Driving Bill Kaulitz

di tabata
Sono all'areoporto di Parigi a fare scalo in attesa dell'aereo che finalmente mi porterà a Berlino.

Sono in volo da 12 ore e sono così stanco che potrei mettermi ad urlare. Non so chi me lo ha fatto fare di lasciarmi alle spalle un albergo a quattro stelle, il mio management e mio fratello per passare due - giorni - due a Berlino, accampato come un profugo in casa d'altri.

In realtà so che cosa me lo ha fatto fare. E' un perché con la pelle color cioccolata che mi aspetta al Berlin-Schönefeld. Un po' sorrido e un po' gongolo; non ci vediamo da tre settimane, sono così in fibrillazione che mi viene difficile non saltellare.

Le due ore d'aereo che mi mancano mi sembrano un'eternità.
Non voglo salire su un altro aereo, e voglio salirci subito per arrivare più in fretta.

Mi alzo di nuovo dalla scomoda sedia in pura plastica che mi ha accolto all'arrivo e che non ha fatto il suo lavoro per niente bene. Ho il sedere indolenzito e la schiena a pezzi, voglio qualcosa da bere ma la macchinetta è troppo lontana. E poi non voglio lasciare la valigia.

Che poi non è che sia proprio una valigia. Anis mi ha detto che se mi presentavo con un bagaglio che pesava più di cinque chili mi lasciava fuori di casa, così ho dovuto scegliere bene cosa portarmi dietro e far star tutto nella vecchia borsa da viaggio che mi ha prestato David.

Sospiro e mi guardo intorno.
Sono le cinque del pomeriggio e il sole sta calando. C'è una luce arancione meravigliosa sulla pista d'atterraggio e io mi annoio. Nel giro di mezz'ora riesco a rifarmi il trucco, a contare tutti i voli in partenza e a fare l'inutile somma dei minuti presenti sul tabellone: 374, per inciso.
Leggo perfino Marie Claire, ma non m'intrattiene nemmeno quello. Odio quando la moda non è sufficiente a distrarmi. E al mio volo manca ancora un'ora.

Quell'orologio va sicuramente più lento del normale.
E' rotto di certo. Manca un'ora da venti minuti.

Recupero il pacchetto di caramelle gommose che mio fratello mi ha sicuramente infilato nella borsa, lo fa sempre. E difatti eccolo lì, ben riposto nella tasca laterale. M'infilo l'i-pod nelle orecchie e mastico: da uno a dieci quanto sono indecente se ascolto Schmetterling?

Gioco con le borchie del polsino. Lo faccio girare avanti e indietro, e dentro e fuori.
Mi.Sto.Annoiando.Da.Matti.

E manca ancora mezz'ora.

Decido che è meglio controllare sul cellulare. Lo estraggo dalla borsa e mentre guardo con astio i numeri sul display che sono gli stessi che compaiono sull'orologio a muro dell'aeroporto, il telefono si mette a squillare. E' Anis.

"Ciao!" Premo il bottone e rispondo nello stesso istante. "Ciao," ripeto poi, perché non sono certo che la chiamata fosse già attiva la prima volta.

"Eri attaccato al telefono?" Lo sento ridere. Divento rosso e non mi riesce di trovare una cosa intelligente da dire. Con lui finisce sempre che faccio di queste figure. E sì, se posso, controllo il display del telefonino più di quanto dev'essere legalmente possibile. "Ascolta," riprende. "Quando parte il tuo aereo?"

"Alle sei."

"Hm-mh," lo sento che rimugina. "Quindi sarai qui per le otto."

Sorrido. Lo so che è stupido, ma questa frase mi fa un effetto strano, come se la sua attesa avesse tutto un altro significato. Come se fosse un qui che vuol dire casa nostra e non casa di Anis. Poi magari non è vero ma io un po' mi ci crogiolo in queste cose. "Allora mi vieni a prendere?" Chiedo.

"C'è un problema, Piccolo."

"Quale?" Io odio i problemi.
Rimango in attesa per sapere se devo arrabbiarmi oppure no.

"Mirko mi ha appena chiamato, devo andare a ritirare un premio. Una cosa da niente, ma devo esserci," mi dice. "Non riesco a venirti a prendere."

Qui urge un silenzio imbronciato. Ma io non so stare in silenzio. "Avevi promesso," pigolo.

"Lo so, ma possiamo vederci a casa."

Non è la stessa cosa, e glielo dico. "Non è la stessa cosa."
So che fa fatica a capire cosa ci trovi di così importante nello scendere dall'aereo e trovarlo lì ad aspettarmi. In linea di massima, arrivare in taxi fino a casa sua, aprire la porta e trovarlo seduto sul divano sarebbe un'emozione altrettanto bella. Ma diversa.

Quando scendo dall'aereo e lo trovo lì in piedi, invece, in mezzo a tutte le altre persone che aspettano i loro parenti a me il cuore batte forte. Perchè è una cosa normale, da persone normali. Io voglio prendere la mia valigia e sapere che lui mi aspettava già da un po', che ha seguito l'arrivo del mio aereo sul tabellone, che ha visto la lucetta lampeggiante ed è corso agli arrivi per vedermi non appena mettevo piede in aeroporto.

E poi voglio lasciare la valigia in terra e correre per qualche metro aggrappandomi al suo collo, che tanto siamo entrambi così coperti tra cappuccio e occhiali che nessuno si accorgerebbe di noi due in un posto in cui si stanno abbracciando tutti.

Se ci vediamo direttamente a casa è bello, sì.
Ma non è la stessa cosa.

Lo sento sospirare. "Mi dispiace," mormora.

Non so cosa dirgli, perché in questo momento non me ne importa se gli dispiace. E poi aveva promesso, e io c'ho fatto un viaggio di 12 ore con quella promessa.

"Bill?"

"Hm?"

Sorride. Non lo vedo, ma so che lo fa. "Non tenermi il broncio."

"Sono arrabbiato," preciso, come se qualcuno non lo avesse ancora capito.

"No non sei arrabbiato, sei solo deluso," mi corregge saggiamente. E io lo odio quando fa il saggio perché generalmente c'azzecca. "Lo so che volevi fare tutta la scena di venirmi incontro correndo e tutto il resto, ma non è colpa mia. E' stato un impegno imprevisto."

"Rimanda."

"Stai facendo il bambino."

"Io SONO un bambino."

"Certo, solo quando vuoi tu." Sospira di nuovo. "Ascolta, per farmi perdonare ho fatto in modo che tu non debba venire da solo in taxi."

La proposta, in effetti, è allettante.
"Sarebbe?" Chiedo, facendo il sostenuto.

Lo sento sorridere di nuovo. Non so come spiegarlo, forse è una vibrazione del respiro o il tono con cui poi parla ma io so sempre quando sorride. "Verrà a prenderti Chakuza con la mia auto."

"Chakuza?"

"Sì."

"Anis, chi diavolo è Chakuza?" Sbotto. Ho tirato le gambe sulla sedia e me le sono strette al petto. Non so se sono più arrabbiato perché non viene a prendermi, perché non è sufficientemente contrito o perché mi sta facendo venire a prendere da Dio-solo-sa-chi.

"E' uno dei miei ragazzi."

"Ah, perché siamo in molti?" Chiedo sarcastico.

Alza gli occhi al cielo. Lo so che lo fa, già me lo vedo.
"Intendo," precisa, "che è uno della crew."

Controllo l'orologio. Manca un quarto d'ora all'imbarco, così tirò su la borsa e me la sistemo su una spalla mentre mi guardo intorno in cerca del gate giusto. "Sì ma io questo non lo conosco."

"Lo conosco io," mi dice lui. Grazie, adesso sì che sto più tranquillo.

"E questo cosa dovrebbe significare?"

"Che può venirti a prendere lui e portarti a casa mia. Dovrei liberarmi per le nove, massimo per le dieci se devo esibirmi."

"E io cosa dovrei farci con questo Cha-"

"Chakuza," ride lui.

"Quello che è."

"Bill, deve solo accompagniarti a casa."

"Sì, ma non so nemmeno che faccia abbia, siete tutti uguali voi rapper," sbotto.

"Grazie, eh."

Mostro il mio biglietto alla hostess e passo oltre. "Vedi? Se venissi tu di persona ti riconoscerei."

Lui mi ignora. "Non dovresti già essere sull'aereo?"

"Ci sto salendo."

"Bravo bimbo"

*


Alla fine ha vinto lui. Non che non lo faccia sempre del resto.
E adesso io sono qui agli arrivi, ad aspettare uno che non so nemmeno che faccia abbia.

Ed è pure in ritardo.

Mi siedo con la borsa tra le gambe e ricomincio a mangiare le mie caramelle. Non era esattamente così che me lo aspettavo l'arrivo a Berlino. Insomma, che razza di week-end romantico è se già mi tocca aspettare le ore che qualcuno mi venga a prendere? Qualcuno che nemmeno conosco, per giunta.

"Scusami, mi sono perso due volte venendo qui. Mi dispiace."

Alzo lo sguardo e lo so che non è uno sguardo gentile. Anzi, è uno sguardo scostante e incazzoso, le caramelle gommose che mastico non migliorano la situazione. Lo fisso: ho le lenti scure che mi coprono metà viso per cui lui non ha idea del sopracciglio alzato e di tutto il resto. Indossa gli stessi abiti di mio fratello e, nonostante il triste esordio da sfigato, si atteggia a grand'uomo vissuto.
"Tu devi essere Chakuza," commento asciutto.

"Esatto," mi sorride. Cioè, mi sorride giulivo. La prossima volta che Tom mi dice che quello del rap è un mondo di duri e puri gli rido in faccia. Questo sembra il cugino degli orsetti del cuore. Gli mollo la borsa da viaggio e stringo sotto braccio la mia di Prada.

"Possiamo andare?" Chiedo.

"Certo."

Si prende la borsa senza fare una piega e cammina come se i pantaloni gli stessero per cadere da un momento all'altro; ho sempre ringraziato che Anis non si vesta in questo modo. Certo devo combattere con i suoi mocassini ma c'è di peggio al mondo.

"Fatto buon viaggio?" Mi chiede.

Non pensavo che avremmo fatto conversazione. "Dopo quattro ore qualunque viaggio non è più buono," rispondo. "Ho il culo quadrato." Lo vedo che sgrana gli occhi. "Che c'é?"

"No, niente," mi risponde grattandosi la nuca. "E' che pensavo... non so"

"Che fossi un educata signorina dei quartieri alti?" Ghigno.

Lui diventa color pomodoro e giuro che la linea tra la tenerezza e il sadismo a quel punto diventa veramente sottile. "Qualcosa del genere."

Sorrido e scuoto la testa. "Dove hai parcheggiato?" Chiedo, mentre usciamo dall'aeroporto. Mi guardo intorno, accendendomi una sigaretta.

"Vieni, di qua."

L'auto di Anis è un transatlantico, esattamente come quella di Tom. I due hanno in comune così tante cose che ci sono dei momenti in cui un po' m'inquietano le mie scelte. Chakuza si preoccupa di infilare nel bagagliaio la mia borsa da viaggio e sembra indeciso se debba o meno aprirmi la portiera: temo che abbia l'impressione di trovarsi di fronte alla Donna del Capo, o qualcosa di straordinariamente simile.

Quando si è ormai quasi deciso e ha la mano sulla maniglia, intervengo. "Vuoi che guidi io?" Esclamo con un ghigno.

Diventa rosso. "No, certo che no" si affretta a dire. E circumnaviga la macchina facendo l'indifferente mentre io entro. E' così semplice farlo andare nel panico che mi sento potente.
E' così che deve sentirsi Anis quando è con me.

Per un po', in auto, stiamo in silenzio. Fingo di annoiarmi mentre lo guardo, perché quest'uomo m'incuriosce. Intanto mi chiedo come sia possibile che un collega di Anis - perché è un collega, per dio, mica ha un patto di sangue con lui - accetti di fare da chaperon al suo ragazzo quando lui non può.

Cioè, questo Chakuza, che nella vita fa il cantante rap, è dovuto partire da quella che presumibilmente è la sua casa dall'altra parte di Berlino per venire a prendere me, di venerdì sera, quando magari c'aveva altro da fare anche lui. Voglio dire, avrà una vita no? O sta anche lui accanto al telefono ad aspettare che Anis lo chiami e gli dia degli ordini?

"Non ti dispiace farmi da autista?" Chiedo.

Si stringe nelle spalle. "No, anzi, mi fa piacere. Volevo conoscerti." Sollevo un sopracciglio e lui prosegue, guardando la strada. "Atze non fa che parlare di te."

"Chi?"

"Ehm... Bushido," si corregge. "E' così che ci chiamiamo fra di noi, sai.. Atze, Man.. roba così."

"Hm, carino."

Svolta a destra e riconosco la strada che stiamo facendo. Mi sistemo meglio sul sedile e mi prendo la libertà di mettere i piedi un po' dove voglio, tanto è la macchina di Anis. Lui mi ammazzerebbe se lo sapesse, ma Chakuza questo non lo sa.

"Sai, non aveva voglia di andare a quella premiazione-"

"Non ha bisogno che tu lo difenda," lo fermo lì.

"Difatti non ci pensavo neanche," ride lui. "Mi aprirebbe in due come un melone, se mi azzardassi a farlo."

"Non è il vostro compito?"

"Credo che tu ti confonda con la mafia," mi dice sorridendo. Ecco una cosa che insieme mi stupisce e trovo piacevole: Chakuza sorride sempre. E' da quando è arrivato a prendermi che non fa altro, come se fosse imprescindibilmente felice.

"Pensavo che doveste coprirgli le spalle durante le risse e cose di questo genere," commento dubbioso mentre ci fermiamo ad un rosso.

"Oh se ce ne fosse una, sicuramente lo faremmo," dice convinto. "Ma di solito ci pensano prima quelli della security."

"Quindi?"

Si prende un attimo per guardarmi, poi torna ad occuparsi della strada. "Siamo la sua crew. E' un po' come dire... la sua band, anche se è un po' diverso."

"Dubito che Georg sarebbe mai andato a prendere Anis se io non avessi potuto," ragiono.

"Te l'ho detto che è diverso."

A questo punto io potrei fare altre domande, perché la cosa mi incuriosisce in maniera viscerale. Io non so niente di questo Chakuza che mi siede accanto, nè tantomeno della crew. Anis non mi dice mai niente di loro, a parte il fatto che prima o poi li dovrò conoscere.

Non se vorrò, o se potrò. Dovrò. Non si è mai parlato di un mio possibile rifiuto a riguardo.

Sto per aprire bocca e sommergerlo con le mie domande, quando mi anticipa - il che è un caso più unico che raro nella storia della Germania, credo. Nessuno anticipa Bill Kaulitz. Nutro improvvisamente del profondo rispetto per Chakuza.

"Ti va di mangiare qualcosa?" Propone.

Sorrido di traverso.
"Chaku, cos'è? Ci stai provando?"

Rosso, di nuovo. "NO!" Esclama allarmato. Lo vedo che si arruffa tutto, maglie e contro maglie e gli si sposta pure il cappellino. "Io intendevo così, vista l'ora! Tanto per aspettare Atze che finisca..."

Rido di gusto. Lo so, sono stronzo.
"Calmati, scherzavo!" Gli comunico. Quindi tiro indietro gli occhiali scuri e me li sistemo tra i capelli con attenzione. Sorrido. "Dove mi porti?"

"In un posto che dovrebbe piacerti."


*


Chakuza ha capito tutto nella vita.

E non perchè è entrato a far parte della crew del secondo uomo più influente della Germania (che poi è mio, tra l'altro. Quindi insomma...). No. Lui ha capito tutto nella vita perché, diciamocelo, ha capito tutto ciò che c'era da capire di me.

"McDonald's!" Esclamo, e non mi riesce di tenere bassa la voce. Cioè, quest'uomo mi ha portato nel luogo dove avvengono tutti i miei sogni erotico-gastronomici che non comprendano Anis. E a volte perfino alcuni di quelli. Io i fast-food li adoro.

Chakuza si è già messo in fila alla cassa, e io lo seguo indegnamente trotterellante. Provo a darmi un contegno prima che si giri e chieda. "Che cosa prendi? Offro io," e poi aggiunge. "Ordini di Atze."

Quando ci avviamo al tavolo, sul mio vassoio c'è un Big Mac Menu grande, due porzioni di patatine, ali di pollo, Mcflurry al cioccolato e anche un Happy Meal perché mi piaceva la sorpresa. Lui ha preso un insalata. Mi sembra David.

Solo che David è un salutista vegetariano.
Chakuza, in teoria, dovrebbe essere un gangesta spietato che mangia le vacche a morsi. Da qui mi viene il sospetto che la sua non sia voglia di restare in forma, quanto pecunia di denaro.

"Dove la metti tutta quella roba?" Mi chiede, mentre appoggia il vassoio sul tavolo. Sono certo che non abbia cercato di tirarmi indietro la sedia solo perché aveva le mani occupate. E' ancora un po' intimorito da questa cosa che io vado a letto con il suo Atze.

"Sulla pancia, come tutti," rispondo. "Solo che faccio molto movimento."

"Sport?"

Chakuza è tenerissimo. Lo realizzo quando reagisce in questo modo. Mio fratello, con una hint del genere, si sarebbe buttato sulla prima volgarià disponibile e sarebbe andato avanti per ore e ore ridendo della sua stessa idiozia. "Più o meno," rispondo evasivo. "Allora, che cosa ti ha detto Anis di me?"

"Fà strano sentirlo chiamare così."

"Anis?"

Annuisce.

"Non hai risposto alla domanda. Lo fai di continuo."

Lui si schernisce dietro al bicchiere di CocaCola. "Atze ha un modo strano di dire le cose. Non sappiamo quasi niente di te, in realtà, ma ti tiene sempre in considerazione."

Credo di capire. E' così che mi parla di loro. Io non so come si chiamano, né quello che fanno o quale sia il loro ruolo nella vita di Anis però ci sono sempre quando prende delle decisioni, anche quelle che riguardano noi due. La crew fa parte di lui. Sapere che dall'altra parte della faccenda lui riserva un trattamento del genere anche a me mi riempie di orgoglio. E di gioia. Cristo, non è nemmeno presente e lo adoro.

Il resto della cena lo passiamo a parlare del più e del meno e scopro che io e Chakuza abbiamo un sacco di cose in comune. E che forse Anis me lo ha mandato di proposito questo qui a prendermi, perché passare le due ore che mi separano da lui insieme a Chakuza è di sicuro più piacevole che stare ad aspettarlo sul divano di casa sua.

"Credo sia l'ora di andare," mi dice ad un certo punto, guardando l'orologio patacca che si ritrova. Non possono davvero andarsene in giro in questo modo, offendono il mio senso estetico. Per un istante mi chiedo quanto sarebbe offensivo da parte mia offrirmi di rivestirli tutti.

Chakuza parcheggia sotto casa di Anis e mi aiuta a recuperare la borsa. Quell'enorme casa gialla al buio sembra fosforescente e, se quando vengo qui non mi interessasse soltanto rinchiudermi nella stanza di Anis e non uscirne per due giorni, lo costringerei a farla ridipingere. "Beh, grazie per essermi venuto a prendere e avermi fatto compagnia," dico.

Lui chiude il bagagliaio e mi sorride. "E' stato un piacere Bill."

"Quando racconterai agli altri che ti sei dovuto scarrozzare in giro il fidanzato di Bushido cerca di non farmi risultare troppo antipatico, intesi?" Scherzo.

"Cercherò di fare il possibile," mi dice lui, sparendo in macchina.

Quando entro in casa, è tutto buio. Mi aspettavo di trovare la cameriera di Anis che non perde mai un secondo, quando arrivo, per portarmi via borse e cappotto e invece oggi mi lasciano da solo a trascinare un borsone che pesa il doppio di me.

"Anis?" Chiamo.

Nessuna risposta. Continuo ad aggirarmi per le diecimila stanze di questa villa che è palesemente solo uno sfoggio di denaro. Anche se ci venisse a vivere con tutta la sua crew, i Tokio Hotel e anche il resto della mia famiglia, la casa sarebbe ancora troppo grande.

E comunque non sono sicuro di volere mio padre e Anis sotto lo stesso tetto. Ho il forte dubbio che non andrebbero molto d'accordo. Per questo ho istruito Tom perché menta se papà gli chiede qualcosa riguardo alla mia attuale relazione sentimentale. Come un disco ben registrato, Tomi risponderà: rapper tunisino? Papà ma cosa stai dicendo? Guarda là, hai visto che sole?

Attraverso il corridoio fino alla sala. "An-"

L'enorme soggiorno è illuminato soltanto da decine e decine di piccole candele bianche sparse per ogni dove e Anis è in piedi in mezzo alla stanza, con un cartello bianco in mano che recita: "BILL KAULITZ."

Sorrido e lascio andare a terra la borsa, correndogli incontro. Gli getto le braccia al collo e mi stringe a sè, poggiando la fronte contro la mia. "Fatto buon viaggio?"

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