Eine Kugel Reicht

di tabata
"... Bill?"

Quando le sue telefonate iniziano così, so che non devo aspettarmi niente di buono. Mi chiama per nome soltanto quando si tratta di qualcosa di serio, per tutto il resto del tempo sono Principessa.

Stringo la presa sul telefono e faccio un respiro profondo, chiudendo e aprendo gli occhi nel tentativo di trovare una calma che non ho. Non devo sentirlo spiegare per sapere che si è messo nei guai, perché lo fa sempre. A volte si tratta solo di andarlo a recuperare in qualche schifo di posto, ubriaco da far paura, prima che lo trovino i giornalisti, alle volte si tratta della sua fottuta gang. E quelle sono le volte peggiori.

Mi chiedo quale delle due situazioni sia stavolta, se mi vomiterà addosso o se all'ospedale gli daranno quattro punti per una coltellata al braccio. Non sarebbe la prima volta e probabilmente neanche l'ultima.

Due mesi fa mi ha costretto a trascinarlo di peso al pronto soccorso, stivali di pelle e occhiali di Prada, io che lo sorreggo fino al banco dell'accettazione da solo. No Bill, niente polizia. E' una cosa che ci risolviamo fra di noi. Tu non puoi capire.

Io non capisco, e intanto ho sempre il suo sangue sulle mani, perché di me si fida. Ecco qual'è il problema con lui: ci mette tanto a fidarsi, ma quando lo fa ti scarica addosso ogni cosa: voglia, amore, sesso. I suoi guai.

Siedo sul letto e mi passo una mano tra i capelli, ero già pronto per andare a dormire e il mio viso struccato mi guarda attraverso il riflesso nello specchio. "Dimmi," sussurro stanco.

"Ascolta, adesso non andare nel panico, d'accordo?"

Il miglior modo per farmi andare nel panico è dirmi di non farlo. Adesso so che la cosa è perfino più grave di quanto avessi pensato. "Anis, dove sei?"

"Sto venendo lì," mi dice.

"Anis, cosa-"

Riattacca prima che io possa chiedergli niente.
Chiudo il telefono e lo getto sul letto con uno scatto nervoso. Non so cos'altro fare se non sfogare la rabbia contro gli oggetti inanimati. Vorrei chiamare Tom ma so già quello che mi direbbe, abbiamo avuto questa discussione così tante volte prima di stasera che potrei non aver bisogno della sua persona dall'altra parte del telefono per ripeterla tutta, parola per parola.

A Tom Bushido piaceva.

Anzi, forse piaceva più a lui che a me. Lo adorava, letteralmente.
A chiederlo a lui, Bushido era l'uomo perfetto, un modello di vita, da imitare sotto ogni punto di vista: la musica, lo stile, le fighe. Dalla bocca di mio fratello non uscivano che parole di amore assoluto per quell'uomo.

Il giorno che gli dissi che, oltre a cantare il suo passato nel ghetto e il suo presente nell'oro, aveva trovato anche il tempo di infilarsi nel mio letto Tom dette di matto. Non avevo pensato che la prendesse bene ma non mi aspettavo nanche una reazione del genere.

Non avevo mai visto nessuno riunire insieme tutti i cd del suo cantante preferito e saltarci davvero sopra per spregio fino a distruggere tutto ciò che fino a quel momento aveva venerato come un Dio.

Il mio tentativo di fermarlo fu del tutto inutile.
In quindici minuti mio fratello riuscì a dedicarmi una quantità di offese tale che avrebbe fatto impallidire perfino Anis. Mi accusò di qualunque cosa, in particolar modo di essere un maledetto frocio.

Disse proprio così: un maledetto frocio.
Esattamente come lo avrebbe detto un rapper serio; non uno come Bushido, evidentemente, che con quelli come me ci si trastullava.

In realtà non mi arrabbiai, capivo Tom come lo avevo sempre capito e non potevo davvero offendermi. Mio fratello si era sentito tradito: da me, che gli avevo confessato di essere omosessuale andando a letto con il suo idolo e da Bushido, il suo idolo, che si era portato a letto suo fratello. Era una situazione così surreale che non c'è da sorprendersi se non trovò la forza di tenere a freno le parole.

Quando finalmente venne a patti con quello che gli avevo detto, rendendosi conto che ero sempre io e che niente era davvero cambiato, allora gli rimase solo un sacco di rabbia che doveva pur sfogarsi da qualche parte e l'obbiettivo naturale finì per essere Bushido.

Cominciò a dirmi che uno così non andava bene per me e che se dovevo stare con un ragazzo allora doveva essere uno che mi volesse bene e che non mi sfoggiasse in giro come un trofeo; si attaccò al fatto che Anis continuava ad entrare ed uscire di prigione, che non mi avrebbe portato niente di buono, che non mi meritava.

Feci l'errore più grosso, convincendolo a parlare con lui: vennero quasi alle mani e Tom si rifiutò di sentire qualsiasi ragione. Da quel momento non ne vuole sentire parlare. Posso chiedergli qualunque cosa ma non vuole avere niente a che fare con la merda che devo affrontare per colpa di Bushido. Dice che me l'aveva detto, e l'unico consiglio che mi dà è quello di mollarlo.

Ho sperato che si ricredesse ma non è successo e ora che sono passati sei mesi e Bushido nel mi letto ci ha fatto il nido, non mi aspetto più di far capire a Tom come stanno le cose. Mi prendo quella parte di lui che ancora mi vuole bene e lui si accontenta di ciò che può sopportare di me. Il resto facciamo finta che non esista.
 
Lo sento bussare alla porta. Un colpo breve, uno lungo e uno breve di nuovo: lo abbiamo stabilito qualche settimana fa. A me è sembrata una stronzata ma lui ha insistito, ha detto che dovevamo avere un segnale per le emergenze. Quando gli ho chiesto a quali emergenze si riferisse non ha risposto e abbiamo finito per fare sesso.

Per Anis il sesso è la soluzione a tutte le risposte che non sa o non può darmi.
E' così importante per lui realizzare tutti i miei desideri che quando non può farlo, s'incazza e cerca di fare ammenda nell'unico modo che conosce. A volte il suo corpo dentro di me è più che sufficiente, a volte invece vorrei che mi parlasse.

Che se devo lavare a secco i miei pantaloni per togliere il sangue, vorrei almeno sapere il perché.

Quando apro la porta lo trovo appoggiato allo stipite, che mi sorride. "Hey Principessa," esala. Cerca di fare l'uomo del ghetto ma è a pezzi. Mi si accascia addosso un attimo dopo e sono costretto a fare un passo indietro per sostenerlo.

"Anis!" Esclamo, quando sento il freddo della pistola contro un fianco.

"Tranquillo, sono intero," mi risponde. "Chiudi la porta, svelto."

Cerca di tirarsi su e barcolla verso il letto mentre obbedisco e sprango la porta del mio appartamento. Lui si siede, ha gli occhi pesanti.

"Che diavolo è successo?"

"Niente."

"Niente un cazzo," ribatto perché sono infuriato e perché ha la maglia piena di sangue e non so se sia il suo. "Guarda come sei ridotto!"

Mi avvicino e mi afferra per la nuca, attirandomi a sè. Mi bacia e sento il sapore del ferro nella sua bocca. "Calmati, va tutto bene," mi dice.

Appoggio la fronte alla sua ed espiro, i miei nervi si distendono sotto le sue carezze ruvide. "Perchè deve sempre andare così?" Mugolo, chiudendo gli occhi.

"Piccolo, lo sai il perchè."

E' il suo mondo. E Tom ha ragione su questo: il suo mondo fa schifo.
Finché lo canti va bene, quando ci entri dentro è tutto una merda.
La crew non è la tua band, è la tua famiglia. Non la lasci e non la perdi mai, e viene prima di tutto: soldi, fama, donne. Amore.

Io so che Anis mi ama.

A modo suo, certo, ma lo fa.
Da lui non posso aspettarmi fiori e cioccolatini, non posso aspettarmi che mi tratti bene, che passi con me il natale o che si faccia in quattro per piacere a mia madre. A lui di mia madre non frega niente e non vuole portarmi a cena, al cinema o a passeggiare nel parco.

Lui vuole che io sia suo.

Che a differenza di tutte le puttane che si è fatto prima di incontrare me, significa che mi ama. Io ho il mio spazio nella crew, nessuno può toccarmi, nessuno può dire niente.
Questo è l'amore del ghetto: sono la ragazza del capo.

"Sei ferito?" Gli chiedo.

"E' solo un graffio," risponde, con una smorfia, strappandomi dalle mani il braccio che gli ho sollevato per controllare meglio.

Il suo graffio è lungo almeno dieci centimetri ed è abbastanza profondo perché ci vogliano dei punti che io non posso dargli. "Vado a prendere la cassetta del pronto soccorso."

"Aspetta," mi afferra per il braccio e mi bacia di nuovo.
Lascia scorrere la mano lungo il fianco e lo stringe con una disperazione che non gli ho mai visto addosso e che mi fa paura. Quando mi allontano mi sembra che tutto questo significhi molto di più

A curare le ferite ho imparato con Tom che ha passato l'infanzia a saltare ovunque, sbucciandosi le ginocchia. Le coltellate non sono esattamente la stessa cosa ma con Anis ho imparato ad occuparmi anche di quelle. "Chi erano stavolta?" Chiedo, mentre gli pulisco la ferita sul bicipite.

"Non hai bisogno di-"

"Dmmelo e basta. Mi pare un po' tardi per parlare del tempo, no?"

"Sono stati gli uomini di Fler," cede lui alla fine. O forse pensava di dirmelo fin dall'inizio, queste cose le programma sempre. "C'è stata una rissa, con i coltelli."

 "Perché hai in mano la Heckler, allora?"

"Bill lo sai come vanno queste cose, maledizione!" Sbotta e allontana il braccio, lasciandomi con la mano a mezz'aria mentre reggo il batuffolo di cotone. "Prima ci sono gli insulti, poi i coltelli. Alla fine qualcuno tira fuori la pistola e-"

"E qualcun altro muore!" Replico io. "Non ve le siete tirate abbastanza tu e Fler?"

Guarda altrove, come un bambino che è stato appena sgridato. "Tu non puoi capire, bimbo," butta lì, con la voce bassa da gangster che alle volte mi fa ridere e certe volte, come questa, mi fa venire voglia di picchiarlo.

"Spiegamelo, allora."

Quando faccio così, so che gli dò fastidio; rientra tutto nell'immagine che dovrebbe avere, che si era costruito prima del mio arrivo e che piano piano è andata frantumandosi per colpa mia fino a ridursi soltanto ad un pallido riflesso.

Un rapper dev'essere brutto, sporco e cattivo.
Deve spendere soldi e spandere merda. Prendersela col sistema ed essere politicamente scorretto con tutto e con tutti.

Ma soprattutto: un rapper non si innamora di un uomo.

Per una cosa del genere non c'è giustificazione.
La tua crew è autorizzata non solo a disconoscerti ma a dartele di santa ragione. E' quello che hanno fatto all'inizio, finché Anis non ha mostrato i denti e ha deciso lui per tutti che io stavo dove diceva lui.

E' a questo che Fler si è attaccato.
Ha cominciato a ridicolizzarlo, a mettere in chiaro i punti sconnessi tra la vita del rapper e la vita di Anis. E' difficile mantenere la credibilità, è difficile chiedere ai tuoi uomini di sopportare gli insulti, solo perchè ti piace avere un maschietto nel letto.

Per questo Anis non vuole che io metta bocca nelle sue questioni: è' l'unico modo che ha per mantenere in piedi la maschera del rapper; ha combattuto per me, e quello che mi si chiede è di non immischiarmi nei nessi logici del ghetto. Se lo faccio, si innervosisce.

E di solito obbedisco e seguo le istruzioni, godendomi i miei privilegi.
Godendomi lui, oltre ogni previsione. A me va bene tutto, anche fare la bambolina al suo fianco, ma se devo aprirgli la porta alle due di notte e ricucirgli un braccio, vorrei che mi mettesse al corrente degli eventi che mi hanno portato a farlo.

Anche la donna del capo ha i suoi limiti.

"Anis," chiedo ancora.

"Non sono cose che ti riguardano," replica di scatto. Poi alza gli occhi nocciola su di me e sospira, accarezzandomi la testa. "E' un fottuto casino, Bill, non voglio che tu ci vada di mezzo."

"Il mio copriletto lo ha già fatto," indico sorridendo il letto su cui è seduto e sul quale è colato del sangue. "Quindi perché non io?"

"Perchè non è uno scherzo," replica lui, senza che l'atmosfera si sia alleggerita. "Ci sono quattro dei suoi là fuori che mi stanno cercando e non so neanche se mi hanno seguito. Ho fatto male anche solo a chiamarti."

"Resta qui," dico deciso. "Domattina, ti fai venire a prendere dalla sicurezza della Universal. Una volta a casa non ci saranno problemi."

"Vuoi che mi prendano per un vigliacco?"

Espiro seccamente. Vorrei dirgli che non saprei che farmene del suo coraggio da sano maschio etero quando mi chiamerebbero all'obitorio per riconoscerlo ma mi trattengo perché litigare sarebbe una perdita di tempo. "Allora chiamiamo la polizia!"

Non mi risponde neanche.
Si avvicina alla finestra e scruta la strada dalle mie veneziane. "Merda!"

"Che succede?" Faccio per raggiungerlo.

"Stai lontano dalla finestra!" Mi ordina secco, voltandosi per un solo istante. Poi la sua voce si addolcisce. "E' pericoloso. Voglio che stai dall'altra parte della stanza."

Obbedisco e arretro, fermandomi solo quando ho il muro alle spalle, lo osservo mentre torna a voltarsi verso la strada. Stringe la presa sulla pistola, e vedo che è nervoso. "Sono qui?"

Annuisce.

In quel momento la mia percezione della situazione cambia. Ho sempre sentito parlare di crew e di faide, di patti d'onore e di vendetta; ma tutto è sempre stato molto lontano, a dire la verità. Perfino quando ho visto la Heckler per la prima volta, non mi è sembrata nient'altro che un giocattolo, con Anis ci ridevamo anche mentre cercavo di tenerla in mano e sembrava così assurdamente fuori posto tra le mie dita magre.

Le ferite mi preoccupavano, ma Anis era ancora in piedi, accanto a me.
E quindi niente poteva essere andato veramente male. Fler era un uomo ombra, troppo lontano per farmi del male.

Ora però sono sotto casa mia, Anis è alla finestra e mi ha appena urlato di stare lontano.
La mia testa non mi permette di credere che possa davvero succedere qualcosa di serio; sono i miei occhi a farlo.

Faccio due passi avanti e ripeto ad Anis che dovremmo chiamare la polizia, lui si gira per una frazione di secondo. E' soltanto un attimo e io non capisco esattamente cosa succede.



.....Denn eine Kugel reicht



Il frantumarsi del vetro non si sente, è una questione di colori.

Vedo la sua maglietta farsi rossa e il pavimento scuro riempirsi di mille frammenti di vetro trasparente. E' un fermo-immagine più colorato di quanto mi aspettassi. Il rosso del sangue non disegna nessun arco, ma colora la stoffa e poi mi accorgo che è spruzzato anche a terra. In tutto questo Anis è ancora in piedi.

Abbassiamo entrambi lo sguardo.
Il foro è lì dove prima non c'era; mi ritrovo a pensare che è immensamente piccolo.
Non so cosa mi aspettassi.

Quando lo guardo, nei suoi occhi c'è qualcosa che mi rifiuto di leggere.
"Bill," mi dice e io sto già scuotendo la testa e lui mi stringe i polsi.
Non so con che forza, ma lo fa.

Non faccio in tempo a sentirlo davvero che sento un secondo sibilo e lui si accascia su di me con un gemito strozzato e sono troppo occupato a tenerlo in piedi per rendermi conto che il sangue che mi scende sulla coscia e il mio.

Lo trascino a fatica sul letto mentre fuori il mondo sembra essersi svegliato tutto insieme.
Sento le sirene della polizia e le grida, c'è sicuramente qualcuno che corre; ma sono dettagli che non colgo al momento. Tutto ciò che vedo è Anis che socchiude gli occhi.
Non voglio gridare.

Gattono sul letto e lo raggiungo. Lo tocco freneticamente, come se volessi assicurarmi che è ancora lì. Ho bisogno di sentire la sua pelle ruvida. "Va tutto bene," mormora, mentre gli accarezzo il viso. "E' solo un graffio."

"Dobbiamo chiamare un'ambulanza," singhiozzo.
E il rumore che emetto mi spaventa, perché non mi ero accorto di piangere.

"Shh..." mi tira verso di lui e mi bacia piano sulle labbra. Sto piangendo così tanto che quasi mi soffoco. Mi sembra che i miei capelli siano ovunque, come il suo sangue. "Non piangere. E' tutto a posto."

So che dovrei chiamare un'ambulanza, ma lui mi tiene stretto a sè e non voglio allontanarmi dal suo calore. "Tuo fratello sarà contento," sorride. "Mi sono tolto dalle palle."

"Non dire così!" Strido. Cerco di liberarmi. "Devo chiamare un'ambulanza."

Lui mi trattiene giù, mi tira per i capelli gentilmente, come fa di solito, e mi guarda. Non ha bisogno di dirmelo, lo vedo dai suoi occhi. "Anis, no..."

"Se dipendesse da me, ti assicuro che starei qui," si sforza di sorridere. "La compagnia è senz'altro migliore.

Dio, Dio, Dio... cosa devo fare? Tutto questo sangue.
Penso stupidamente che adesso il disinfettante non mi basta più.

E mentre non so cosa fare, lui decide per entrambi.
Come sempre.

Chiude gli occhi e questa volta non li riapre.
Il suo respiro si ferma sulla mia bocca.

Tutto quello che segue lo faccio senza rendermene conto.
Mi dico che se Anis fosse qui saprebbe senz'altro cosa fare in questi casi.
Poi mi viene in mente che lui è qui, ma che non gli posso più chiedere niente.

Non riesco a pensare a nient'altro.

Su quel letto di solito ci scopavamo e adesso non è che il feretro del suo corpo.
L'uomo che amo è disteso là sopra in malo modo, con le braccia e le gambe che pendono fuori come se vi si fosse buttato sopra a casaccio. Sembra che dorma, o che finga di dormire, e aspetti me come fa sempre. Solo che c'è un lago di sangue che gocciola sul parquet e l'unica cosa che riesco a fare è contare le gocce, una dopo l'altra.

Aspetto l'ambulanza che se lo porti via, che me lo porti via.

Forse devo chiamare Tom.
Mi gira la testa e mi raggomitolo sul letto accanto a lui.
Spero che mio fratello non urli: Anis odia essere svegliato in malo modo.

Spero solo questo. Che Tom non gridi.

Il resto è quel che rimane del calore di Anis contro il mio corpo e io che ci piango sopra, come un bambino.

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