fa così sarebbe da prendere a sberle. “Che tu sia uno che ha bisogno di passare metà del suo tempo a scopare, siamo tutti d’accordo. Che tu poi lo faccia davvero, è tutto un altro discorso.”
“Devo darti dimostrazione pratica?”
Io mi sistemo meglio su di lui, perché anche se fa il disinvolto, in realtà è già partito per la tangente e me ne accorgo perché contro il mio sedere ci sono sporgenze che prima non c'erano. “Lo farai fra meno di dieci minuti a giudicare da quanto sei diventato scomodo.” Nel sistemarmi guardo bene di strusciarmi come si deve, e lui fa una specie di grugnito a metà tra il sorpreso e l'infastidito; una cosa che gli esce di bocca tutte le volte che l'uccello gli si sveglia prima che le condizioni ambientali gli permettano di dargli retta. “E ricorda, una piccola scorta di preservativi – al posto giusto – è ideale, indipendentemente dal fatto che servano oggi o no."
Parlare di piccola scorta con Chakuza è riduttivo. In questa casa ci sono preservativi dappertutto e quando dico dappertutto, intendo in ogni luogo umanamente concepibile e non. E' piuttosto logico trovarli nei cassetti del comodino, naturalmente, o nell'armadietto del bagno ma lo è un po' meno trovarli dentro il pouf del salotto, nella cassettiera del corridoio ma, soprattutto, nel mobile della cucina. Tu quando entri nella cucina di qualcuno pensi che sia un luogo relativamente sicuro in quel senso: ci sono i fornelli – potresti inciamparci sopra e prendere fuoco – e c'è il temibile coltello elettrico – che io odio, mi fa paura e naturalmente il nano ce l'ha, anzi ne ha quattro, tipo, perché forse deve tagliare quintali di carne umana che ne so – e tu puoi avere paura di venir fatto a fette o cose simili, ma di certo non varchi la soglia della cucina pensando che qualcuno sia attrezzato per scoparti lì sul ripiano che sta usando per impastare la pasta della pizza. Seguitemi, non sto dicendo che non si possa scopare in cucina – uno può un po' scopare dove gli pare, ci mancherebbe – dico solo che non si può davvero essere preparati per l'evenienza spargendo preservativi nel cassetto sotto a quello dove si tengono le forchette. Andiamo! E' anche una questione pratica. Metti che viene a trovarti tua madre, per Dio, che cosa le dici? Che pratichi l'arrosto sicuro? Quest'uomo ha una sorellina piccola, e va bene che i ragazzini di adesso sono avanti anni luce rispetto a noi – rispetto a lui poi non ne parliamo – ma io non vorrei che mia sorella, cercando un cucchiaino per mangiare il gelato davanti ai cartoni animati, se ne venisse fuori con un preservativo. Lui però non si fa di questi problemi, anzi non lo vede nemmeno il problema, per lui è una questione di praticità, no?, gli servono spesso, quindi è meglio tenerli a portata di mano. E' un po' come per quelli che soffrono gravemente di asma e che quando hanno un attacco non possono superarlo senza l'inalatore e, allora, per evitare di stramazzare al suolo prima di poterlo raggiungerle, ne tengono uno in ogni stanza. Non si sa mai.
“Oh…questa è buffa,” lo fermo perché lo sento che si agita come un'anguilla, ma io non ho intenzione di darglielo fino a che non ho finito questo volumetto. “Ogni anno in Svizzera si vendono oltre 18 milioni di preservativi… Ma la Svizzera è uno sputo di terra. Devono scopare un sacco, fra le vacche e il cioccolato!”
“Beh quando intorno hai solo i monti e la neve, non hai un cazzo da fare, eh!” Commenta lui.
“Sento dell’empatia nei confronti degli svizzeri da parte tua.”
Lui tiene le mani intrecciate sul mio stomaco da quando abbiamo iniziato, che è una cosa un sacco carina; per questo quando inizia a baciarmi il collo chiudo l'opuscolo e sorrido. “Dieci minuti esatti, spacchi il minuto.”
Al che lui mi sbuffa addosso, sento proprio la nuvoletta d'aria che mi solletica il collo. “Devo fermarmi?” Chiede ridendo. E lo chiede perché sa che non ho intenzione di dirgli di sì – lo sa perché sono ben disposto e lui è molto bravo a capire la buona disposizione. Ha problemi solo quando gli dici di no, perché non concepisce che glielo si dica – altrimenti eviterebbe di chiedermelo, e andrebbe avanti.
“No,” piego il collo e ascolto il suo respiro mentre infilo una mano nei suoi pantaloni. “Vedi di fare lo Svizzero.”
“Sono Austriaco,” mi ricorda, anche con una punta di stizza. Chakuza tiene alla sua patria quasi quanto Bushido ci tiene a sottolineare che viene da Tempelhof, e non so quale dei due sia più ridicolo visto che il primo parla di uno sputo di terra che ha, sì, dato i natali ad un grande della musica classica come Mozart ma, dopo quello, è rimasta un po' lì a campare di rendita; il secondo, invece, parla di un quartiere lurido in cui la gente muore accoltellata e i ragazzini si fanno già a dodici anni come se, alla fine, fosse un bel posto in cui crescere perché ne esci fuori – se ne esci – duro e cazzuto; che, voglio dire, io adoro Tempelhof, per carità, ma non ne parlerei come il nuovo paradiso in terra dove tutti i genitori dovrebbero crescere i propri figli perché non vengano su dei pappamolla come succede quando invece uno vive in un quartiere dove nessuno spacciatore lo minaccia con un coltello a serramanico tutte le mattine all'uscita della scuola.
Mi spingo contro di lui e appoggio l'opuscolo sul tavolo, dove rimane poco perché lui mi stringe solo un istante prima di ribaltarmi sull'isola. “Ingegnati,” lo prendo in giro, lasciandolo fare mentre mi slaccia la cintura e fa praticamente tutto da solo. E' comodo, alle volte. “Li avete anche voi i monti e la neve, no?”
“Ovvio,” fa lui, tornando in fase-tacchino. “Abbiamo i monti più belli e molta più neve.”
“E poco altro, aggiungerei,” dico, agitandomi appena, tra le sue dita. Mi morde una spalla, e io mi piego indietro per ridere di lui, ma non me ne dà il tempo, ovviamente, perché mi bacia, io ci sto e perdo un attimo il filo. Tanto che quando si scosta, mi da un bacio a stampo sulle labbra e riprende a trafficare con i miei calzoni nemmeno ci volesse la laurea a toglierli, io ci metto quei due o tre secondi a capire dove mi trovo. “Gli Svizzeri, almeno, hanno la cioccolata!” Esclamo alla fine, fiero di non essere del tutto ignaro di cosa stessi dicendo.
Lui strattona la cintura e strattona anche tutto il resto, e non è contento finché non mi si pressa contro, neanche dovesse testare gli incastri. “Noi abbiamo le Palle di Mozart!” Esclama infine tronfio, e dal momento che – non so quelle di Mozart – ma io ho le sue premute contro il sedere, la cosa è molto comica.
“Questo spiega un sacco di cose,” rido, godendomelo finché è ancora lucido, prima che perda del tutto la cognizione di se stesso. Due secondi dopo, tipo. Ovviamente, se vai lì e lo scuoti ti dà retta, non è che è caduto in crisi mistica o robe simili, però ci vuole già uno scossone bello forte o un rompimento di coglioni di proporzioni notevoli – tipo il campanello che continua a squillare per minuti interi, o la suoneria di sua madre sul cellulare – per convincerlo a staccarsi da me e ad avere un qualche tipo di interazione col mondo esterno.
Così lo sento grugnire qualcosa di incomprensibile, mentre le sue mani s'infilano oltre l'elastico dei pantaloni e quello delle mutande, con la velocità che è quella del momento d'urgenza, quindi so già che se voglio dei preliminari dovrò aspettare il secondo round. Non rimango neanche particolarmente deluso perché con Chakuza è così che funziona e una volta che lo hai capito, vivi più sereno: tranne casi particolari, quando ti salta addosso la prima volta non puoi pretendere niente di vagamente tenero con lui perché mira dritto al punto e non vede nient'altro. Va alla cieca, come i pipistrelli e le talpe.
Poi dopo – perché c'è sempre un dopo, ed è un'altra cosa da imparare subito se si vuole sopravvivere – ti da tutto quello che vuoi e anche di più. Così mi sistemo meglio, pianto i piedi bene in terra e mi allungo sul tavolo. “La maglietta,” fa subito lui, che mi sta mordendo il collo e mi sta accarezzando, anche, così tira la stoffa a caso, che tipo non me la toglierebbe nemmeno per sbaglio, così.
Faccio io, che è meglio, e tocca a me mugolare quando me lo sento addosso con più chiarezza.
Peter appoggia appena le labbra sulla pelle della mia schiena, ma sento ogni singolo bacio che mi piove addosso mentre scivolo giù ancora una volta, seguendo il movimento della sua mano che dalla spalla mi accarezza il braccio fino al polso, fino a distenderlo e intrecciare le dita con le mie sul piano della cucina.
Appoggio la fronte al legno mentre i miei pantaloni cadono da qualche parte e quando li calcio me ne frego di dove siano finiti. Lui è agitato, credo perché si è preso bene, così mi molla le dita e si spoglia, ma non mi lascia. In qualche modo lo sento sempre, che sia perché mi si appoggia contro quando si toglie le scarpe, o perché mi bacia, mentre si toglie i pantaloni. E io in qualche modo mi perdo, perché è bello sapere quello che sta facendo anche se lo fa dove non posso vederlo e sono anche ad occhi chiusi.
Le sue mani calde che mi scendono lungo la schiena e fino alle natiche hanno smesso di essere un elemento estraneo in un giorno indefinito delle scorse settimane, non so inquadrare il momento ma so che è successo. Ad un certo punto mi sono reso conto che non era più strano sentire le sue dita scendere ad accarezzarmi, entrare pieno ed allargarsi per prepararmi. Mi chiedo quando ho cominciato a fidarmi di lui e capisco che è successo molto prima che questo significasse andarci a letto, anzi che siamo andati a letto – che lui non è finito in galera, soprattutto! – proprio perché mi sono fidato di lui il giorno stesso che mi sono offerto di dargli una mano a difendere il ragazzino.
Mi si appoggia addosso, spingendo le dita ancora più a fondo e, quando mi giro a cercare un bacio, lui è lì a darmelo. Penso distintamente che è una bella giornata. E ci mugoliamo addosso perché lui sa come muovere le dita e a me piace baciarlo, per cui forse potremmo rimanere così per qualche minuto in più del necessario.
Mi stupisco di come il suo corpo si adatti contro il mio, ed è una sorpresa tutte le volte, come se fosse sempre la prima, forse perché lui è talmente sgraziato e irruento nella sua vita di tutti i giorni, che quando sento la linea dritta dei suoi fianchi battere contro le mie anche e ci incastriamo senza sforzi, mi sembra impossibile. Anche quando appoggio la fronte sul tavolo e seguo la pressione della sua mano alla base della schiena che mi tiene giù mentre mi apre, mentre entra, mentre lo accolgo e sospiriamo insieme, mi sembra che tutto ciò sia così palesemente impossibile, che forse stiamo sfidando qualche legge suprema, che ne so. Il punto è che non è come quando ti capita di stare bene con una donna, perché una parte del tuo cervello pensa che la natura ti ha fatto così proprio per questo, per cui non dovresti stupirti troppo che funzioni; ma con lui, no. Con lui è un miracolo se ci riusciamo, e che sia così bello, sopratutto, perché quando si spinge – e non sento più solo la spinta, sento lui fino in fondo, che è una cosa che se mi fermo a pensarci forse mi spavento anche ma, siccome non sto già più pensando, è bella da morire – è una scossa elettrica lungo la schiena, nella pancia, fino alla punta delle dita dei piedi che mi si arricciano e ho voglia di mordere qualcosa.
Lo sento che ansima, Chakuza non parla, sono io quello che chiede. Di più, Peter, cazzo, più in fondo e lui esegue, perché quello della mia voce è l'unico canale che sente al momento.
Stringe la presa sui miei fianchi e mentre io mi spingo indietro, lui mi tira a sé, così che ogni volta che spinge, arriva più in fondo, più forte, è più bello e io potrei morire qui ed ora per quanto mi esplode il cuore, e per il fatto che ve lo racconto anche, e non dovrei.
E' una cosa nostra, cazzo, ma è bella e voi dovete saperla. Dovete saperlo voi e devo ricordarlo io mentre in piedi contro quella porta, con le mani strette e gli occhi serrati, cerco di tenere a mente che in passato io e Chakuza siamo stati bene, che c'è stato un momento – quello – in cui non eravamo solo un fottuto casino.
In quella cucina, su quel piano di legno, io volevo lui e lui voleva me in un modo che comprendeva anche Bill, forse, ma non ancora così tanto da farmi del male. Eravamo felici, cazzo. Lo eravamo, io lo so, ed è il motivo per cui non posso davvero odiarlo. Non odi la persona che ami, nemmeno quando quella viene a casa tua a dirti che tutte le speranze che avevi riposto in lei non sono bastate a farla restare.
Vedo l'opuscolo a terra, prima di gettare gli occhi al soffitto perché Chakuza ha fatto una roba che, non lo so, non so nemmeno cos'era, ma si è mosso in un modo che ha toccato cose che non pensavo di avere, “Peter, qualunque cosa sia, rifalla,” chiedo, serrando le dita sotto le sue sul tavolo.
Lui si tira fuori per rientrare e quando lo fa vedo le scintille. Non mi accorgo che mi lascia la mano, non mi accorgo nemmeno che mi accarezza tra le gambe, sono stordito. La natura ha tolto a quest'uomo molte cose, ma adesso mi è chiaro cosa gli ha lasciato. Devo ricordarmelo quando lo offendo la prossima volta.
Chakuza mi accarezza per tutta la lunghezza come se non ci fosse un domani e io sento quello, ma sento anche lui che si muove, la sua voce e il respiro caldo che mi sfiora la schiena e il collo, il tutto un po' confuso dalla beatitudine che mi avvolge come una nube.
Chiudo gli occhi e non c'è niente che non vada. La cucina, la morte di Bushido, le informazioni sul suo assassino che ancora non mi è riuscito di trovare, tutto sparisce nel movimento delle spinte di Chakuza, nel rumore di noi due che cerchiamo di non fare l'uno più rumore dell'altro perché fare sesso sì, ma urlare anche no. Gli vengo fra le dita e mi perdo l'attimo in cui viene lui. Ora che ci penso, un po' mi dispiace non avere memoria di quell'istante. So che mi piacerebbe averla.
Quando apro gli occhi sono di fronte alla mia porta e dall'altra parte non sento più niente. Mi sono perso anche il momento in cui se n'è andato; forse è un bene, forse davvero l'avrei fermato e non posso permettermelo. Mi passo una mano sugli occhi e rimango lì ancora un po', immobile perché sento l'eco di noi due che ridiamo accasciati sull'isola della cucina in casa di Chakuza dandoci dei cretini per essere in piedi, ansimanti e svestiti in mezzo alle patate e ai pomodori.
L'unica cosa che mi consola, e forse è per questo che alla fine non piango, che alla fine stringo ancora il pugno e a quel pensiero felice mi aggrappo come se ne andasse della mia vita, è che se non ha funzionato, non dipende da me. Forse non dipende nemmeno da lui, però, perché s'è solo innamorato e io lo sapevo già da prima che era un gran coglione e che due cose insieme, la sua testa, non le avrebbe sapute gestire. Ho provato lo stesso, però – perché se non provi non puoi mai sapere – e questo è quello che mi resta.
Un ricordo felice.

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