Collide

di tabata
Io sono una persona che sa sempre esattamente ciò che vuole e quello che voglio, in un modo o nell'altro, lo ottengo sempre. Questo mi è possibile per due motivi fondamentali: il primo è che sono testardo. Il secondo è che conosco sempre le conseguenze dei miei desideri e, essendone a conoscenza, so sempre cosa mi aspetta una volta che li ho ottenuti..
Ora, in questo preciso momento, io voglio Tom Kaulitz fuori da casa mia. E, pur sapendo che questo mio bruciante desiderio porterà ore di sventura sulla mia persona, non penso neanche per un istante di rinunciarvi e prendo atto del mio destino.
Dunque, quando decido di dare l'ordine, so esattamente che cosa seguirà alle mie parole. Conosco la sequenza esatta delle azioni che andranno a compiersi un secondo dopo la mia.
Esclamo un generico, "Toglietemelo di torno," ed è sufficiente a farmi capire.
Non ho bisogno di fare nomi, rimangono tutti seduti tranne quello che sa di doversi alzare, ossia Chakuza. La situazione è palesemente chiara: Tom sta facendo il cretino, lo voglio soltanto fuori di qui, ed è Chakuza ad occuparsi di queste cose di solito.
E' il mio mediatore. Se avessi voluto pestarlo - se avessi dato loro l'impressione che volessi - si sarebbe alzato Nyze, o Saad. O molto più probabilmente lo avrei fatto io.
Chakuza è capace di fare molto male alla gente se decide di menare le mani ma, di solito, prima di farlo, ci pensa parecchio ed è per questo che mi piace.
In un branco di teste calde - me compreso - ne serve uno che nel bel mezzo di quella che potrebbe diventare una rissa abbia il candore di riportare tutti coi piedi per terra facendo notare che è ora di cena.
Lo vedo che si alza con un mezzo sorriso bonario; è alto la metà di Tom, praticamente, ma è grosso il doppio e, non so come, ma riesce ad apparire quasi minaccioso. Solo che non ne ha assolutamente intenzione. Gli allunga uno scappellotto e se lo porta via per lasciarlo appena fuori dalla porta. Sa che voglio solo questo: che quel ragazzino capisca che non può venire in casa mia a darmi del pedofilo e pensare che io chini la testa benevolo come se fossi suo padre. Non sono così fuori di testa da farlo gambizzare per un po' di capricci, ma non sono neanche abbastanza buono per sopportarlo oltre.
Tom in questo periodo è oggettivamente insopportabile e soltanto Bill potrebbe trovare il modo di giustificare le sue parole, le sue azioni e - in linea generale - quell'atteggiamento che ha deciso di assumere, strafottente nel mio caso, e disgustosamente protettivo nei confronti di suo fratello.
Difatti, come del resto avevo previsto, nel momento stesso in cui finisco di dare l'ordine, sento la stilettata degli occhi di Bill direttamente nel collo. Non mi volto a guardarlo, continuo a fissare suo fratello che mi ringhia contro come un cane rabbioso mentre Peter se lo porta via ridendo. E lì comincia.
Bill ha imparato che ha un posto ben preciso nel mio universo. E' un posto di riguardo, il posto migliore che si possa avere in casa mia se non si è un rapper e contemporaneamente si è anche un ragazzino effeminato con nessun diritto apparente di dormire nel mio letto. Bill non è una scopata qualunque che magari ha avuto la fortuna di rimanermi intorno per quella settimana lì, con gli altri che le danno più o meno l'importanza di un nuovo paio di scarpe. Bill è il mio compagno, che è una roba folle - forse - ma è anche una roba che ha un prezzo.
Il prezzo di Bill, nello specifico, è quello di stare zitto, che per lui è senza dubbio un grosso sforzo. Il realtà, nel nostro privato, può dirmi quello che vuole - e lo fa. Dio solo sa se lo fa! - ma davanti ai ragazzi no. Ho già dovuto prenderli a mazzate quasi uno per uno perché la piantassero di incazzarsi o prendermi per il culo perché avevo scelto lui, gradirei che non ricominciassero chiedendosi se non lo tengo a bada. E Bill, in effetti, sta zitto. Rimane rigido accanto a me, si fa prendere per la vita e non dice una parola. Il fatto che abbia i lineamenti così contratti da sembrare un'altra persona, però, non è affatto un buon segno.

*



Una volta fuori dalla visuale dei ragazzi, che alle nostre spalle hanno ripreso ad abbuffarsi con i pasticcini di Karima, Bill si divincola dalla mia stretta con quello che non posso che registrare come un movimento estremamente infastidito. Infila il corridoio che porta alle camere da letto senza una parola. Io conosco il corpo di Bill a memoria e so leggerlo come una cartina. Dal momento che è una creatura complicatissima, l’analisi del suo corpo è l’unico modo che ho di capirlo davvero. E’ il suo libretto di istruzioni. Adesso cammina spedito, una gamba dietro l’altra a ritmo costante, lunghe falcate in linea retta, con le braccia strette ai fianchi in una posa stizzita. E’ furioso e tutta quella furia, che finora è rimasta pressata nel suo stomaco, finirà per essere liberata, percorrere a gran velocità la lunghezza esagerata del suo busto ed esplodere con un fragore assordante. Da quando deve trattenerle, le sue incazzature sono dieci volte più violente, funzionano come polvere da sparo caricata nel suo corpo come fosse un mortaio. Una principessa pericolosa.
Lo guardo storto anche se non può vedermi, questo perché sono esasperato. Lo sono ancora prima di cominciare questa discussione, lo sono pur sapendo che alla fine lo sarò ancora di più. Forse sono esasperato proprio perché so con certezza che mi manderà fuori dalla grazia di Dio. “Bill,” lo chiamo.
Mi ignora, ovviamente, come la diva che è. Spalanca la porta con più forza del necessario e la sento sbattere contro la mia cassettiera da molti, molti euro. Odio quando lo fa, e lui lo fa perché sa che lo odio. Lo seguo all’interno con un sospiro e mi chiudo la porta alle spalle dal momento che la mia crew è ancora tutta al piano di sotto e io non voglio che assistano alla piazzata. Una certa parte di me ci tiene a dare l’immagine che sia tutto perfetto, senza mai un litigio. Devono credere che io abbia tutto sotto controllo. Tutto sotto controllo un cazzo, con lui. Bill fa sempre quello che vuole. Come me.
“Bill, ti ho chiamato, mi pare,” ripeto. Faccio fatica a non mandarlo a quel paese già ora. Lui di nuovo non mi risponde e lo trovo di fronte al cassettone che si toglie i braccialetti con gesti secchi, quasi tirandoli sul pianale. Così me lo graffia.
“Intendi tornare a parlarmi, prima o poi?” Incrocio le braccia al petto.
Lui mi dedica un’espressione talmente altezzosa che potrei fargli del male se solo non fosse Bill. Tra le altre cose, lui sa perfettamente che le mani addosso non gliele metterei nemmeno se fossi costretto, per cui ci marcia sopra. Fa così lo stronzo solo con me.
“E cosa dovrebbe dire la donna del capo in questi casi?”
“Suppongo che la donna del capo abbia abbastanza cervello per saperlo da sé, cosa deve dire.”
“Non avresti dovuto trattarlo in quel modo,” sputa fuori.
Eccolo qui, il problema. Non che non lo sapessi, ma pensavo ci avrebbe girato intorno molto di più. Di solito si scazza per qualcosa ma sbotta per tutt’altro, finché dopo una sequela assurda di motivazioni fuori luogo, quella vera non salta fuori quasi per caso.
“Avrei dovuto lasciare che mi insultasse in casa mia?” Chiedo.
Appoggia una mano sul cassettone e smette di togliersi anelli e catene come se provasse per loro del disgusto incontrollato. “La tua reazione è stata assurda,” dice, guardandomi. “Sembrava uno di quegli stupidi film di mafia. Doveva essere una discussione di famiglia, accidenti!”
Ci risiamo. “I ragazzi sono famiglia qui, lo sai.”
“No!” Scuote il capo. “La mia famiglia, Anis! Io, te, mio fratello. I parenti. Questa famiglia!”
“Per me le due cose si equivalgono,” dico. “E’ come se fossero davvero miei fratelli.”
“Non cercare di darmela a bere!” Replica. “Non erano tuoi fratelli su quel divano, e tu lo sai. Li hai usati per darti importanza. Tom da solo e tu con tutti i tuoi.”
“Questo non è assolutamente vero,” dico. E’ una mezza verità.
Lui nemmeno mi ascolta, si pinza la radice del naso. “Io riesco a convincerlo a venire a conoscerti per dimostrargli che non sei un delinquente e tu ti presenti come il capobanda. Grazie mille!”
E’ chiaro che in una situazione di questo tipo, quell’angelo di suo fratello non ha alcuna colpa. Ho avuto molta pazienza con entrambi i ragazzini. Il mio perché era il mio. E l’altro perché era il suo, cazzo. E io questa cosa la odio. “Tuo fratello non è certo partito ben disposto, nei miei confronti,” ritorco. E mi rendo conto che può sembrare un po’ infantile ma non ne posso più. “Perché credi che si sia lasciato convincere a venire fino a qui? Per dirmi quello che poi mi ha detto, è ovvio!”
Scuote la testa incredulo e anche vagamente esasperato, cosa inaccettabile. Qui quello esasperato sono io. “Tu avresti dovuto passarci sopra, Anis! None eri tu quello maturo?”
“A lasciar correre coi ragazzini si ricavano solo guai.” E lui ne è una prova evidente. Non mi pento mai di averlo fatto entrare nella mia vita, tranne quando diventa così insopportabile. In questi casi tremendi la prima cosa che mi viene da chiedermi è perché quella sera, invece di buttare a terra tutti gli hamburger che aveva portato e stenderlo sul tavolo, non ho rimesso tutti i panini nella loro bella bustina e gliel’ho restituiti, parcheggiandolo sullo zerbino come ogni altra dannata sera prima di quella.
A volte penso che la mia sanità mentale dipenda da quel soffritto di Karima che non ho mai assaggiato.
“Quello non è un ragazzino a caso, Anis. E' mio fratello, e tu non lo fai buttare fuori di casa come uno stronzo qualunque, chiaro?”
Quando gli trovo questo tono in bocca mi sale il sangue al cervello. Io a Bill permetto quasi tutto ma non di dirmi come mi devo comportare. Con il sottoscritto è prendere o lasciare, non mi si cambia. “Quando smetterà di comportarsi come uno stronzo qualunque, forse!” Alzo la voce e al diavolo la discrezione.
Pianta le mani sui fianchi e mi guarda minaccioso. “Non alzare la voce con me!” E la alza anche lui. Qui finisce che ce le diamo di santa ragione, o che scopiamo. Una delle due.
Ringhio un po’ e poi mi rendo conto che Bill ha diciannove anni e di queste cose, per quanto io lo ami, non ha capito una sega finora e dubito la capirà mai. “Bill,” cerco di calmarmi e di spiegargli per la milionesima volta come e perché io mi comporti così. “Mi conosci. Sai come gira da queste parti. E conosci tuo fratello, sai che non potevo lasciare che facesse il bello e il cattivo tempo. Non con me, in casa mia.”
Ci sono volte in cui Bill arriva a comprendere.
“Non me ne frega niente se quel branco di scimmie di là in salotto capisce solo la legge della giungla. Mio fratello non rientra nel gioco.”
A volte proprio no.
TU rientri nel gioco. Quello che Tom vuole è che tu ne esca ed io non sono disposto a cedere sul punto.”
“Non sei tu che devi decidere, te ne rendi conto? Sono io. E decido da solo, grazie.”
Ci mancava solo il bisogno di autoaffermazione, come se già io e altri otto uomini adulti e, in gran parte, con la fedina penale sporca, non fossimo ai suoi piedi per qualsiasi cazzata. “Ogni decisione ha le sue conseguenze, Principessa. Se tu decidi di restare, resti alle mie regole. Lo sai.”
Bill apre la bocca e quindi la richiude subito dopo, segno inequivocabile che è già oltraggiato oltre i limiti del concepibile. Bill risponde sempre, se quando schiude le labbra non esce alcun suono significa che il suo cervello ha registrato determinate parole ma fatica a crederci e non riesce ad inviare parole utili in un tempo di risposta adeguato. Ha un momento di stasi, ma si riprende quasi subito. “Io non sono uno dei tuoi uomini, Anis! Tu con me questi discorsi non li fai. Ho accettato un sacco di cose, sono anche disposto a fare la bella statuina al tuo fianco ma c'è un limite a tutto e quel limite è mio fratello! Regole o non regole!”
Se non fossi così mostruosamente alterato da questo suo atteggiamento, dal fatto che dovrei dimostrarmi maturo e non mi riesce per niente e dall’idea che per quanto io urli e sbraiti suo fratello me lo ritroverò sempre intorno – e lo so che è così! -, se non ci fossero tutte queste incognite, troverei Bill delizioso. E’ in piedi di fronte al mobile, l’anca un po’ spostata, in quella posa che lo aiuta a darsi un tono alle volte, e agita entrambe le braccia in una maniera non propriamente aggraziata che lo rende molto tenero. E’ un cucciolo che ringhia e si prende molto sul serio.
Io però non gliela do vinta nemmeno se paga. “Non sei uno dei miei uomini, d'accordo, ma sfortunatamente per te, non sei nemmeno una donna, quindi in queste cose rientri per forza. Non posso trattarti come se fossi la mia ragazza, non posso sorriderti e dirti Ci penso io, amore. Sei un maschio. Ragiona coi maschi. Le regole si seguono.”
Sì irrita e si arruffa tutto. Sa che ho ragione su questo, che se ha deciso di protestare, deve farlo con raziocinio. Non può semplicemente pestare i piedi perché non lo ascolterò. Mi mostri delle ragioni valide, e forse ne riparleremo. Passare sopra le cazzate di suo fratello solo perché è suo fratello non esiste proprio.
“Tu e le tue dannate regole!” Sbotta. E’ furente. “Tratti Tom come se fosse uno dei tuoi stupidi nemici giurati! Con lui potresti piantarla di fare il gangster di strada e parlare come una persona normale. Che cazzo, se tu fossi venuto a parlare con lui e ti avesse fatto buttare fuori dalla security, non sarebbe stata una bella cosa ti pare? C'ero già io lì che stavo zitto per non contraddirti di fronte agli oranghi - sia mai che il tuo ragazzino passivo, e quindi checca, ti tenga i piedi in testa- non c'era alcun bisogno di trattare Tom in quel modo. La tua supremazia assoluta da vero uomo del ghetto c'ero già io a dimostrarla.”
Sbuffo una risata sarcastica. “Non mi pare che questo abbia impedito a tuo fratello di insultarmi, però. Come la mettiamo?” Non è una domanda, quindi non mi aspetto che risponda, non gliene do nemmeno il tempo. “O gli metti una museruola, oppure non so che farmene del tuo silenzio-assenso, Bill.”
“Di certo tu non mi aiuti comportandoti in questo modo!” Sbraita ancora, mentre prende a togliersi il giubbotto che indossa, gettandolo a caso per la stanza. Cosa, anche questa, che mi dà sui nervi. E lui lo sa. “Io passo settimane a dirgli che non sei pericoloso e tu fai scene del genere! Chissà perché mio fratello non mi crede, vero?”
“A me non frega assolutamente niente di quello che crede!” Gli faccio notare, intanto che mi siedo sul letto e sfilo le scarpe. “L’unica cosa che mi importa è che stia alla larga.”
“Questo te lo puoi scordare, Anis.” Osserva nello specchio difetti che non ha.
“Non era una richiesta.”
“E la mia è un’affermazione,” replica, tornando a guardarmi con quell’aria strafottente.
“Tuo fratello lo voglio fuori dalle palle, Bill,” chiarisco. “Non farti dire chiaro e tondo che questo è un ordine.”
Smette di tirarsi la pelle degli zigomi come una quarantenne e mi osserva a dir poco sconvolto. “Spero che tu stia scherzando.”
“Mai stato più serio.”
“Anis, tu non puoi chiedermi una cosa simile!”
Mi stringo nelle spalle e mi tolgo la camicia. Sono stanco, voglio dormire e se potessi chiudere la conversazione in questo preciso istante con uno schiocco di dita non vorrei nient’altro. “Come vedi lo sto facendo. Tanto, in ogni caso, che rapporti avete adesso? Vi vedete, lui mi insulta e tu torni qui. Fai un favore a tutti ed evita di andare da lui e basta.”
“Sto cercando di recuperarlo, il mio rapporto con Tom, in caso ti fosse sfuggito.” Lo vedo che si spoglia e decido di non guardarlo perché finisce sempre che mi distraggo e poi quel pigiama assassino mi manda sempre in confusione il cervello. Ripongo il mio braccialetto e l’orologio nel cassetto del comodino. “Non mi sembra ci sia un granché da recuperare.”
“Oh certo!” Il sibilo mi si conficca nella schiena, tra le scapole. “A te non interessa niente, ti basta aver ottenuto quello che volevi! Non ti passa per il cervello che possa tenerci, io, vero? Tutto quello che mi deve interessare sei tu e il cazzo di mondo in cui vivi!”
Mi giro di scatto e non mi trattengo dal lanciargli l’occhiata peggiore che mi possa venire. Adesso ho raggiunto il limite, seriamente. Se vogliamo parlare di chi ha perso, rischiato e ottenuto cosa, avrei un paio di cose da dirgli su di noi e su quello che ho fatto per tenerci in piedi. “Vogliamo fare il gioco del chi ha ottenuto quello che voleva, Bill? E’ questo che vuoi?” Abbaio. “Devo rifare il conto di quante volte ti ho chiesto di tornartene a casa e non entrarci, nel cazzo di mondo in cui vivo? Chi è che si è ostinato? Chi è che vedeva solo quello che voleva e non pensava a nient'altro?”
Lo vedo stringere pericolosamente le dita intorno alla spazzola. “Quindi adesso mi tieni qui solo perché ho insistito al punto di romperti le palle? E' questo che stai dicendo?”
“Ma certo Bill. Tanto presentarti ai miei amici e farti accettare da mezzo mondo era una cosa da niente, potevo pure farlo a tempo perso. In realtà di te non mi interessa niente, sei qui solo perché non ho avuto tempo di buttarti fuori,” ironizzo.
“Cretino,” borbotta, prendendo a spazzolarsi i capelli come se volesse strapparseli dalla testa.
“In questo casino ti ci sei voluto ficcare anche tu. Prova a negarlo se ci riesci.”
“Questo non-“
“E ora che ci sei, ci resti, perché a questo punto sono io quello che non vuole lasciarti andare.”
Non mi risponde. Sulla stanza cala il silenzio, interrotto solo da lui che si spazzola e da me che finisco di cambiarmi e appoggio le mie cose su una sedia.
“Non ho mai pensato di andarmene,” dice alla fine. “Ma non sceglierò tra te e mio fratello, Anis. Scordatelo.”
“Puoi fare quello che vuoi, ma io non tollererò più di averlo intorno, libero di dirmi ciò che mi ha detto oggi,” replico. “Sono stronzate.”
“Lo sa anche lui,” risponde. “E’ solo che non ha altro modo di reagire. E’ evidente che hai più potere tu, lui…è solo arrabbiato.”
Mi passo una mano sugli occhi. Voglio dormire. Voglio dormire e basta, cazzo. Con lui o senza di lui, a questo punto e in questo momento, non m’interessa proprio. “Sono arrabbiato anche io, ma per qualche strano motivo questo sembra sfuggirti. Tom non è un bambino di tre anni, che si arrabbia e allora tira i capelli agli altri bambini. Si atteggia da adulto, quindi lo tratterò come tale.”
Bill sbuffa. “Non ha veramente intenzione di denunciarti.”
“Probabilmente no, ma se continua così, finirà per sparare le solite cazzate in un posto in cui non può permetterselo. Quindi, dal momento che è il tuo adorato gemello, vedi di tenerlo alla larga.”
Bill fa un mezzo inchino sarcastico. “Sì, padrone.”
“Non mi serve che tu annuisca e poi continui a fare il cazzo che ti pare, Bill. Cerca di essere una persona matura.”
“Tu cerca di fare meno lo stronzo, e poi ne riparliamo.”
“Se volessi fare lo stronzo ti spedirei in camera degli ospiti,” sibilo. “Così ti chiariresti le idee.”
Sento la spazzola sfrecciarmi a due millimetri dall’orecchio e faccio di tutto per non far vedere la mia sorpresa. Non mi giro, decidendo di ignorare dove sia andata ad atterrare, fracassando qualcosa che è andato in mille pezzi. “Sei fuori?” Sbraito.
“No sei tu quello fuori! Sai cosa ti dico? Sono io che vado nella camera degli ospiti!” Replica stizzito.“Non ho nessuna intenzione di dormire con te! Mai più!”
I capelli li ha tirati indietro con la sua fascia e gli ricadono ai lati del viso. Ha un musino comico. Io però sono incazzato e devo decidermi a ricordarlo. “Vai dove cazzo ti pare Bill!” Replico. “Da tuo fratello magari!”
“Sarebbe sicuramente meglio di te!” Bercia, prima di chiudersi la porta alle spalle con uno schianto.
Mi faccio prendere da uno scatto d’ira e con un gesto butto giù tutto quello che c’è sul comodino, per poi prenderlo a calci. Devo sfogarmi o finirò per tirargli davvero due ceffoni.
Come se potessi.

*



Anis è un cretino.
Anzi è più di un cretino, è un deficiente. Un deficiente stratosferico. Prepotente, egoista, supponente, arrogante e stronzo. Stronzo un sacco. Tom aveva ragione e io sono stato un imbecille a stargli dietro finora. Uno si sforza di capirci qualcosa qua dentro, che dovrebbero essere tutti cantanti e invece non ce n’è uno che lo faccia, e si sparano addosso. E l’onore. E le regole. Se sento un’altra volta la parola regole ammazzo qualcosa. Mi parla di regole! Lui che non le segue mai! Vogliamo parlare di regole quando decide anche per me senza consultarmi? Quando mi mette le mani addosso mentre dormo – e sì che gliel’ho detto un milione di volte che deve dirmelo prima. Le regole per lui non esistono, esistono solo per gli altri. E io non lo guarderò mai più per tutta la vita. Il sottoscritto se lo può scordare, da qui in avanti. Mai più, anche tornasse strisciando. E siccome lo so che Anis non striscia, allora non ci vedremo mai più. Da domani in poi. Torno da Tomi, e poi lo vedremo. Cretino.
Col cavolo che dormo con lui – che poi dormire con lui significa quasi sempre fare l’amore con lui. Che ci pensi da solo il grand’uomo del ghetto! Dormo nella camera degli ospiti. Sono pure uscito senza il cuscino, e ho su soltanto il pigiama bianco che è meraviglioso ma è trasparente, tipo.
E ci sono quelli, giù. ‘Fanculo!
Svolto l’angolo per scendere le scale perché, tra le altre amorevoli cose, la camera degli ospiti sta pure al piano di sotto, e mi scontro con Eko che deve aver, tipo, svuotato la dispensa perché ha in mano un panino che pesa quanto me, imbottito di prosciutto fino ad esplodere. “Frinshifeffa?” Mi chiede con la bocca piena.
“Eko, tu cosa diavolo ci fai qui?” Che poi lo so cosa ci fa qui. Ci fa che si accampano sempre in salotto, nemmeno fosse casa loro.
Lui si sfila il panino di bocca e non cambia espressione che, nel suo caso, significa guardarmi con due occhi rotondi come palline da golf. Lui, fra tutti, è quello che ho capito meno; in particolare non ho capito se c’è o ci fa, e cosa ne pensa di me, questo qui. Se non altro con Saad e Nyze è facile: non mi possono vedere e non si preoccupano di nascondermelo. Ma Eko? Si comporta come se non fosse mai nella stanza in cui si trova fisicamente. A volte non ho capito nemmeno se si è accorto che esisto.
“Stavamo mangiando qualcosa coi ragazzi,” mi dice. “Sono avanzati dei pasticcini. Tu, piuttosto, perché vai in giro nudo.”
“I ragazzi? Dico ma non ce l’avete una casa voi?” Replico. “E comunque non sono nudo, ho su il pigiama.”
Il pigiama me lo sono regalato da solo due mesi fa. Costa un occhio della testa ed è praticamente fatto di niente. Lo tengo da Anis, come un mucchio di altri vestiti. Il suo era un armadio perfettamente in ordine prima che decidessi di colonizzarne uno sportello con la mia roba. D’altronde non faccio che fare avanti e indietro da questa casa, non posso mica sempre portarmi le valige.
“Ma è tipo trasparente,” commenta Eko, con un notevole slancio di entusiasmo. Mi guarda e non so cosa stia vedendo. Sembra più sorpreso dal fatto che la stoffa è effettivamente trasparente piuttosto che dal mio ombelico che s’intravede. “Comunque tiriamo fino a tardi, Atze ci lascia fare… anzi, lo hai visto per caso?”
Questo è esattamente quello che intendevo, Eko sembra analizzare le situazioni che lo circondano con un metro tutto suo, che prende in considerazione solo certi dettagli e non altri che, per dire, sarebbero anche più logici ed evidenti per il resto del mondo. Io vivo praticamente qui, anche se non ufficialmente. Io e Anis siamo stati in camera negli ultimi quaranta minuti. Non è che passavo di qui per caso, cristo, è il mio uomo. E questa è una casa. E sono le una. L’avrò visto, ti pare? Dove vuoi che fosse se non in camera? Con me. Magari dovreste pure togliervi di torno, concederci privacy. E io sto parlando con Eko senza dirglielo da almeno mezz’ora. “Sì, è in camera il tuo Atze,” borbotto, incrociando le braccia. Quindi sospiro perché continua a fissarmi. “Eko ti dispiace smetterla di fissarmi? Cos’è, non hai mai visto un uomo nudo?”
Lui mi guarda sempre con quegli occhi a palla. “Beh, sì. Mio fratello quando facevamo la doccia insieme perché mancava l’acqua ma che c’entra? Tu non sei mio fratello,” mi fa notare. “Sei…”
“E’ meglio se non lo dici.”
“Non lo dico,” concorda lui. “Ma vai sempre a dormire così?”
“Beh, no. Ho anche altri pigiami-EKO!” Faccio un passo indietro e lui lascia andare l’orlo del pigiama che aveva preso con due dita e sollevato. Mi guarda come se non avesse fatto niente di sconveniente e io avessi urlato per nulla.
“Che c’è!” Mi dice infatti. “Sei tu che appari nel corridoio, seminudo e all’improvviso. Dov’è che stai andando? Ti serve qualcuno?”
Le domande me le fa una dietro l’altra, con lo stesso tono e un po’ credo di sapere da dove vengano. Qualcuno deve avergli detto come trattare con me perché, altrimenti, lui non è capace. Non ha ancora capito che cosa sono, figuriamoci se sa come comportarsi. Così adesso che ha visto che vago per i corridoi – sperduto, ai suoi occhi – ha pensato bene di informarsi, casomai la sua persona servisse a qualcosa.
“Sto andando nella camera degli ospiti,” dico un po’ mogio.
“E perché?” Mi solleva di fronte agli occhi quel panino assurdo. “Vuoi un pezzo? Ho preso solo roba non scaduta.” E vorrei vedere che ci fosse qualcosa di scaduto con Karima in casa. Quella è capace di tirarti scemo a furia di chiacchiere se trova anche solo un limone un po’ marcito nel cassetto del frigo.
Scuoto la testa e lui riprende a mangiare, stringendosi nelle spalle. “Perché il tuo capo è stronzo,” rispondo, invece, all’altra domanda. “Ecco perché.”
“Che cos’ha fatto?”
Sospiro e quindi mi siedo su una delle sedie imbottite che sono appoggiate al muro lungo il corridoio. Mi stringo nelle spalle mentre Eko mi staziona davanti. “Secondo te?”
“E’ per quello che abbiamo fatto a tuo fratello? Guarda che Chaku gli ha dato solo un buffetto, eh,” mi assicura, ingoiando pezzi di panino grossi come la sua testa. “Lo ha portato solo fuori di casa, sullo zerbino proprio. Non gli ha fatto niente.”
“Non è questo il punto,” sbuffo. “E’ il principio che ci sta dietro che è sbagliato.”
“Quale principio?” Mastica lui, beato. “Quello per cui Atze non ti toglie le mani di dosso nemmeno se gli sparano?”
“Certo che no! Si può sapere di cosa parlate voialtri quando non possiamo sentirvi?” Lo guardo un po’ storto. “Comunque mi riferivo al fatto che ha trattato Tom come il peggiore dei suoi nemici…. Fler, tipo.”
Eko ridacchia e si scuote tutto. “Spero che tu non lo abbia nominato di fronte a lui. Comunque, secondo me, stai un po’ esagerando. E’ stato solo un po’ severo.” Tira fuori una fetta di formaggio e me la sventola davanti. “Sicuro di non volere?”
“Dio no… mi sta salendo la nausea.”
“Comunque, è tutto qui il problema?” Riprende lui, peraltro pulendosi con la manica. “Che è stato severo con tuo fratello?”
“Non è stato severo,” puntualizzo. “E’ stato una specie di capomafia. E voi tutti dietro come cagnolini.”
Eko mi guarda come uno che sa tutto e deve spiegare questo tutto ad uno che non sa nulla, cioè io. E’ la stessa espressione di Bushido ma, a differenza di Anis, Eko sembra farlo controvoglia. “Dovevamo soltanto mettergli un po’ di strizza, al Principino.”
“P-principino?”
Eko sbuffa, evidentemente convinto di dovermi spiegare anche quello. “Visto che tu sei la Principessa, lui è il Principino, capito?”
Penso che mio fratello ammazzerebbe qualcuno – un bambino, un gatto, Eko… - se lo venisse a sapere. Non solo il nome non è virile per niente ma gliel’hanno dato solo in funzione del sottoscritto, donna del capomafia, praticamente l’onta massima. Mi immagino la faccia che farebbe, davvero, a sentirsi chiamare così e mi viene da ridere. Eko mi guarda un po’ confuso. “Che cos’altro non so?” Chiedo divertito.
“Beh, così su due piedi non saprei,” riflette Eko. “Lo sapevi che sfottiamo Bushido continuamente su chi porti i pantaloni fra voi due, sì?”
“Ah sì?” Sorrido compiaciuto. In questo preciso momento di rabbia verso quell’uomo che non mi avrà mai più nel suo letto, sento le campane per una rivelazione del genere.
“Sì, perché è piuttosto palese che quello mica ragiona quando ci sei di mezzo tu.”
Lo guardo scettico. “Ti assicuro che ragiona anche troppo,” borbotto, giocando con le dita. “Non fa che dare ordini.”
Eko annuisce come se sapesse di cosa sto parlando ma con lui non sono troppo sicuro che lo sappia davvero. Annuisce un po’ sempre lui. “E’ solo che è un tipo dispotico,” decreta. “E poi ha paura del Principino, devi tenere conto di questo.”
“Come scusa?”
“Ma sì,” mi liquida, come fosse una cosa da niente. “Questa cosa che siete legati, voi due gemelli; che non è come avere un fratello… è come avere tipo, un’anima gemella. E a lui questa cosa gli rode. E poi c’è anche che all’altro Kaulitz piace l’Aggro Berlin. Anche questo lo devi tenere in conto, Principessa, mica puoi pensare di non pensarci. Capito?”
Ho capito che Eko non si sa esprimere e non so come sia arrivato all’età che ha. In ogni caso quello che ha detto getta una nuova luce sulla questione. Improvvisamente scopro che Anis non è così palese come mi sembrava, che il suo cervello è capace di giri mentali contorti quanto i miei. “Quindi è per questo che si comporta così? Perché…è geloso?”
“Non è geloso, Principessa, gli girano le palle.”
“Perché è geloso,” insisto.
“Tu non lo dire mai, questo,” commenta lui, annuendo saggiamente. “Dai retta ad Eko. Comunque, gli girano le palle, ha paura che tu prenda e te ne torni da tuo fratello, che manco fosse tua madre, dico io!”
Sono senza parole. Bushido si pone in maniera molto epica col mondo, quindi tu ti aspetti che sia una persona epica, e abbia problemi epici. E invece no, col cazzo. E’ rimasto a Templehof, quando aveva quindici anni. “Mi pare giusto, da parte sua, comportarsi così e trattare male Tom, così starò sicuramente con lui. Che bambino!” Borbotto, per altro alzandomi e costringendo Eko ad andare a ruminare quattro passi indietro. “Siete tutti dei bambini!”
“Siamo maschi, ragioniamo a livello base,” mi dice candido, come se io non fossi un maschio. E a questo punto credo che sia convinto che non lo sono. Eko è meraviglioso, in questo senso, il mondo può girare per un certo verso e lui sarà comunque fuori dall’asse di rotazione. E senza un problema, anche.
“No, siete maschi col cervello di un bambino di cinque anni! Vi arruffate tutti per delle cazzate immani e poi fate le stronzate! E quel cretino del tuo capo mi ha praticamente buttato fuori di camera per far cosa poi? Lo sai cosa starà facendo adesso?”
Mi sgrana tanto d’occhi. “No, non ho idea di cosa faccia Bushido a letto.”
“Beh, sta borbottando! Sta borbottando perché aveva dei piani e se li è rovinati da solo,” replico, agitando le mani.
Eko va nel panico. Mi mette il panino davanti e con l’altra mano si copre un orecchio. “Okay, alt! Fermo! I piani di Bushido non mi interessano.”
“Eko, calmati. Non avevo alcuna intenzione di metterti al corrente della mia vita sessuale…”
“Sempre meglio specificare.”
“…che comunque, per la cronaca, prima di questa storia era ricca e godeva di ottima salute.”
“Principessa!” Sbraita lui, coprendosi l’altro orecchio col panino. “No, no, no! Di quello che fai, se lo fai, non voglio sapere niente. E’ roba tua… quella roba lì che fa te voi. Niente confessioni.”
Rido un po’, perché è terrorizzato dal sottoscritto impegnato a copulare con il suo capo. “Non preoccuparti, quelle toccano a Chakuza,” rispondo. In realtà mi è capitato una volta sola di uscirmene fuori con Chakuza riguardo ad una mia serata con Anis e non so nemmeno bene per quale motivo. Ricordo solo l’imbarazzo di quell’uomo che finge di non trovare niente di strano in quello che gli sto dicendo.
“Non lo invidio per niente,” commenta Eko.”Io comunque adesso scendo.” Fa un pausa come a valutare la situazione. “Vuoi che ti accompagni in camera degli ospiti?”
Che è solo al piano di sotto, lo ricordiamo. Dubito che mi possano assalire. “No, grazie,” sorrido. “Penso di aver cambiato idea.”
“Contento tu, Principessa,” si stringe nelle spalle, mentre infila le scale. “’Notte!”
“Buonanotte Eko e…” si ferma sulle scale e si gira, invitandomi a continuare. “Non fate troppa confusione, va bene? Sto per farci pace.”
Eko rimane immobile, ma proprio fisso, come morto. E mi guarda con l’occhio da gufo. “Pace pace,” mi chiede con cautela, “oppure pace.”
“Pace.” Tiro fuori la lingua. “Almeno credo.”
Eko annuisce, ma guarda un punto imprecisato sopra la mia spalla, sembra in stato confusionale. “Raduno gli altri. Aspetta dieci minuti, okay?” Fa per riprendere a scendere le scale ma torna indietro e questa volta mi guarda. “Dieci minuti, davvero. Non iniziare, capito? Niente… pace mentre io sono qui. Ho sentito troppa pace in questi mesi.”
Rido mentre lo sento buttare gli altri fuori di casa a forza di urla isteriche.

*


Sto scarabocchiando frasi senza senso da un tempo interminabile. In realtà non saranno che venti minuti ma sono passati lentissimi da quando la porta ha sbattuto e io gli ho gridato dietro di andare da suo fratello. In realtà so che se davvero salisse in macchina e raggiungesse Tom, probabilmente darei di matto. La sola idea che possa farlo sul serio - decidere che pretendo troppo e tornare da suo fratello, dico - mi manda nel panico perché non posso davvero prevedere le decisioni di Bill quando si tratta di Tom. I parametri che lo riguardano sono tutti sballati. Io sono certo di venire prima di qualunque cosa nella vita di Bill. Qualunque cosa, tranne Tom. E il dubbio che sia davvero così mi irrita in maniera inconcepibile.
La porta si apre e, un attimo dopo, Bill ci è appoggiato contro, le mani ripiegate dietro la schiena. Abbasso lo sguardo quasi subito, non voglio dargli attenzione. “Sei ancora qui?” Chiedo gelido, continuando a scrivere.
Anche senza guardarlo so che si è irrigidito. Bill non è abituato a sentirsi trattato con freddezza dal sottoscritto; io sono caldo con lui. Gli sono sempre addosso, non lo allontano mai, nemmeno quando invece dovrei. Quindi sta male se per caso sorge un muro tra me e lui.
“Possiamo… parlarne ancora un po’?” Lo sento tentennare.
“E per dire cosa?” Sollevo gli occhi dal mio foglio e lo trovo tutto stretto nelle spalle, che gioca con le dita dei piedi sul pavimento. E’ fin troppo tenero per quanto è lungo. “Mi sembra che non ci sia altro da aggiungere.”
Si stacca dalla porta e raggiunge i piedi del letto. “Posso?” Mi chiede, incerto.
Questa è la parte delle litigate che odio di più, quando Bill si sente rifiutato e torna a chiedermi il permesso per cose per le quali non dovrebbe mai chiederlo. Lui non vive qui, ma è come se fosse casa sua. Non dovrebbe farmi domande simili, è come sentirlo fare un passo indietro. “E’ anche il tuo letto,” gli ricordo. Come mi è venuto in mente di spedirlo in un’altra stanza. In un’altra casa. Da un’altra persona?
Si arrampica sul letto e poi si appallottola seduto contro la testiera. Si dondola un po’ e rimane in silenzio, io mi rimetto a scarabocchiare in attesa che si decida a dire o fare qualcosa. “Non…” inizia alla fine. Io lo guardo e lui sta seguendo con le dita il disegno del piumone. “Non devi pensare che io voglia andarmene,” dice alla fine, incontrando il mio sguardo.
Stavo pensando esattamente questo ma ovviamente non glielo dico. Mi limito ad emettere un mugugnio indistinto, con un cenno veloce del capo.
“Non voglio scegliere tra te e lui,” insiste.
Quando pronuncia quelle parole, mi sale di nuovo la rabbia. Tom non c’entra niente fra me e lui, per la miseria, dovrebbe fare il fratello, non il fidanzato abbandonato. La verità è che sono stati troppo attaccati quei due, finora, e questo è male. Molto male. L’ossessione di Tom per suo fratello sfiora quasi la malattia. “Non sopporto che lui ci metta in discussione,” sputo fuori alla fine, perché non ce la faccio più a trattenermi. Sospiro. “Noi non siamo in discussione, vero?”
Bill scuote la testa e il peso nel mio stomaco un po’ si alleggerisce. “Lui può dire quello che vuole, ma io non cambierò idea. Non l’ho mai neanche pensato.”
Mi allungo ad afferrargli la mano e lascio scorrere le dita tra le sue, intrecciandole. “D’accordo,” sospiro. E non so se di sollievo o rassegnazione per quella che non è una sicurezza nemmeno a parlarne.
“Tu però,” dice subito lui, infatti. “Dovresti cercare di non prendertela. Per Tomi è stato un trauma e io gli manco in un modo che non puoi capire.” Fa un mezzo sorriso triste. “E lui manca a me.”
Mi chiedo vagamente che cosa questo significhi. A volte mi sembra di non aver strappato Bill al suo mondo, ma di averlo strappato via da qualcosa di ben più profondo. Questo legame gemellare ha una forza che non comprendo, e la vedo negli occhi di Bill quando dice cose simili. Non gli ho impedito di vedere suo fratello, lavorano insieme, sta più con lui che con me… eppure gli manca. Non riesco ad immaginare come potessero essere più vicini di così, prima.
“Ci proverò,” lo accontento alla fine. “Ma è difficile non prendersela quando viene in casa mia ad insultarmi, ti pare?”
Bill sorride. “Hai messo le mani su suo fratello, è un’onta che va lavata col sangue.”
”Veramente sei tu che le hai messe addosso a me, se non ricordo male.”
Lui tira su il nasino e si dà un’aria tutta compunta. “Che discorsi, tu sei l’uomo maturo e io il ragazzino che ha 11 anni meno di te. E’ ovvio che sia tu il maniaco,” poi scoppia a ridere. “Ricordati che gli ho detto che ero gay e che venivo a letto con te nello stesso giorno. Non ha ancora superato il primo trauma, figurati il secondo...”
Mi sarebbe piaciuto essere presente quando Bill ha smontato suo fratello con una semplice abile mossa. Se mi avesse consultato prima, forse, suo fratello non avrebbe distrutto la mia intera discografia e anche qualche disco che con me non c’entrava niente ma c’è andato di mezzo comunque. “E va bene,” sospiro alla fine. D’altronde con i ragazzini non puoi fare altro. Sono ragazzini. “Facciamo, però, che per un po’ tu non me lo porti davanti e magari con il tempo la cosa migliora. Poi vedremo più avanti, che ne dici?”
Bill annuisce immediatamente, agitando la testolina. I capelli gli si muovono appena, sulle spalle. E quella fascetta che tiene dietro le orecchie a sventola mi manderà ai pazzi. “Allora dormi qui, stanotte?”
“Vuoi che dorma qui, stanotte?” Chiede con gli occhioni.
Stanotte, domani. E per tutta la vita, credo. Lo afferro per la nuca e me lo trascino contro, baciandolo piano. Bill sorride e schiaccia il naso contro il mio, la sua risatina è una di quelle leggere.
Mi lascio andare sul materasso e lui si distende con me, accoccolandosi nell’incavo del mio braccio. “Quelli sono ancora di sotto a brutalizzare il mio frigorifero?”
“Sì. Ho incontrato Eko nel corridoio,” risponde.
“Non c’è mai verso di stare tranquilli in questa casa,” borbotto e faccio per alzarmi. “Devono capire che devono smetterla di accamparsi qui le ore. Voglio un po’ di privacy...”
“No aspetta, lasciali stare!” Bill mi arpiona le spalle e mi tira giù. Mi bacia e come al solito mi perdo nella morbidezza della sua lingua sulla mia. Parla piano, lo sento appena. “Non danno fastidio.”
Disegno con il naso il suo profilo e poi lo bacio di nuovo. “Ai tuoi ordini, Principessa.”
Bill socchiude gli occhi, il brivido che lo percorre lo sento sulla pelle e capisco che non sono l’unico che sta pensando di fare altro. Gli scivolo addosso e lui si sistema sotto di me in un attimo, il movimento collaudato delle nostre notti insieme. “Eko mi ha chiesto dov’eri,” mi espira tra le labbra.
“E tu cosa gli hai detto?” Rispondo ma non me ne frega niente. Fingiamo ancora che non stiamo per fare l’amore. Gli bacio uno zigomo e la guancia prima di tornare a baciarlo sulle labbra ancora una volta.
”… che stavi borbottando perché i tuoi piani erano andati in fumo,” risponde, inarcandosi per strusciarsi contro di me. Mugola perché lo tengo giù. Troppa fretta, amore.
Un po’ rido e catturo le sue labbra, mordendo quello inferiore. “Si vede che mi conosci bene.”
”Hai sempre un solo piano tu!” Protesta lui, ad occhi chiusi. I baci che gli do li mugola tutti, uno per uno. E ogni volta che mugola lo bacio di nuovo.
Intrufolo una mano sotto la maglia del suo pigiama che è qualcosa di scandaloso. La stoffa è leggerissima e quasi trasparente, quando si muove si modella sul suo corpo e si vede qualunque cosa. “…Dio, questo pigiama,” mormoro mentre le mie dita gli stringono forte un fianco e affondo le labbra nell’incavo del suo collo per sentire il respiro che aumenta.
“Ce l’avete tutti col mio pigiama,” ridacchia lui e di nuovo si spinge in alto, ma lo tengo giù.
“Tutti chi?” Sollevo la testa di scatto, aggrottando la fronte.
Lui apre gli occhi e mi guarda un po’ confuso. “Beh, Eko…” risponde. “Me lo ha visto addosso prima, nel corridoio.”
Io coscientemente so che Eko non è una minaccia in questo senso, però mi irrita l’idea che abbia visto il pigiama addosso a Bill; che poi, dal momento che il pigiama è questo, significa aver visto Bill, così com’è. Tutto. Le spalle, la curva appena accennata dei fianchi, il pancino rotondo. Lo tocco mentre penso a tutte le cose che Eko deve aver intuito sotto questo pigiama.
“Non ha fatto niente,” dice subito Bill, che mi capisce sempre al volo. “Era solo stupito che me ne andassi a letto così.
Mi bacia e le sue labbra mi aiutano a dimenticare l’irritazione. La cancellano, a dire il vero, perché Eko può aver intravisto la sua pelle sotto la stoffa, ma sono io quello che sfiora e bacia e preme tra le sue gambe adesso. “Ha ragione, in effetti è indecente,” gli soffio sull’ombelico, su quel triangolo di pelle lasciato scoperto da un bottone slacciato di proposito. “… che tu ce l’abbia ancora addosso dico.”
“Chi doveva togliermelo non lo ha fatto.”
Mi presenta l’ombelico che mi batte sulle labbra e io sorrido, baciandolo piano. “Ma Principessa, sei grande ormai,” dico, risalendo il suo corpo molto lentamente. “Saprai spogliarti da solo, no?”
Solleva il bacino e io allontano il mio, con un ghigno.
“E’ più bello quando lo fai tu,” protesta.
“E non posso avere neanche un po’ di spettacolo?” Lo bacio e continuo a stare abbastanza sollevato perché lui non possa strusciarsi. Mugola frustrato.
“Per te c’è tutto il dopo,” offre con un soffio mentre lo bacio ancora.
Mi getta le braccia al collo e mi accarezza la nuca mentre il bacio si fa più urgente e più profondo, e per un attimo perdo anche il filo di quello che sto facendo.
“Anis…”
”Se vuoi che ti spogli, devi dirlo.”
“Spogliami.” Lo dice immediatamente, guardandomi dritto negli occhi con la voglia che era appena sotto la superficie un attimo fa e che ora gli scurisce le iridi e gli affretta il respiro.
La maglia mi rimane in mano dopo due bottoni. Bill ne scivola fuori facilmente, tornando a baciarmi l’attimo dopo che l’ho lasciata cadere per terra. “Anche questi?” Chiedo, lento e irritante, artigliando l’elastico dei pantaloni.
“Togli tutto!”
“Agli ordini,” sorrido e finisco di spogliarlo. Rimango incantato a fissare il suo corpo che non mi stanco mai di guardare, anche se lo so a memoria. Anche se è mio, come tutto il resto.
E’ Bill a trascinarmi di nuovo su di sé e questa volta non gli nego niente. Si spinge contro di me con un mugolio compiaciuto e per un po’assecondo i suoi movimenti, solo per vederlo reclinare la testa e mordersi un labbro.
Ci baciamo e non so se capita perché abbiamo bisogno di mordere qualcosa o perché non possiamo stare troppo a lungo senza farlo. Bill continua a muoversi, ha le braccia mollemente appoggiate ai cuscini ed è straordinariamente bello, adesso. E’ bello perché è abbandonato ed è bello perché è mio, senza che quasi lo tocchi.
“Hai deciso di non fare proprio niente?” Gli sussurro, baciandolo sulle labbra.
Lui non apre gli occhi e sorride. “Ho voglia di fare la Principessa,” risponde. Poi le sue dita mi tirano giù ancora una volta, finché non mi chiude i denti intorno al lobo e sospira. “E voglio che tu mi faccia urlare un po’, così mi sentiranno se sono ancora qui.”
Ringhio e mi abbasso a toccarlo tra le gambe. La sua voce si scioglie in un sospiro soddisfatto. Fa posto al mio corpo e mi cerca con le mani e con le labbra. Per un po’ non c’è nient’altro che lui che si muove e preme contro le mie dita e la sua lingua che accarezza la mia con desiderio. Anche il mio respiro si è fatto corto, ogni volta che si struscia contro di me perdo un po’ di lucidità. Gli mordo il collo piano, la sua pelle è umida dei baci che gli ho dato. “Ti farò urlare,” prometto, “ma tu pensa a recuperare quello che ci serve.”
Lo vedo che si scuote dal torpore e allunga un braccio ma non ci arriva. E’ disteso proprio al centro del letto e il comodino – col suo cassetto – è troppo lontano. “Aspetta,” si divincola. Scivola dalla mia stretta e gattona verso il bordo del letto.
Io mi ritrovo la forma rotonda del suo sedere davanti al viso – quel culo da ragazzina! Come gli dico quando voglio prenderlo in giro – e non resisto a chinarmi e lasciare un bacio su una delle natiche.
“Ehi!” Arriva la sua risata, accompagnata dal rumore delle cianfrusaglie che sta scostando. “Sono impegnato in una ricerca seria, qui!”
Mi spoglio per fare prima. “Dimmi che Karima non c’ha rimesso le mani.” Lo fa di continuo. Apre, asporta preservativi e lubrificante, quindi richiude senza colpo ferire. Il tutto nella speranza che l’incredibile peccato di sodomia che si compie tra le mura di questa casa non si compia mai più.
“C’è un casino…”
Gli scivolo addosso e mi stringo a lui in modo che mi senta. M’intrufolo tra le sue gambe, una mano che scivola sulla sua pancia e riprende da dove avevamo interrotto. Non credo di poter aspettare ancora a lungo. “Non puoi lasciar perdere?” Gli sussurro in un orecchio. Lui si spinge indietro ma il versetto che fa non è convinto. Mi spingo appena, premendo solo vagamente. “Dai…” cerco di convincerlo. Adesso che ho avuto l’idea, non voglio nient’altro. “Faccio piano, promesso.” Lo accarezzo ancora e lo stringo fra le dita. Lui mugola ed espone il collo ai miei morsi. “E’ un po’ che non ti sento senza niente in mezzo, piccolo.” Lo lecco così lentamente che rabbrividisce, finché non lo bacio dietro l’orecchio “Hm?”
Deglutisce e chiude gli occhi. “Okay…”
Annuisce e si lascia stendere sulla schiena. M’inumidisco le dita e lui mi guarda ipnotizzato mentre scivolo tra le sue gambe. Punta i piedi sul materasso quando entro in lui con il medio soltanto e io trattengo i suoi gemiti tra le labbra mentre lo muovo.
E’ rigido e in tensione, così riprendo ad accarezzarlo per distrarlo. Il secondo dito scivola dietro al primo e i suoi gemiti si fanno più forti e meno dolorosi. “Bill?” Gli sussurro piano all’orecchio.
Scuote la testa. “Aspetta… soltanto un po’.”
Potrei morire ma è lui che comanda. Così stringo i denti e mi concentro su di lui e non sul mio corpo del quale sto palesemente perdendo il controllo. Bill ha le gambe divaricate, per me e per le mie mani, e la testa gettata all’indietro mentre artiglia la coperta tra le dita. Il suo bacino segue i movimenti del mio polso e non aspetto altro che lo dica. Amore, dillo, per favore.
“Anis…”
Scivolo tra le sue gambe prima che abbia finito di pronunciare il mio nome. E solo dopo ricordo di cercare sul suo viso un cenno d’assenso che arriva, anche se leggerissimo. “Fermami se non va più bene, d’accordo?” Sussurro contro il suo orecchio mentre premo piano contro di lui.
Anche se non so se riuscirei davvero a fermarmi perché è caldo e morbido e stretto. Ed è Bill, qui. Per me e con me. Non so se mi fermerei. Non ho un solo pensiero razionale da quando sono affondato in lui, l’unica cosa che so è che è bellissimo. Ogni volta. “Cristo, Bill… sei…”
Non lo so che cos’è. Volevo solo renderlo partecipe, dirgli che è dannatamente bello averlo così e fra qualche secondo mi ricorderò che vorrei lo fosse anche per lui. Solo qualche secondo.
Lo bacio, perché non trovo le parole, e lui si attacca disperatamente a quel bacio, mi artiglia le spalle mentre entro in lui. Il suo respiro affannoso e il mio ansimante sono tutto ciò che sento al momento.
La sensazione è troppo forte, perdo il controllo, e la prima spinta e un po’ troppo violenta. Lo sento gemere. “Scusami,” lo bacio. “Stare fermo è impossibile.”
Stringiamo i denti entrambi, solo che i suoi occhi, a differenza dei miei, sono pieni di lacrime. “Lo so,” mormoro accarezzandogli i capelli. “Vuoi che mi fermi?”
Ti prego, non mi dire di no.
Lui però scuote la testa, così abbasso una mano ad accarezzarlo. “Fammi sentire la voce, piccolo, “ sussurro e cerco di calmarlo, cerco di farlo concentrare su qualcos’altro e non sul dolore che gli sto provocando. Speravo fosse più semplice, non è la prima volta. E’ la prima dopo tanto tempo, ma pensavo che non avrei visto le lacrime. Odio vederlo piangere per una cosa che a me fa stare così bene.
Lui grida, ancora indeciso tra il piacere il dolore. Il mio nome gli esce strozzato dalla gola tesa.
“Mi fai impazzire,” la verità che c’è in questo sussurro gliela lascio scivolare umida nell’orecchio e lungo il collo. Le mie spinte si fanno più forti, ma lui sta cedendo intorno a me e vedo il suo viso rilassarsi. “Ancora…”
Questa volta grida forte. Il mio nome si schianta contro il soffitto e lui si aggrappa a me e punta di nuovo i piedi sul materasso, mi viene incontro e io posso godermi il suo corpo senza sentirmi in colpa.
Il dolore gli abbandona il viso velocemente, più veloce ad ogni spinta, e non rimangono che i suoi gemiti contro la mia bocca che non riesce più a fare a meno della sua.
L’ultima carezza e mi viene tra le dita, caldo e umido come i suoi baci. Lo seguo l’attimo successivo e una parte di me lo sente più mio del solito, perché lo sto toccando di più e perché adesso sono in lui più di quanto sia mai stato prima.
Il silenzio che segue dura un tempo che non so quantificare. Io devo ritrovare la testa che ho perso e lui il fiato che gli mancava già qualche minuto fa. Mi accascio sulla sua spalla e quando poso un bacio sulla sua pelle accaldata lo sento ridere.
"Va tutto bene?" Ed è lui a dirlo, non io.
Mi sollevo a guardarlo e lo bacio di nuovo. "Non ne uscirei più, potendo."
Lui intreccia le caviglie "Beh, resta ancora un po', allora."
Rotolo sul letto e me lo porto dietro, stringendomelo addosso. "Di certo non vado giù a controllare che se ne siano andati," commento. In realtà credo che non ci sia più nessuno. La mandria se ne sarà andata al primo gemito. Meglio così.
Bill si muove, tra le mie braccia, e la smorfia che ha sul viso mi ricorda che ho delle responsabilità stasera. "Fa male?"
"Vuoi la risposta vera o quella diplomatica?"
Sorrido. "Dimmele tutte e due e poi deciderò quale tenere a mente."
Mi tira un pugno su una spalla. "Stronzo," commenta. "Comunque, nell'ordine, fà malissimo e non preoccuparti, Amore."
Gli prendo il mento e lo bacio con dolcezza. "Mi dispiace."
"Sei un uomo impegnativo," sospira. "Impegnativo e ingombrante."
"Non è sempre un male, no?" Lo guardo allusivo.
L'occhiata velenosa che mi lancia è troppo bella per non ridere. Alla fine, scoppia a ridere anche lui e poi mi bacia il petto, rannicchiandosi con uno sbadiglio che lo scuote tutto. Tra meno di un anno, qualcuno mi sparerà due colpi e morirò.
Nel preciso istante in cui uno dei proiettili mi trapasserà il fegato, ogni cosa perderà importanza. Le litigate, la mia crew, Tom che ci ha reso la vita un inferno.
Tutto ciò che conterà, allora, sarà ciò che stringo tra queste coperte adesso.
Ma lo capirò davvero solo insieme a quel proiettile.

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