Gorgeous Waves Of Sorrow

di lisachan
Allora, la cosa è andata così: stavo cercando di scrollarmi di dosso Chakuza, quando prende e mi squilla il cellulare. Il mio cellulare non squilla quasi mai perché tutti sanno che odio usarlo per parlare. Preferisco che mi si mandi un messaggio in cui mi si dice “fatti trovare lì alla tale ora”, ed io eseguo. Ma stare lì a discutere mi scazza a livelli profondi, perciò non mi chiama mai nessuno, con l’eccezione di mia madre per ovvi motivi e di Chakuza, che però, al più, mi dice “mbe’?” quando non sono già a casa sua per le nove massimo.
Comunque mi squilla il cellulare ed io sono schiacciato fra Chakuza e il suo armadio, perché la cosa è cominciata con lui che mi dice “okay, devo fare il cambio stagione, dammi una mano”. Ora, era palesemente una scusa, perché Chakuza ha un solo armadio e ci tiene dentro tutto, dalle maglie alle felpe ai jeans ai numeri di playboy, quindi cambio stagione il cazzo. Però io sul momento non ci ho pensato, il cambio stagione è una cosa normale, in fondo. Gli ho detto solo “ma a Natale?”, e lui ha risposto “non è ancora Natale”, ed era vero, in effetti, perciò amen.
Quindi, in sostanza, io qui ho lo spigolo dell’anta che mi pressa proprio nel centro della schiena e Chakuza tutto pressato addosso davanti, e palesemente sento squillare il cellulare per miracolo, perché fra il dolore e tutto il resto non è mica semplice. Comunque lo sento, e infilo una mano in tasca a dispetto delle dita di Chakuza che mi si stringono immediatamente attorno al polso, nel vano tentativo di fermarmi.
Peraltro, la scena è ridicola perché io sono qui che mi rifiuto di baciarlo da almeno mezz’ora, eh. Cioè, io l’ho baciato lì, nel canale, a Tempelhof, e dopo non l’ho più fatto e non intendo riprendere adesso. Contando poi il fatto che Sido mi ha chiesto se mi va di accompagnarlo in tour quando partirà, l’anno prossimo, e che quindi ho una possibilità effettiva di andarmene in modo che sembri normale, non intendo ricadere in qualche brutta abitudine.
Quindi niente, lui ha provato un po’ a baciarmi, ma visto che io continuavo a girarmi e dire “no”, “piantala” e via discorrendo, a un certo punto s’è arreso ed è passato al piano B, che generalmente è prendermi per sfinimento. Prendermi per sfinimento vuol dire infilarmi una mano nei pantaloni e posare le labbra… ovunque, tipo. Come ci riesca è un mistero, fatto sta che ci riesce, lo sento ovunque quando fa così, ed è un dramma, sul serio, continuare a dire no in queste condizioni. Lui lo sa, peraltro, certe volte lo vedo uscirsene con certi ghigni che mi viene voglia di dargli uno scappellotto e fargli volare il cappellino borbottando “abbassa un po’ la cresta”. Non lo faccio perché in genere ha ragione a ghignare, io cedo.
Stavolta, però, squilla il benedetto cellulare, e malgrado i suoi sforzi io riesco a recuperarlo e tirarlo su all’altezza del viso, per vedere almeno chi è.
Il display recita “numero privato”. Io non rispondo mai ai numeri privati. Se già non ho voglia di parlare con amici e parenti, figurati se ho voglia di stare a sentire un Cristo qualsiasi che chissà da chi ha avuto il mio numero e si sente in vena di dirmi roba, chiedermi favori o sa Dio solo cos’altro. Non esiste. Quindi no, in genere non rispondo. Stavolta, però, ho decisamente bisogno di una scusa per scrollarmi di dosso Chakuza, anche perché quella mano là sotto mi sta facendo impazzire e lui si sta strusciando da abbastanza tempo per essere già abbondantemente perso, quindi se qui non prendo in mano la situazione – possibilmente senza che questo mi porti a prendere in mano lui – finisce male.
Insomma, poggio il pollice sul tasto verde e Chakuza mi solleva addosso un’occhiata stile “ma fai sul serio?” cui rispondo spintonandolo malamente lontano da me. Solo che ha la mano incastrata nei miei jeans, quindi si allontana tipo trenta centimetri e poi il braccio lo tira e me lo ritrovo di nuovo schiacciato contro, mi dà pure un colpetto involontario sulla pancia, al che io faccio un verso tipo “ahuff” e lui ride. Gli do un pugno nel mezzo del petto e lui continua a ridere, massaggiandosi il punto dolorante, ed io approfitto dell’ilarità momentanea per rispondere.
Quello che sento dopo aver detto “pronto?” mi turba un po’. Non per altro: a parte mia madre, non mi chiama una donna da… be’, mesi, tipo. Perciò boh, mi fa un effetto strano sentire questa voce calma e gentile dall’altro lato della cornetta. Tant’è che faccio una smorfia allucinata e Chakuza mi guarda, inarcando interrogativo le sopracciglia. Io sollevo due dita per dirgli di far silenzio, mentre quella, dal telefono, mi fa “parlo col signor Losensky?”. Una donna che mi chiama Losensky è, tipo, una cosa mai sentita prima dai tempi della scuola. Ma sul serio. Ci resto un po’.
- Sì, sono io. – rispondo quando riesco a raccogliere abbastanza lucidità, - Scusi, con chi parlo?
- Sono Greta… - risponde lei. Faccio l’elenco delle groupie del mio periodo di gloria, tristemente defunto quattro o cinque mesi fa. Non mi pare di ricordare nessuna Greta. Non mi pare neanche di aver chiesto nomi, in realtà. Mah. – El-Haddad. – aggiunge lei. Vuoto. “Pure araba”, mi dico, e dico anche “ma che cazzo, quand’è che smetterà di rompere le palle la fottuta Africa?”, e mentre lo penso borbotto questo dannato cognome a mezza voce, giusto per vedere se facendolo mi torna in mente qualcosa, ed ho la malaugurata idea di sollevare gli occhi su Chakuza. E lo trovo che mi fissa congelato, pallido come un cencio.
El-Haddad. Ok. Saad.
Non so bene cosa dirle. Lei resta in silenzio.
- Buonasera. – butto lì, un po’ confuso. Mai vissuta una situazione simile. E di situazioni particolari posso vantarne un casino, io. – Posso fare qualcosa per lei?
- Sì, può… - comincia lei, vagamente incerta, - può darmi del tu e chiamarmi Greta, per cominciare, e poi… - si ferma ancora, e resta di nuovo in silenzio.
Io deglutisco.
- Sì? – la incito. Non posso davvero stare avendo questa conversazione con questa donna. E in tutto questo Chakuza continua a fissarmi come se fossi un unicorno sputafuoco apparso improvvisamente nel centro della sua stanza al posto dell’uomo che stava limonando o provando a limonare fino a pochi secondi prima. Giuro che se non la pianta lo prendo a cazzotti.
Lei si schiarisce un po’ la voce.
- Avrei bisogno di parlarti, Patrick.
Patrick. Cioè, parliamone. Io sono Patrick per mia madre, per Bill quando è in vena di tenerezze, per Chakuza quando è in vena di scazzi o quando faccio qualcosa di particolarmente fantasioso in un momento in cui non se la aspetta e per Sido quando è in vena di paternali – e neanche sempre. Patrick mi chiama, lei. C’è da andarci fuori di testa, davvero. Io ero lì mentre il suo uomo veniva ammazzato, Cristo santo.
- Sì. – rispondo a mezza voce, - Naturalmente. – anche se sto pensando “naturalmente il cazzo”. – Dove?
Lei sembra stupita. Resta in silenzio ancora un po’.
- Verrai? – chiede, incredula.
- Eh. – annuisco io, grattandomi la nuca, - Sì, se mi dici dove.
Lei mi fa il nome di un locale che solo a sentirlo mi vengono i brividi. So dov’è, è un posto sciccosissimo appena fuori città, una specie di enorme sala da tè riadattata a locale di lusso. Classico posto da tavolini tondi e piccoli con ampie tovaglie rosse drappeggiate che strisciano sulla moquette nera immacolata che copre il pavimento.
- Ci metterò un po’, non è esattamene dietro l’angolo. – le faccio presente, e lei mi rassicura: non ha fretta, non c’è problema.
- E potresti… hai qualche possibilità di portare con te anche Peter?
Guardo fisso davanti a me, Chakuza mi sta ancora lanciando occhiate terrorizzate.
- Sì, lo chiamo. – annuisco. – A fra poco.
Interrompe la chiamata prima che possa dire o anche solo pensare qualsiasi altra cosa.
Chakuza deglutisce.
- Era… - comincia, ed io lo fermo.
- Sì. – rispondo sbrigativamente, - Coraggio, datti una mossa, abbiamo un mucchio di strada da fare. – lui mi fissa allucinato ancora per un po’, gli occhi verdi enormi nella penombra della stanza, ed io lo squadro supponente dall’alto in basso. – Sì, ma devi cambiarti, non puoi mica-
- Fler! – mi ferma lui, esasperato, sistemandosi il cappellino sulla testa dopo aver finalmente rimosso le mani da dove ha continuato a tenerle per tutto il tempo della telefonata, - Ma di che cazzo stai parlando?!
- Prima di tutto, Cristo santo, vai a lavarti le mani prima di toccarti in giro! – sbotto io, tirandogli via la mano dal cappellino e trascinandolo in bagno, - E che cazzo, mi stavi facendo una sega fino a due secondi fa!
- A proposito-
- Concentrazione, Chaku, dobbiamo uscire. – borbotto aprendo il rubinetto e lavandogli le mani. Col sapone e tutto. Dio mio, che cosa sto facendo? Io dovrei essere a casa mia a dormire.
- Quando tu mi chiedi di uscire è sempre l’inizio di un guaio enorme. – risponde lui, occhi bassi e voce cupa, mentre si lascia maneggiare neanche avessi due anni. Questo è il modo in cui Chakuza mi dice che non ha proprio alcuna voglia di fare qualsiasi cosa sia quella che vorrei chiedergli. Diventa svogliato e insopportabile. Sono momenti tremendi, sono i momenti in cui la mia voglia di massacrarlo di legnate raggiunge i suoi picchi storici.
- Chaku, ti prego, non cominciare. Greta mi ha chiesto di vederci, ha bisogno di parlare con noi. Ci sei, fino a qui?
Lui annuisce controvoglia.
- Vieni, sì?
Annuisce ancora.
- Chaku?
- Mhn?
- Non mi costringere a fare qualcosa di cui poi dovrei pentirmi, d’accordo?
Lui grugnisce e si allontana da me, asciugandosi le mani con un panno.
- Prendermi a cazzotti, strillare che non vuoi più vedermi, buttarmi una secchiata d’acqua in testa…?
- Baciarti perché so che dopo mi ascolti. – rispondo, afferrandolo per una spalla e rivoltandolo, inchiodandolo contro la parete e guardandolo fisso negli occhi. – Devo proprio?
Lui mi guarda con tanto d’occhi e a me viene un po’ da ridere. Credo che Chaku abbia di me un’idea incredibilmente distorta. Come faccio ora a spiegargli che inseguivo con la spranga i debitori insolventi, in quel di Tempelhof, nel fiore dei miei sedici anni?
- …ti sto ascoltando. – mi rassicura lui, annuendo lentamente.
- Bene. – annuisco io a mia volta, - Dicevo che era la cazzo di moglie di Saad. Che ci ha chiesto un cazzo di appuntamento. A me e te. Non potevo dirle di no.
- Certo, le abbiamo solo ucciso il marito, in fondo. – risponde lui a muso duro. Io roteo gli occhi e lo lascio andare, rubandogli il panno dalle mani per asciugarmi.
- Appunto, Chakuza. – ritorco, rimettendo l’asciugamano al proprio posto. – Quindi muovi il culo. Ce l’hai un completo elegante?
Lui riprende a guardarmi con aria sconvolta e io sospiro di nuovo. Visto che io e Chakuza abbiamo un buon feeling, ogni tanto dimentico che lui non è nella mia testa e non segue perfettamente la linea dei miei pensieri. Che non è com’era con Anis, ecco, perché con lui davvero bastava mezza parola, a volte, e si capiva esattamente dov’è che si voleva andare a parare. Senza sprechi inutili, anche solo con gli sguardi. Con Chaku non posso fare così, lo dimentico spesso, ma non dovrei.
- Greta mi ha chiesto di raggiungerla in un locale molto elegante. Se ci presentiamo conciati così, - e gesticolo, indicando i nostri abiti scomposti da svacco casalingo, - neanche ci fanno entrare, figurarsi metterci a sedere con una signora.
Lui annuisce.
- Capisco. – biascica, - Però non credo di avere niente di adatto.
Faccio mente locale, cercando di riportare alla memoria i vestiti di Chakuza, ma oltre alle felpe, alle magliette e ai jeans di cui sopra ci sono davvero solo le riviste sconce, in quell’armadio, perciò poco da fare.
- Okay, senti. – sospiro, - Andiamo da me.
Lui mi solleva addosso uno sguardo incuriosito.
- A casa tua?
- Sì. – annuisco, - Vediamo se posso darti qualcosa io.
- Tu hai dei completi?
Dio mio, quanto lo odio quando fa così.
- Sì, Chaku. Non è che siccome Eko Fresh ha deciso che sono un pezzente, allora lo sono davvero.
Riusciamo ad uscire da quell’appartamento dieci minuti dopo, e quando arriviamo a casa mia ne sono passati altri dieci ed io comincio a darmi mentalmente dell’idiota per aver accettato e non aver chiesto a Greta di andare da qualche altra parte. È una situazione complicata: so che ora vuole parlarci, ma non so se sarà di questo stesso avviso fra una o due ore, e più tempo le diamo per riflettere maggiori sono le possibilità che cambi idea. Questa, vista la situazione contingente, è un’eventualità che non posso ammettere.
Soprattutto perché la scomparsa di Saad non è ancora stata denunciata. C’è questo “forse” enorme che pende su tutte le nostre teste, su quella di Chakuza, su quella di Bill, sulla mia, ed è veramente pesante. Se posso risolverla andando a parlare con la vedova, allora devo farlo, e devo farlo subito.
Casa mi accoglie come al solito – che poi è il motivo principale per cui evito di tornarci, la maggior parte delle volte. Non è che sia disordinata o sporca, non ha veramente modo di disordinarsi o sporcarsi. È solo desolatamente vuota. Non sono abituato a vivere da solo. Io e Bushido abbiamo diviso una topaia fino a che lui non ha cominciato a fare i soldi. E da quel momento in poi, cioè, da quando lui si è allontanato in poi, praticamente, ricordo di aver dormito più spesso da Sido che non in qualsiasi altro luogo, alberghi compresi quando si andava in tour.
L’appartamento è vuoto, freddo e buio. C’è ancora il letto sfatto dell’ultima volta che ho dormito qui – non ricordo nemmeno a quando risalga – lo intravedo dalla porta della camera semiaperta. C’è polvere ovunque. Non tantissima, ma è uno strato ben visibile. Chakuza si guarda intorno e deglutisce.
- È spettrale, questo posto. – commenta lanciando occhiate incerte al piccolo divano ed al tavolino che compongono, in sostanza, l’arredamento totale del soggiorno.
Scrollo le spalle.
- Vieni. – biascico, guidandolo verso la camera da letto, - Comincia a spogliarti. Qualcosa per te dovrò pure averla. – ed entrando in camera sfilo velocemente la felpa e la maglietta, dirigendomi deciso verso l’armadio e prendendo a rovistare fra gli abiti. Certe cose non le ho nemmeno mai messe. Doreen, la moglie di Sido, è una donna molto buona e gentile, ed ogni volta che esce a far shopping per la bambina – cosa che accade con cadenza regolare di una volta a settimana – prende sempre qualcosa anche per me. A volte, dal modo in cui mi hanno palesemente adottato in quella famiglia, non sembra nemmeno che Sido sia più grande di me di soli due anni.
Nel mentre, Chakuza mi fissa come se non avesse ancora capito un cazzo di ciò che sta succedendo. So che non è così perché so che non è stupido, perciò suppongo si tratti del fatto che adesso sono seminudo e mi sto sbracciando e tendendo per cercare qualcosa che gli stia.
Sospiro.
- Chaku, piantala di guardarmi a quel modo.
Stranamente, non comincia a lamentarsi come fa quasi sempre in questi casi. Questa è la conferma che ha capito perfettamente il casino in cui ci troviamo, e la cosa mi rassicura parecchio. Lo vedo annuire e cominciare a spogliarsi, mentre riesco a recuperare nel fondo dell’armadio un abito che non indosso da secoli e le cui maniche spero riesca a compensare con quelle spalle enormi che si ritrova. Quanto ai pantaloni, al limite gli faccio un paio di svolte verso l’interno.
Gli tiro il tutto e lo prendo in faccia mentre sbottona i jeans.
- Fanculo. – sbotta, ma ha praticamente il valore di un “okay”, quindi non perdo neanche tempo a rispondergli a tono e sfilo i pantaloni, recuperando il completo nero lucido che è stato l’ultimo regalo di Doreen in ordine di tempo, ed una camicia scura.
Posiamo entrambi la roba sul letto e già un secondo dopo i vestiti son tutti mischiati. Nel tirare su i pantaloni, Chakuza ha spedito la camicia che dovrebbe mettere fra le mie cose, ed io nel tirare su i miei ho mandato all’aria la giacca, che ora copre quasi per intero la sua roba. Perciò finiamo per vestirci a pezzi passandoci vicendevolmente la roba. Che è pure una cosa divertente, infatti ridiamo. Ed almeno ho la scusa del divertimento che si trascina, quando vedo che il mio abito gli cade addosso in maniera ridicola, e posso ridere senza offenderlo troppo, anche se immagino che lui capisca il motivo della mia ilarità.
Lo sento sospirare e lo osservo scuotere un po’ il capo, rassegnato.
- Quanto sono ridicolo, da uno a dieci? – borbotta.
- Be’, dai… - cerco di rassicurarlo, ridendo ancora, - Non sei poi così assurdo. Ti si potrebbe anche dare una botta, volendo.
Mi tira un calcio sul ginocchio che mi costringe a saltellare su un piede per un minuto buono, mentre continuo a ridere tranquillamente.
- Certo che sei stronzo forte, tu. – sbotta, riallacciando le scarpe da tennis. Quelle erano e quelle restano, peraltro, anche a me pesa il culo a cambiare le scarpe.
Quando ci rimettiamo in piedi, lui mi guarda un po’ con aria compiaciuta.
- …stai bene. – annuisce alla fine, come fosse una gran concessione. In realtà la concessione non è il complimento, è l’occhiata che mi lancia, che già da sola basterebbe a farmi capire a cosa sta pensando, anche se non fosse ulteriormente precisato dalla sua lingua che si muove lentamente a inumidirgli le labbra.
- Sono uno schianto. – preciso inarcando un sopracciglio. – Sto sempre bene, vestito elegante.
- E te la tiri come una fottuta primadonna, anche. – grugnisce per tutta risposta, scazzottandomi contro una spalla.
Ridiamo ancora un po’ e sono abbastanza contento della piega che ha preso la situazione. Intendiamoci: so perfettamente che, quando saremo a due passi da Greta, Chakuza comincerà a sclerare. Com’era prevedibile, non ha mai preso bene quello che è successo quella notte, ed ha continuato a vivere in uno stato di angoscia perenne per tutto questo tempo fino ad ora, mentre aspettavamo un segno. Non posso dire di capire davvero questo suo atteggiamento, perché io sono disabituato all’ansia. Non so più com’è essere agitati per qualcosa. Però suppongo sia una cosa abbastanza normale, che poi è il motivo per cui non me la prendo davvero con lui quando mi fissa con occhi confusi come ha fatto per quasi tutta questa sera.
Quindi, insomma, so che non sarà facile gestirlo quando saremo lì. Però se riesce a mantenersi almeno un po’ calmo è già un enorme passo avanti, e non può che semplificarmi le cose.
Quando arriviamo al locale, Chakuza fissa l’ingresso con la solita aria da poveraccio sperduto. Ma io dico, perché Eko Fresh ha deciso arbitrariamente che il pezzente fra i due sono io, se poi è ovvio che è Chakuza quello che certe cose non le ha viste mai in tutta la propria esistenza?
Io qui ci sono stato con Sido e famiglia un’abbondanza di volte, perciò sono abbastanza a mio agio mentre entro ed osservo il cameriere travestito da pinguino – che si muove così elegantemente da volteggiare quasi a qualche centimetro dal pavimento – avvicinarsi a noi e chiederci se abbiamo prenotato.
Dico che siamo attesi dalla signora El-Haddad e lui annuisce compitamente, facendoci strada verso l’interno. Il posto è elegante e riservato, i tavoli – piccoli e tondi, coperti da drappi rossi pesanti e lucidi che scendono in sbuffi fino a sfiorare la moquette nera che tappezza il pavimento – sono tutti piuttosto distanti l’uno dall’altro. Abbastanza da concedere a tutti il riserbo di cui hanno bisogno.
Dio sa se ne abbiamo bisogno anche noi.
Greta è semplicemente stupenda. La notte in cui abbiamo fatto fuori Saad non me ne sono accorto, un po’ perché avevo altro a cui pensare ed un po’ anche perché lei era sfatta, agitata e in vestaglia. Però a vederla adesso è palese, tant’è che io resto pure un po’ senza fiato. Chakuza fa una mezza risatina e mi dà una gomitata nel fianco.
- È sempre stata così. – mi sussurra, - Saad aveva un ottimo gusto.
Annuisco senza neanche rendermene conto, sono ancora un po’ imbambolato quando ci sediamo al tavolino di fronte a lei. Ha dei capelli biondi che sembrano grano, di quello delle pubblicità delle merendine ai cinque cereali, però, non di quello vero. Quello vero ha sempre un colorito un po’ smorto, soprattutto nelle campagne intorno alla città, mentre quello delle pubblicità è sempre, tipo, il biondo più bello che possa esistere – sarà che non esiste davvero; forse è per quello. Comunque il biondo di Greta è ancora più biondo di quel biondo lì, ed io mi perdo un po’ sulla frangia ondulata che le scende lungo la fronte e si ferma sulla tempia, guidata da un fermaglio nero molto elegante, con delle decorazioni floreali.
I capelli li ha raccolti in uno chignon alto e piccolo dietro la testa, sono sistematissimi, tanto da sembrare finti. Non ce n’è uno fuori posto. Però fanno un buon profumo di shampoo alle more, quindi finti decisamente non sono. E stanno bene un sacco con i suoi occhi, che sono azzurrissimi e tristi e un po’ stanchi, ma fieri.
Per un momento penso che adoro le donne del ghetto, perché hanno sguardi che ti sanno dire tutto in un niente. Mia madre è così, Luise Maria è così. Bill è così ed anche Greta è così.
Sistema per qualche secondo le numerose pieghe dell’abito bianco lungo che indossa, e che si perde in un morbido strascico che brilla quasi contro la moquette scura. Le mani sono pallide e curate, e si muovono con grazia appianando gli sbuffi di tessuto. Sia io che Chakuza restiamo interdetti e silenziosi per tutto il tempo; non c’è proprio niente da dire a riguardo: è bellissima, punto.
Quando solleva lo sguardo, io e Chaku facciamo quasi un salto sulle sedie. Ci guarda a lungo, dritti negli occhi, prima lui, poi me, e non sembra nemmeno respirare. Non sembra una creatura di questo mondo. Poi, lentamente, inspira. E quando apre la bocca Chakuza va immediatamente in tensione.
- Io ed Anis, - dice, e giuro che il suo nome era proprio l’ultimo, l’ultimo davvero, che potessi aspettarmi di sentire stasera, - eravamo molto amici.
Per un secondo, ci resto un po’. Voglio dire: mia madre ha sempre adorato Anis. Anche Luise Maria ha sempre adorato suo figlio. La Steen se l’è portato a letto per un considerevole quantitativo di tempo e ciò che faceva con Bill è abbastanza noto a livello mondiale, ormai, ed ora veniamo a scoprire che aveva le mani in pasta anche con la moglie di Saad. Quell’uomo non aveva limiti, cazzo. È assurdo a pensarci, non so se ricordarlo con un sorriso o con un “fanculo”.
Anche Chakuza sembra non fosse preparato alla cosa, tant’è che resta pure lui a guardarla come stesse recitando l’alfabeto al contrario o che so io.
- Mio fratello Thomas, - continua lei, intrecciando le dita sul tavolo, - ha avuto dei problemi piuttosto seri. Io e Saad eravamo sposati da poco ed eravamo… molto giovani e molto stupidi. Io, soprattutto, non sono stata in grado di accorgermi di niente, e quando ho scoperto dei debiti enormi che aveva accumulato a causa della droga non ho saputo cosa fare. Mi sono sentita persa, e le cose sono peggiorate ancora quando l’hanno arrestato. S’era messo a spacciare anche lui, per cercare di rimborsare i debitori. – fa una pausa, un po’ per riprendere fiato, perché si vede che fa fatica, nonostante sia piuttosto calma, ed un po’ per lasciare anche a noi il tempo di metabolizzare. Ci mette più tempo Chakuza, che pare si stia rendendo conto solo adesso di aver vissuto in mezzo ai criminali fino ad ora. Per me è vagamente più normale. Vagamente. – Ne ho parlato con Saad. Ci abbiamo riflettuto a lungo e l’unica cosa che siamo riusciti a capire era che da soli non potevamo tirarcene fuori. Saad ancora, sapete, non era sotto contratto all’Ersguterjunge. Lui ed Anis però si conoscevano, si conoscevano da un sacco di tempo, perciò l’idea iniziale era chiedere a lui. Solo un prestito, ovviamente, volevamo solo pagare gli avvocati. Thomas era costretto a stare in galera, in attesa del processo. E lui era… - si passa una mano sul collo, come a voler sciogliere i muscoli tesi, - Diciassette anni sono troppo pochi, per certe cose.
Vorrei dirle che io a diciassette anni ci avevo già abbondantemente fatto il callo, a questioni simili, ma non le dici certe cose a una sorella che parla del fratello in galera, così come non le dici ad una madre che dice lo stesso del figlio. Ci sono cose che uno non può dire.
Quando mi schiarisco la voce e parlo, è per dire tutt’altro.
- Cos’è che ha fatto Anis? – chiedo. Perché è questo il punto della questione. È attorno a questo che ruota tutto, altrimenti lei non l’avrebbe tirato in ballo.
Greta mi guarda a lungo, lo fa con una certa curiosità. E poi sorride appena.
- Ha risolto la questione. – dice, la voce modulata su un tono più dolce e caldo rispetto a prima, - Tutta l’intera questione, senza che noi neanche glielo chiedessimo. Gliela esponemmo e basta, gli chiedemmo dei soldi e lui rispose con uno strano sorriso buffo, dicendoci “vi sembro tipo da fare l’elemosina, io?”. E Thomas era fuori la settimana successiva. Fuori e senza più un debito.
Mi limito ad annuire. Così tipico di lui, mi dico con un mezzo sorriso. Anis era uno che le situazioni se le prendeva a cuore, in genere. Non tanto per altruismo o per ricavarne un utile, direi piuttosto per una specie di strano orgoglio. Abituato com’era a considerare propria qualsiasi cosa toccasse, era per lui un’offesa intollerabile che qualcuno si azzardasse a metterci sopra le mani. Perciò il fratello di un amico non può restare in galera, soprattutto se ha diciassette anni ed è palesemente carne da macello.
Greta sorride ancora.
- Lo conoscevi molto bene? – mi chiede, ed io sento Chakuza agitarsi al mio fianco. È la classica situazione che preferirei non vivesse, questa, ma ormai l’ho portato fino a qui, non ho più molto da fare a riguardo.
- Quanto bastava. – rispondo, - Quindi?
Lei inspira ed espira ancora, sistemandosi un po’ sulla sedia ed accavallando elegantemente le gambe.
- Quindi io amavo mio marito. Ma quello che c’era con Anis non era solo un debito. E non era solo affetto. – si interrompe ancora, sorseggiando il drink ancora intoccato che ha di fronte, - Mio marito l’ha ucciso. Voi avete ucciso lui. Io lo so. E ci metterei poco a scoprire quello che mi serve per incastrarvi. – Chakuza suda freddo, io cerco di tranquillizzarlo sfiorandogli una mano con due dita, da sotto il tavolo, ma serve a poco. E poi lei lo dice. – Ma non intendo farlo. Le regole valgono per tutti e… non siete stati voi ad infrangerle. È stato Saad.
Questo, molto semplicemente, chiude la questione. Le chiude tutte, anzi. Non voglio soffermarmi a riflettere sul legame che stringeva questa donna ed Anis, ho imparato tempo fa e a mie spese che con quell’uomo definire è molto pericoloso. Definire, ma anche non farlo, in fondo. Non ricordo di aver mai definito niente di ciò che c’era fra noi, con lui, e forse è per questo che mi pesa ancora addosso.
In tutto questo, da quando siamo arrivati, Chakuza non ha ancora spiccicato parola. D’accordo, non che io abbia fatto chissà che grandi discorsi – diciamo che Greta ha parlato abbastanza per tutti – ma fa strano davvero non sentirgli dire niente. Sospiro e stringo un po’ la presa sulla sua mano, lasciandolo andare subito dopo. Lui si riscuote e mi guarda, decidendosi finalmente a chiudere le labbra – fino ad ora semiaperte in un’espressione di sgomento mal dissimulato – e schiarirsi la voce, annuendo. Si sistema sulla sedia, a disagio, e io sorrido un po’.
Chakuza, ti regalerei un ristorante tutto tuo, certe volte. O anche un agriturismo in campagna, chissà. Bill sarebbe bravo ad accogliere i clienti ed accompagnarli nelle loro stanze mentre elenca i benefici della campagna senza crederci neanche un po’, visto che lui la odia. Però probabilmente con te ci verrebbe.
Greta freme e intreccia più strettamente le dita, prima di deglutire faticosamente e tornare a guardarci con una luce vagamente intimorita negli occhi.
- Potrei sapere dov’è? – chiede quindi, inumidendosi nervosamente le labbra. Al momento non saprei stabilire se sia più giusto che sappia o no. È passato un bel po’ di tempo da quando abbiamo buttato Saad nel canale. Io non credo che lo vorrei vedere un cadavere in quelle condizioni. Per quanto l’abbia amato quand’era in vita. Non so se vorrei vedere neanche quello di Anis, per dire.
Mentre mi perdo sul punto, Chakuza raddrizza la schiena e guarda Greta con una certa intensità.
- Non credo che sia il caso, Greta. – le dice dolcemente. Lei annuisce subito, e sorride un po’ timidamente.
- Sì. – esita un secondo, - Sì, Peter, credo che tu abbia ragione. Ma sai… - e gesticola un po’ con una mano, un movimento elegante e fluido, che dice tutto quello che abbiamo bisogno di sapere. Abbassiamo lo sguardo, ed è la prima volta da quando Saad è morto che mi sento veramente in colpa. – In ogni caso, - riprende dopo qualche secondo, - non denuncerò la sua scomparsa. Mi ha lasciato una lettera, prima di andare via, in cui mi diceva di dimenticarlo e perdonarlo. – Chakuza ci mette un po’ a realizzare che Greta non sta raccontando dei fatti ma inventando una nuova verità. Io sorrido un po’, perché anche questo è un lascito di Anis. La verità non è niente più che la descrizione di qualcosa su cui tante persone sono d’accordo. “Il fuoco brucia” non è verità perché sì, è verità perché tutti siamo d’accordo sul fatto che, se ci ficchiamo dentro la mano, la ritiriamo carbonizzata. Quindi la verità basta inventarla e poi fare in modo che nessuno possa o voglia contestarla. Bushido lo faceva continuamente. – Nyzaad è ancora arrabbiata, ma le passerà. Le dirò la verità, prima o poi.
Io annuisco. Nyzaad dev’essere la bimba bionda. Chakuza mi guarda. Realizza. Annuisce anche lui.
Greta sorride un’ultima volta, prima di alzarsi dignitosamente in piedi.
- Questa conversazione non ha mai avuto luogo. – dice, il sorriso ancora sulle labbra. – Restate pure quanto volete.
Non la osserviamo allontanarsi. Posso immaginarla passare davanti al guardaroba e farsi portare una pelliccia dall’addetto, prima di uscire sorridendo ancora, come non avesse appena discusso di morti e denunce con gli assassini di suo marito.
Chakuza inspira ed espira e l’attimo dopo lo vedo piegarsi in avanti e piantare i gomiti sul tavolo, mentre poggia la fronte contro i palmi aperti e si massaggia un po’, come avesse un gran mal di testa.
- Chaku…? – lo chiamo a bassa voce, chinandomi nella sua direzione. Lui, inizialmente, mi risponde solo con un mugolio esasperato. Poi parla.
- Non potrei dimenticarmi l’ultima mezz’ora neanche se volessi. – ammette insolitamente quieto, senza guardarmi, - Tutto quello che è successo… non potrò dimenticarlo mai.
Mi appoggio contro la sua spalla, discretamente, e mi sporgo verso il suo orecchio.
- Non devi. – sussurro, - È un pezzo di te. Ti renderà una persona migliore.
- Di queste cose, quante ne hai viste tu? – chiede a bruciapelo, restando immobile.
- …tante. – ammetto io, scrollando le spalle, - Troppe.
- E questo ha fatto di te una persona migliore?
La risposta è “no”. La risposta, anzi, è molto simile a “no, Chaku, io sono quasi una delle persone peggiori possa capitare di incontrare nella vita”. Ma dirlo ad alta voce non servirebbe a niente, perciò mi allontano da lui e mi alzo in piedi.
- Torniamo a casa, Chaku. Non abbiamo più niente da fare, qui.
*
Chakuza ha provato come al solito a farmi restare da lui per la notte. Io, come al solito, gli ho dato picche, e l’ho fatto anche con un certo fastidio, dicendomi “ma quanto gli ci vuole, a capire?”. La verità è che non è che Chaku abbia proprio torto, in questo senso. Voglio dire, io continuo a tornare. E se ripenso a prima, quando ha provato a scoparmi contro l’armadio… intendo, quella non è una scena così distante dalla nostra routine. Perché non so come sia successo o per quale motivo, o magari lo so e mi girano solo le palle ad ammetterlo, ma so che c’è comunque una cosa che, insomma, quando ci vediamo scatta. Magari la teniamo a bada per un po’, ma poi esplode. Prima della notte in cui abbiamo chiuso la questione con Saad, capitavano cose allucinanti del tipo: io stavo svaccato sul divano a guardare la tv, lui stava in bagno a farsi la barba, e lo vedevo spuntare ancora umido di risciacquo per dirmi “oh, ma non è che ti va, per caso?”. Frase cui ho risposto più di una volta con una risata e un vaffanculo, prima di alzarmi in piedi e schiacciarlo contro la prima parete disponibile. Perché sì, mi andava.
Quindi sì, insomma, non mi stupisce tanto che Chakuza non capisca cosa mi passa per la testa. Per la verità anche io ho dei momenti in cui mi chiedo che cazzo sto facendo. Suppongo sia normale.
Riassunto: sono riuscito a sganciarmi solo due minuti fa e, per riuscirci, ho dovuto tirare fuori Bill. Quando conosci tanto bene una persona è molto facile rigirartela fra le dita. Io so che per far cambiare umore al Chaku basta nominare il ragazzino, e lui si spegne subito. Non è affatto facile spegnere Chakuza, eh. Onore al merito del ragazzino che è riuscito a devastare il cervello di due degli uomini più cocciuti ed eterosessuali mi sia mai capitato di incontrare. Per quanto mi renda conto che dare ad Anis e Chakuza degli eterosessuali adesso suoni quantomeno ridicolo. Ma comunque.
Appena gli ho detto “Chaku, io devo andare a parlare con Bill”, lui ha immediatamente smesso di cercare il bottone dei miei jeans sotto il giubbotto, nell’androne del palazzo, e mi ha guardato con aria persa e supplichevole. Suppongo volesse guardarmi solo con aria persa, ma era anche supplichevole, io lo so. Lui non se ne rende conto, quando ti sta implorando di dargli una scusa per rivederlo. Però è così.
Insomma, gli ho sorriso e gli ho dato una specie di pugno sulla spalla, dicendogli “lo sai che non puoi venire. Devo dirgli cose importanti, e tu me lo distrai”, al che lui è sclerato ed ha cominciato a strillare che dovrei smetterla di dire cazzate sul punto. Avrebbe anche ragione – perché in teoria non sarebbero fatti miei – se non sapessi perfettamente di avere ragione, sulla questione. Però lui ha difficoltà enormi a parlarne con me, e inoltre sospetto che il giorno in cui gli dirò a chiare lettere “guarda che lo so, che ti piace”, gli verrà un infarto, perciò almeno per oggi me lo sono risparmiato e l’ho osservato salire le scale a passo di carica augurandomi di andarmi a schiantare contro un muro appena uscito di là. Ho riso perché non avevo nemmeno la macchina, visto che mi sono mosso con lui, quindi anche a schiantarmi contro un muro, camminando, al più mi schiacciavo il naso.
Bill lo chiamo solo quando sono già sotto casa sua. Guardo dritto alla finestra del suo appartamento e porto il cellulare all’orecchio, dopo aver composto il suo numero a memoria. Lui mi risponde con una vocina sonnacchiosa e pigolante.
- Fleeeer… - borbotta, - Ma che c’è?
- C’è freddo ed ho voglia di un caffè. – rispondo ridacchiando, - Mi fai salire?
Lui biascica qualcosa di incomprensibile ma sento un fruscio di lenzuola tutto intorno e poi il suo ciabattare annoiato per il corridoio. Pochi secondi dopo, la serratura del portone scatta ed io mi ritrovo nell’ingresso sobrio ed elegante. Le suole delle mie scarpe da tennis sono umide perché fuori c’è un po’ di ghiaccio sui marciapiedi, e nello strisciare contro il pavimento in marmo misto producono un rumore fastidiosissimo che riecheggia per tutto l’ambiente. Sospiro e questi due piani me li faccio a piedi, se non altro perché ho bisogno di riscaldarmi un po’.
Quando arrivo, Bill sta dormendo in piedi sulla porta. Senza esagerazioni, Bill è così, si addormenta ovunque. Lo trovo appoggiato con una spalla allo stipite, gli occhi chiusi e il capo dondolante avanti e indietro, e mi metto a ridere. Lui solleva appena le palpebre e si strofina gli occhi coi pugni chiusi, mugolando scontento.
- Fler, è tipo l’alba…
È appena mezzanotte e mezza, eh.
- Bill, - lo prendo in giro, spingendolo dolcemente all’interno dell’appartamento e chiudendomi la porta alle spalle, - quando ero un ragazzino come te, io arrivavo senza chiudere occhio dalle sei del mattino alle sei del mattino del giorno dopo!
Lui si lascia spingere ciabattando rumorosamente, e mi si accuccia contro la spalla appena ci sediamo sul divano.
- Io non sono un ragazzino… - biascica, la voce impastata di sonno, - sono una principessa, le principesse a quest’ora dormono…
Rido ancora, annuendo.
- Naturalmente. Ehi, ti svegli un po’? Il caffè devo farmelo da solo?
Lui mugola e mi tira per il giubbotto, che non ho ancora sfilato.
- Vieni a dormire? – borbotta, riuscendo finalmente a togliermi la giacca sbavandomi un po’ sulla spalla, - Cioè… - si riprende un po’, sforzandosi pure di aprire gli occhi, almeno uno spiraglio, - Se mi porti a letto poi giuro che ti ascolto… però c’è freddo qui, e voglio andare a letto…
Rido ancora.
- E come fai a sapere che devo parlarti? – ghigno, sgomitando un po’ per metterlo dritto.
Lui mi si riappoggia addosso e socchiude gli occhi.
- Hai addosso l’odore di Peter, quindi siete stati insieme… e quando state insieme succede sempre qualcosa… quindi cos’è successo?
Chiaramente, il cuore prima mi sale in gola e poi sprofonda fino al centro dello stomaco, quando glielo sento dire. All’odore di Chakuza, poi, non avevo nemmeno fatto caso. Non ci faccio più caso, in realtà, da un mucchio di tempo.
- D’accordo, ragazzino, - sospiro, e mi sento schifosamente in colpa, anche se non ne ho il dovere, - per stasera e solo per stasera, sei principessa sul serio. – dopodiché, mi alzo dal divano. Lui sonnecchia ancora, quindi rotola un po’ sui cuscini e poi apre gli occhi e mi fissa con aria persissima, asciugandosi le labbra col dorso della mano.
- Fler…? – mi chiama, ed io mi chino a prenderlo fra le braccia.
Non pesa niente, il ragazzino. Mi si accoccola contro e mi allaccia al collo, posando il capo sulla spalla e mugolando soddisfatto.
- La tua ragazza sarà fortunata un sacco, sai? – sussurra sulla mia pelle, sistemandomisi addosso.
Io rido, perché mi viene in testa che non sono mai stato innamorato di una donna. Scopare, d’accordo, ma a parte mia madre tutto ciò che posso dire di amare o aver amato con le femmine non c’entra niente. Eppure, con Bill fra le braccia che mi parla di un’ipotetica fidanzata, un po’ me ne viene voglia. Una bella ragazza gentile e fedele, una casa sul mare, dei bambini, un cane pigro. È una cosa che non c’entra niente con me, me ne rendo conto. È una cosa che probabilmente non mi piacerebbe nemmeno. Però un po’ ci si pensa, quando ti dicono che una donna potresti renderla felice. Che per lei potresti essere più che abbastanza. Soprattutto quando sai perfettamente che invece non potrai mai essere abbastanza per qualcun altro, insomma, ti viene un po’ voglia di provare a vedere come sarebbe avere la certezza assoluta della totalità dell’affetto di un’altra persona. Probabilmente con una donna sarebbe più facile. Non lo so.
Bill mi indica la strada per camera sua e, quando ci entro, smetto istantaneamente di pensare. È la prima volta che metto piede qua dentro. Questa è la stanza in cui è morto Bushido, quello è il letto su cui si è disteso e su cui è rimasto mentre moriva. Per un attimo immagino le lenzuola zuppe di sangue ed esito, nell’adagiare il corpo sottilissimo di Bill sul materasso. Mi sembra di vederci delle tracce rosse che non ci sono davvero, e non voglio lasciarlo andare. Lui però allarga entrambe le braccia e si riappropria di quello spazio come di un pezzo stesso del proprio corpo. Infila le mani sotto il cuscino e lo stringe fortissimo, ed io adocchio la federa e noto che c’è scritto Ferchichi sull’orlo. E mi viene un sacco da ridere. Perciò rido e basta.
Lui apre gli occhi e ridacchia di riflesso.
- Che c’è…? – chiede, tirandomi una mezza ginocchiata mentre mi siedo al suo fianco.
Io indico il cuscino.
- Il nome... – e Bill ride a voce più alta.
- Lo ha ricamato Karima. – dice, e poi, di fronte al mio sguardo smarrito, aggiunge – La domestica. – con aria un po’ più cupa.
- Si divertiva proprio a mettere il suo nome ovunque, mh? – chiedo teneramente, stendendomi un po’ sul fianco accanto a Bill e tenendomi sollevato dal materasso col gomito. Bill annuisce e sorride, e quando lo vedo posare per bene la testa sul cuscino e socchiudere nuovamente gli occhi, mi schiarisco la voce e riprendo a parlare, - Oggi mi ha chiamato Greta.
Lui torna a guardarmi, vagamente confuso. Poi capisce di chi sto parlando.
- Perché? – chiede. Non si muove, resta lì steso a guardarmi fisso dal basso, ma il punto è proprio questo: mi guarda fisso, non c’è più sonno nei suoi occhi, tiene le palpebre ben sollevate e i suoi occhi castani sono perfettamente lucidi e attenti.
Mi metto più comodo, sistemandomi con una mano un cuscino sotto la testa. Bill mi si sposta più vicino e mi copre col lenzuolo – ovviamente non serve a niente ed è una cosa assurda, anche perché ho ancora su le scarpe, quindi sto per metà fuori dal letto e il lenzuolo finisce per coprirmi solo con un triangolino sullo stomaco, ma è una cosa tenera lo stesso. Tutto quello che so dopo è che comincio a sentirmi un po’ più caldo, ed è perché Bill mi sta abbracciando. Mi viene naturale fargli passare un braccio dietro le spalle e stringerlo. Non sembra strano.
Io e Bill ci tocchiamo spesso. Intendo, quando ci vediamo lo cerchiamo spesso, questo tipo di contatto. Sappiamo entrambi perfettamente che è perché io ho preso da Anis l’abitudine di toccare tutto. E lui, invece, a quell’abitudine lì ci si era abituato.
Suppongo che la cosa dovrebbe stupirmi di più.
Sono un po’ stupito dal non stupirmi affatto.
Bill, in ogni caso, sa abbracciare. L’unico modo per godersi un abbraccio è che chi te lo dà sappia farlo. Sappia, per dire, che sono le tue forme che devono adattarsi a quelle dell’altro corpo, non quelle degli altri che devono modificarsi per farti spazio. Uno che sappia dosare la forza, che sappia modulare la stretta, uno che sappia come alterare il ritmo del respiro perché non dia fastidio all’altro sfiorandogli la pelle. Non è una cosa da tutti. Chakuza, per dire, ha un sacco di pregi ma abbracciare non è proprio la sua cosa. È anche tenero, quando lo fa, ma proprio perché si vede che non lo sa fare. È troppo impetuoso e, quando ti stringe, lo fa perché ti sta dicendo chiaramente che ti vuole vicino. Non è una cosa che fa con altruismo, è una cosa che fa con desiderio. È bello anche quello, a suo modo, ma non è la stessa cosa.
Bill sa abbracciare, non mi stupisce, e siccome so abbracciare anch’io ci incastriamo un sacco bene. Perciò, quando riprendo a parlare, lo faccio con molta meno ansia.
- Anis ti ha mai spiegato perché lui e Saad erano così amici?
Bill stringe la presa attorno alla mia maglia ed aggrotta le sopracciglia. Sento proprio i suoi lineamenti cambiare fisionomia perché, nella ricerca di una posizione comoda, ha finito per nascondere il viso nell’incavo del mio collo. Ora potrebbe dirmi qualsiasi cosa, del tipo “amici il cazzo”, che è un po’ quello che viene da pensare anche a me, in effetti, però non lo fa.
- No. – risponde, - Anis era sincero, non stupido. E io non ho mai preteso di ficcare il naso in faccende che non mi riguardassero.
Rido un po’.
- Bravo ragazzino. – commento, stringendo la presa sulla sua spalla, - Avevi un talento, come donna del capo.
Bill annuisce lentamente.
- Era la mia strada. – dice, e sta scherzando, è evidente, però la nota seria nella sua voce non mi sfuggirebbe neanche se fossi sordo. – Insomma, quindi…?
- Be’, - comincio a raccontare, - pare che sia cominciato tutto perché il fratello di Greta… Greta ha un fratello, lo sapevi?
Lui ride appena contro la mia pelle, e scuote il capo.
- Tu di mestiere non dovresti fare il rapper, sai? – mi prende in giro.
- Sì, infatti mi sto un tantino rompendo le palle di fare il detective da strada. – sbotto, agitandomi pure un po’, fra le sue risate. Approfitto del momento rilassato perché mi sa che se non vuoto il sacco col ragazzino adesso, non lo faccio più, - A proposito di questo, sai che pensavo di andare in tour con Sido, con l’anno nuovo? – Bill si irrigidisce e si allontana un po’, lanciandomi un’occhiata allarmata, - No, ehi, niente lagne. – lo avverto, guardandolo come stessi rimproverando un bambino di tre anni, - Fai il ragazzino grande.
- Ma Patrick! – comincia, sottolineando il mio nome in tono di rimprovero.
- Niente nemmeno “Patrick”, ragazzino. – borbotto ancora, tornando a stringermelo contro di prepotenza, così che lui smette di agitarsi come un’anguilla e sceglie la via del tentativo di commozione stritolandomi in un abbraccio pieno di bisogno.
- Non puoi andartene così… - biascica confusamente.
- Non vado mica via per sempre… - lo rassicuro, accarezzandogli piano la nuca, - Solo qualche mese.
- Ed io e Chaku faremo in tempo a impazzire, nel mentre. – lo dice a bassa voce, in tono quasi spettrale. Perfettamente consapevole di ciò che questa frase significa. O meglio, perfettamente consapevole di cosa significhi per lui. Di cosa significhi per me suppongo che non ne avrà mai idea. Anche perché io non gliela posso fare questa, al ragazzino. Non posso proprio. Sono destinato a perderli tutti in favore suo, penso, e mi viene un po’ da ridere mentre lo faccio. Anis era molto epico, nelle sue manifestazioni; immagino questi siano gli strascichi che si fanno sentire su di me.
La verità è che spero impazziscano sul serio. Impazziscano, una buona volta, e facciano questo dannato passo avanti. Io – cazzo – non voglio essere quello che andrà da Chakuza, fra uno o due mesi, per dirgli “be’? Guarda che ti sta aspettando”. Non voglio assolutamente, e il pensiero che invece potrebbe essere quello che mi toccherà fare, se resto troppo a lungo, mi tortura. Quindi voglio togliermi di mezzo e voglio farlo in fretta e voglio che, quando sarò tornato, tutto si sia già mosso nel modo giusto, e sia ormai irreversibile. Come quando Anis mi ha detto che sarebbe andato via solo a giochi fatti. Quando non potevo più nemmeno seguirlo, anche volendo. Perché così è più facile, Anis l’ha sempre saputo: è più facile quando sei di fronte a un fatto che non puoi cambiare. Ti metti il cuore in pace.
Comunque non ce la faccio ad affrontare un discorso alla “non ti lascerò andare via”, in questo momento. Soprattutto perché se Bill me lo chiedesse nel modo giusto, non potrei davvero farlo. Se davvero, guardandolo negli occhi, sospettassi che ciò che vuole davvero è avere me qui, perché senza non può stare, resterei. Sarebbe lo stesso con Chakuza. Se lui mi dicesse che il motivo per cui non può togliermi le mani di dosso è che sono io che faccio motivo da me, resterei. Ma sia il ragazzino che Chakuza mi vogliono tra i piedi solo perché così è più facile, inciampando in me non corrono il rischio di inciampare l’uno nell’altro.
Io non voglio dare adesso a Bill la possibilità di farmi pensare che mi voglia qui. Perciò lo tengo buono e ricomincio a parlare.
- Vedrai che non sarà così drammatico. – scrollo le spalle, riducendo la faccenda a una cosa di minima importanza, - Comunque sia questo benedetto fratello di Greta ha avuto dei brutti problemi con certi brutti tipi con i quali uno non dovrebbe mai avere a che fare. E in men che non si dica s’è ritrovato con la merda al collo. E indovina chi è arrivato sul suo fottuto cavallo bianco in una riedizione ghetto-style del principe azzurro?
Bill dimentica istantaneamente il resto della nostra conversazione e mi si abbatte addosso, ricominciando a ridere.
- Anis? – chiede, cercando di riprendere fiato fra una risata e l’altra.
- Cazzo, sì. – rido anch’io, scuotendo il capo, - Tra l’altro pare che abbia risolto sia i problemi coi brutti tizi che i problemi legali che ne erano derivati. Cioè, te lo vedi? Infilato in un completo nero che va a disquisire con gli avvocati fino a mezzogiorno, e poi avvolto in una tutaccia da svacco che va a minacciare di morte gli spacciatori per i vicoli di Tempelhof. Assurdo.
- Grandioso. – corregge lui con un sorrisino dolce.
Io rido ancora un po’.
- Già. – concedo alla fine. – Comunque, - riprendo con un sospiro, - questo è quanto. Anis salva il culo al ragazzino, gratitudine eterna da parte della donna del ghetto. Ovvio.
Bill ride ancora, scuotendo rassegnato il capo.
- Questo però non spiega tu cosa sia venuto a fare qui… - mormora confusamente. Poi sembra realizzare, e solleva lo sguardo a cercare il mio, - …a meno che tu non stia cercando di dirmi che è grazie a questo che…
Annuisco prima ancora che possa finire.
- Pare di sì. – aggiungo per rafforzare il concetto, - Insomma, siamo a posto. È andata. Finita. Ora puoi dormire tranquillo. – dico sbrigativamente, rimboccandogli il lenzuolo sotto il mento.
Bill si lascia maneggiare come stesse già dormendo, ma ha un’espressione assorta e lo vedo giocare con la fede che porta al dito, quella che mi ha detto di aver rubato da uno dei portagioie di Anis, perciò non lo lascio solo. È evidente che ha ancora qualcosa da dire.
- Quindi… - biascica infatti dopo un po’, mettendosi bene disteso sul materasso, - parentesi chiusa. È questo che intendi.
Scrollo le spalle.
- Be’, sì. – ammetto, - Dubito che sentiremo ancora parlare del fatto. Credo che, a domanda, Greta risponderà che è stato Saad a lasciarla senza farsi più vedere.
Bill annuisce. Prende atto. E poi sospira.
- Tu non ti muovi di qui, stanotte. – borbotta, appendendosi alla mia maglia – sono contento di essere passato a cambiarmi, prima di venire qui – e tirandomi scompostamente verso di sé.
- D’accordo, d’accordo! – concedo, sfilando le scarpe ed infilandomi sotto le coperte, - Sei viziato da morire. E Sido domani mattina mi farà il culo, arriverò con un ritardo stratosferico.
- Non ti ci faccio andare, da Sido! – continua a lagnarsi lui, ma già lo vedo che sta riprendendo sonno, - Tu poi non torni…
Sospiro profondamente.
- Torno, ragazzino, torno. Ti devo ancora una vacanza.
Mezzo addormentato per com’è, lo vedo sorridere mentre mi si adagia sul petto e crolla, esausto. Sistemo per bene le coperte, sistemo per bene i cuscini, sistemo per bene lui. E poi metto il punto alla giornata.

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